L’Italia è in forte ritardo sull’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. La denuncia arriva dall’Asvis, nel suo rapporto annuale: a metà del percorso il Paese rischia di non rispettare gli impegni assunti nel 2015 in sede Onu.
Rispetto al 2010, per otto dei 17 Obiettivi si registrano miglioramenti contenuti, per sei la situazione è peggiorata e per tre è stabile. Guardando ai 33 Target valutabili con indicatori quantitativi, solo per otto si raggiungerà presumibilmente il valore fissato per il 2030, per quattordici sarà molto difficile o impossibile raggiungerlo, per nove si registrano andamenti contraddittori, per due la mancanza di dati impedisce di esprimere un giudizio.
I ritardi accumulati potrebbero essere in parte recuperati, secondo l’Alleanza, ma “bisogna attuare con urgenza e incisività una serie di interventi e di riforme”, sottolinea, come l’Italia si è impegnata a fare nel corso del Summit Onu del 18-19 settembre scorso. “È ora di trasformare le promesse in atti concreti, ma il tempo a disposizione è molto limitato“, mette in guardia l’Asvis.
Al contrario dell’Unione Europea, l’Italia “non ha imboccato in modo convinto e concreto la strada dello sviluppo sostenibile e non ha maturato una visione d’insieme delle diverse politiche pubbliche per la sostenibilità“, conferma il direttore scientifico, Enrico Giovannini. “Ciò non vuol dire che non si siano fatti alcuni passi avanti o che non si siano assunte decisioni che vanno nella giusta direzione – precisa -, ma la mancanza di un impegno esplicito, corale e coerente da parte della società, delle imprese e delle forze politiche ci ha condotto su un sentiero di sviluppo insostenibile che è sotto gli occhi di tutti, come confermano anche le analisi dell’opinione pubblica italiana contenute nel Rapporto”.
Per la dimensione ambientale dello sviluppo sostenibile l’Italia registra il 42% di perdite dai sistemi idrici; solo il 21,7% delle aree terrestri e solo l’11,2% di quelle marine sono protette; lo stato ecologico delle acque superficiali è ‘buono’ o ‘superiore’ solo per il 43% dei fiumi e dei laghi; il degrado del suolo interessa il 17% del territorio nazionale; l’80,4% degli stock ittici è sovrasfruttato; le energie rinnovabili rappresentano solo il 19,2% del totale, quota che non consente di intraprendere il processo di netta riduzione delle emissioni su cui il Paese si è impegnato a livello Ue.
Nell’ambito della dimensione economica dello sviluppo sostenibile, dopo la ripresa del biennio 2021-2022 seguita alla pandemia, l’Italia presenta ancora alcuni segnali di crescita debole che hanno caratterizzato il decennio precedente; l’occupazione cresce, ma resta forte la componente di lavoro irregolare (3 milioni di unità); passi avanti sono stati compiuti per l’economia circolare (il consumo materiale pro-capite si è ridotto del 33% in dieci anni) ed è cresciuto il tasso di innovazione (+21% tra il 2010 e il 2018), ma molte imprese mostrano resistenze ad investire nella trasformazione digitale ed ecologica; il Paese necessita di forti investimenti, anche per rendere le infrastrutture più resilienti di fronte alla crisi climatica; la finanza sta muovendosi nella direzione della sostenibilità, accompagnando il mutamento delle preferenze dei risparmiatori.
“E’ necessario pianificare il processo di transizione e migliorare la capacità del tessuto economico e sociale a rispondere al cambiamento climatico“, scandisce il Governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, che propone da un lato di “investire nella conservazione dell’energia, riducendo la pressione della domanda e delle attività produttive sull’ambiente e continuando a perseguire un progressivo e sensibile calo dell’inquinamento” e dall’altro, “interventi decisi, volti a ridurre l’impatto degli eventi estremi sulle nostre attività e sul benessere, rafforzando la capacità di tenuta delle infrastrutture e incentivando i programmi di assicurazione nei confronti delle calamità naturali“.