Era maggio, si dibatteva del disastro in Emilia Romagna e l’Ispra aveva redatto una mappatura dei comuni a rischio alluvione – tra gli altri – in Toscana. L’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale aveva avvisato che il pericolo alluvioni riguardava il 100% dei residenti a Pisa e Cascina, a Chiesina Uzzanese, Ponte Buggianese e Agliana in provincia di Pistoia, a Campi Bisenzio in provincia di Firenze. Il tutto arricchito da una interessante e dettagliatissima mappa interattiva: usavi il cursore, puntavi una provincia e saltava fuori il numero della paura. Prato? Quota della popolazione esposta al rischio di alluvione il 96,1%. Scandicci? 92%. E così via fino al 100% di Campi di Bisenzio. Non proprio imprevedibile, insomma, come una nevicata a Rio de Janeiro. Semplicemente e tragicamente è venuta giù l’iradiddio di acqua in Toscana e quei comuni attenzionati sono andati sotto. Fine.
Senza girarci troppo intorno, la domanda che sorge spontanea è questa, così automatica da sembrare banale: cosa si è fatto da maggio a oggi? Che tipo di precauzioni si sono prese per evitare che la Toscana diventasse l’Emilia Romagna di questo umido autunno? Nulla, pare di capire. E allora per rispondere a una domanda che rischia di rimanere sospesa nell’aria come i palloni aerostatici, prendiamo a prestito una frase pronunciata dal ministro per la Protezione civile e per il Mare, Nello Musumeci. Dice il ministro: “Serve un’educazione ambientale, serve la cultura del rischio. Quella della prevenzione è un mio chiodo fisso. Noi siamo abituati a ricostruire, non a prevenire. E’ una tara antropologica”.
Questa ‘tara’, quella tendenza al non prevenire, per adesso ha fatto cinque morti in Toscana. E a questa ‘tara’ crediamo che qualcuno debba porre rimedio subito, non tra un anno, non tra qualche mese, non dopo. Perché il climate change c’è, perché ogni settimana siamo testimoni di una tropicalizzazione del meteo, perché se è importante costruire ponti sul futuro è determinante avere cura di cosa c’è già per evitare che una provincia, una regione, una nazione si trovi con le ginocchia nell’acqua oltre al contrario. Liguria, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Calabria sono le regioni che non possono vivere a cuor leggero il dissesto idrogeologico. Sarebbe auspicabile non dover più citare Fabrizio De André: “Lo Stato che fa/si costerna/s’indigna/s’impegna/poi getta la spugna con gran dignità“.