Cop28 tra progetti, illusioni e polemiche: Dubai non sia un’altra Sharm

Tanti i temi da affrontare per salvare il Pianeta ma anche tante perplessità e grande lavoro per i lobbisti nella kermesse green più importante del mondo

Dunque ci siamo. La ventottesima edizione conferenza delle parti della convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, conosciuta con l’acronimo di Cop, è ai nastri di partenza. Dodici giorni intensi, 70mila delegati da ogni parte del mondo, capi di Stato, leader di governo, guru del green, scienziati, ricercatori, curiosi, ong, millantatori, lobbisti si ritrovano a Dubai per quantificare i guasti dell’essere umano sul pianeta e, in teoria, per porvi rimedio. Come sempre si comincia con un bagaglio (relativo) di buone intenzioni che poi, però, raramente e realisticamente porta a cambiamenti radicali. Almeno fino adesso. L’anno scorso, a Sharm el Sheikh andò bene ma non benissimo, stavolta la kermesse verde negli Emirati Arabi si apre con una zavorra di polemiche non banale. E molto poco promettente.

Il padrone di casa è Sultan-al-Jaber, l’inviato speciale per l’ambiente degli Eau. Che è pure il numero uno di Adnoc, la compagnia nazionale di petrolio degli Emirati. Sintetizzando: chi produce sostanze inquinanti come i combustibili fossili ospita la più grande manifestazione terrestre contro l’inquinamento. Lontani da qualsiasi preconcetto, è inevitabile constatare che la presidenza sia stata consegnata nelle mani di un personaggio controverso che avrà il compito delicato di negoziare e di trovare compromessi tra le parti. Non a caso, sono mesi che impazzano dubbi e polemiche, al punto che qualcuno si è preso la briga di contare il numero di lobbisti ‘petroliferi’ presenti a Dubai. Oltre seicento. Tutta gente a cui sta a cuore la salute del pianeta. Ma fino a un certo punto.

I temi sul tavolo sono tanti e variegati. La cosiddetta phase out delle fossili è da tempo al centro di faticosissime negoziazioni, con le major petrolifere, le influentissime Big Oil, ovviamente preoccupate. Anche perché la Ue si è schierata in maniera netta e ha annunciato che su questo tema ha concentrato la maggior parte dei suoi sforzi dopo il fiasco di Glasgow e di Sharm. Immaginare che al-Jaber sia un mediatore ‘neutro’ è un atto di fiducia così smisurato da apparire quasi comico. Petrolio e gas accompagneranno la nostra esistenza ancora per anni, forse conviene concentrarsi sulle soluzioni per evitare il peggio: dalla carbon capture allo stoccaggio della Co2. Un business che incide sul Pil come una scimitarra. Tornando alla Ue, non è più la stessa di Frans Timmermans, appena ‘trombato’ alle elezioni olandesi: è sempre verde ma non più ideologicamente verde. Questo atteggiamento meno oltranzista – per di più sotto elezioni – inciderà?

Una bella domanda. Seguita da altre domande. Dodici giorni di nulla o di sostanza? India e Cina che faranno? L’Amazzonia di Lula come sta? Dal primo global Stocktake – cioè il bilancio di ciò che è stato fatto per mantenere fede agli Accordi di Parigi – cosa emergerà? Alla fine sarà sempre una questione di quattrini. La finanza climatica la farà ancora una volta da padrone perché capire quali e quante risorse hanno stanziato e stanzieranno gli Stati per la crisi climatica sarà un passaggio fondamentale. Decarbonizzare immaginiamo possa essere una parola usata e abusata, mentre il pianeta si riscalda e, come direbbe quello là, non ci sono più le stagioni di una volta. Sarebbe bello che qualcuno, tra i grattacieli e la ricchezza sfrontata di Dubai, se ne accorgesse. Senza essere oltranzisti green, ma persone di buonsenso.