Nel 2022 Intesa Sanpaolo ha erogato 32 miliardi alla clientela per la transizione energetica, per progetti di green economy ed economia circolare. Luca Matrone, un manager esperto con decenni di esperienza di corporate finance nello spazio energetico globale, dal 2017 è Global Head of Energy nel dipartimento Global Corporate di Intesa Sanpaolo. Quali sono le prospettive per il 2023? “La banca sta dando una fortissima enfasi all’impatto sociale con un forte focus su clima e sostenibilità ambientale. Nel piano industriale 2022-2025 sono previsti 115 miliardi di investimenti nell’Esg e di questi 88 sono a supporto della transizione ecologica”.
Quali sono i settori dove siete più attivi, dove avete investito di più nell’ambito green?
“Principalmente nel finanziare la decarbonizzazione dei clienti, sosteniamo i loro piani green, attraverso operazioni di finanziamento, attraverso servizi di consulenza o supportandoli nell’accesso al mercato dei capitali di equity e di debito. A livello tecnologico, nel finanziamento di progetti rinnovabili, i nostri interventi prevalenti sono sul fotovoltaico, mi riferisco sia a quello di grandi dimensioni sia al solare distribuito, e sull’eolico onshore. Tuttavia, abbiamo anche fatto diverse operazioni all’estero nell’eolico offshore. Gli altri ambiti operativi riguardano l’efficienza energetica, la mobilità elettrica e le batterie. Abbiamo, infatti, finanziato una delle principali giga factory in Europa”.
Per arrivare ai target 2030 e 2050 servono centinaia di trilioni di dollari. Secondo lei ci saranno risorse sufficienti per arrivare a questi obiettivi?
“Prima farei una premessa: il focus di Ue e governi di tutti i Paesi è molto forte su sostenibilità e, dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, in Europa il RepowerEu ha aumentato gli obiettivi di produzione elettrica da rinnovabili al 45 per cento, rispetto al 40 per cento che era l’obiettivo di Fit for 55. Detto questo, e rispondo alla domanda, il RepowerEu prevede 210 miliardi di investimenti, in parte coperti da Next Generation Eu, che aveva previsto 350 miliardi per il periodo 2021-2027, di cui 37% allocati su progetti green. Tutto questo per dire che l’ammontare dell’impegno pubblico è significativo e sarà in grado di mobilizzare in maniera importante anche i capitali privati. In ogni caso c’è una enorme liquidità dedicata alla sostenibilità, il problema vero dunque non è la disponibilità dei fondi, che c’è ed è abbondante, ma è sulla possibilità di impiegarli. Bisogna avere processi autorizzativi più semplici”.
L’energia sembrava un mondo noioso fino a un anno fa. Ora è diventato il settore più attivo. Si parla di acqua, idrogeno verde, rinnovabili, elettrico. Come vede la transizione. Nel senso: dovrebbe essere guidata in maniera più pragmatica per concentrare le risorse su alcune linee guida e non disperdere le risorse?
“La vedo un po’ diversamente, credo sia necessario avere più tecnologie e più tipologie di iniziative per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione. Non c’è una tecnologia unica che può risolvere il problema delle emissioni o dell’impatto sul clima. È importante avere più solare ed eolico onshore, ma anche più eolico offshore, poi è fondamentale l’efficienza energetica perché uno dei pilastri è la riduzione dei consumi. Nei settori hard-to-abate e nel trasporto su lunga distanza, sarà importante l’idrogeno. Il gas è importante per la transizione, così come il biogas, anche se in proporzione molto più limitata rispetto alle altre fonti energetiche. Dobbiamo capire che il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione passa dalla riduzione dell’utilizzo di fonti fossili in favore di quelle rinnovabili, ma anche dalla riduzione dei consumi energetici”.
C’è una possibilità di non raggiungere i target climatici? Quest’anno abbiamo evitato razionamenti nel gas, grazie a clima mite e uso intenso del carbone soprattutto in Germania. Se il prossimo inverno sarà freddo, non c’è il rischio di rinviare ulteriormente i target?
“Si potranno avere degli scostamenti sulla traiettoria del percorso verso le emissioni nette pari a zero nel 2050. Anche l’International Energy Agency (Iea) ha rivisto la curva della riduzione delle emissioni, per effetto della guerra in Ucraina, ma alla fine si deve arrivare sempre all’obiettivo finale”.
Usa, Cina, India stanno varando massicci piani di finanziamento della transizione. Molte aziende pensano di spostare la produzione fuori Europa. C’è il rischio deindustrializzazione per il Vecchio Continente?
“É un tema importante, gli Usa con l’Inflation Reduction Act (Ira) stanno incentivando la ri-localizzazione delle filiere, anche la Ue dovrebbe fare interventi analoghi. L’argomento comunque mi pare già in discussione, dobbiamo evitare di passare da una eccessiva dipendenza a un’altra, ovvero dopo quella dal gas russo arrivare a dipendere da pannelli e batterie, ad esempio, cinesi”.
Secondo S&P il debito globale ha raggiunto la cifra record di 300.000 miliardi di dollari, pari a una leva del 349% sul prodotto interno lordo. Ciò si traduce in un debito medio di 37.500 dollari per ogni persona nel mondo a fronte di un PIL pro capite di soli 12.000 dollari. La transizione aumenterà il debito? E come si può conciliare con i tassi in salita?
“Le politiche monetarie restrittive cercano di riportare sotto controllo l’inflazione. La Fed ha recentemente aperto a un atteggiamento più prudente nel valutare ulteriori rialzi dei tassi. La Bce ha avviato la restrizione monetaria, più tardi rispetto alla Fed, e l’opinione comune dei vari economisti è che in Europa ci saranno ulteriori rialzi. A mio modo di vedere, tuttavia, lo scenario precedente di tassi a zero o negativi non poteva essere una situazione di equilibrio nel lungo termine. E faccio solo un esempio, rimanendo nel contesto delle rinnovabili. Guardando ai rendimenti su investimenti fatti in tecnologie complesse come l’eolico offshore, credo fosse abbastanza evidente che erano talmente bassi da riflettere più il livello di rischio connaturato a questo tipo di investimento, per l’enorme liquidità a costo zero”.
L’Europa è l’unico continente dove crescono i fondi green, articolo 8 e articolo 9. C’è bisogno di un incentivo fiscale per attirare ancora più capitali verso la transizione?
“Ripeto, secondo me non c’è un problema di liquidità, per altro la regolamentazione bancaria che prevede di dare evidenza nel 2024 delle attività in linea con la tassonomia europea rispetto alle attività totali, cioè il Green Asset Ratio, sta dando un impulso ulteriore a finanziamenti nelle rinnovabili e nella sostenibilità”.
Pnrr a parte, gli investimenti nella transizione potranno aiutare a sostenere il Pil?
“Certamente, lo abbiamo visto negli ultimi due anni, con gli investimenti realizzati per aumentare l’efficienza energetica e ridurre il rischio sismico degli edifici e per il rifacimento delle facciate, che hanno sicuramente dato impulso al Pil e all’occupazione. L’accelerazione verso l’aumento delle rinnovabili non può che fare bene all’economia”.