L’ultimo, in ordine di tempo, è stato Oliver Zipse, gran capo della Bmw. Senza mezzi termini ha detto che lo stop ai motori endotermici fissato dalla Ue per il 2035 appartiene praticamente alla sfera dell’iperuranio. Insomma, si tratta ormai di qualcosa che ha contorni vagamente inverosimili. In fondo, le auto elettriche non si vendono perché – citiamo qua e là Carlos Tavares, ad di Stellantis – costano troppo al produttore, figurarsi ai potenziali clienti; non offrono adeguate garanzie di tenuta (le batterie, già); si imbattono in evidenti problemi infrastrutturali, le fantomatiche colonnine di ricarica. Ergo, il cuscinetto tra la fine dell’utilizzo delle vetture ‘tradizionali’ e l’inizio dell’era elettrica ha bisogno di essere più ampio e flessibile. Da una certa prospettiva, il 2035 sembra lontano ma in realtà è vicino.
Il punto è che ci vuole più tempo per arrivare a una transizione indolore e che dieci anni abbondanti possono non essere sufficienti per un atterraggio senza scossoni. Riflessioni mirate mentre le ombre cinesi si allungano sul futuro dell’occidente, tra dazi e screzi. Del resto, la crisi dell’automotive non può essere curata sempre e solo con le iniezioni di denaro dei governi ma deve trovare una soluzione strutturale. E definitiva. Senza arrivare alle posizioni rigidissime di Sergio Marchionne, all’epoca della gestione di Fca apertamente contrario all’elettrico in termini di costi produttivi e di guadagni ambientali, la fretta che ha messo l’Europa sicuramente non ha giovato. Tanto che adesso, con i numeri in rosso e con un europarlamento sulla carta meno oltranzista, la maggior parte dei costruttori ha innestato la retromarcia. Sintetizzando: adelante sì, anzi elettrico sì, ma con juicio. Si puedes.
Se da un lato le preoccupazioni della maggior parte delle case automobilistiche sono condivisibili, se i cinesi (e Tesla) sono effettivamente in vantaggio anni luce sull’industria europea, dall’altro va anche detto che gli sforzi economici degli ultimi anni per riconvertire gli impianti da benzina/diesel a elettrico non possono essere vanificati. E le gigafactory dove le mettiamo?, domanderebbe qualcuno. Non le mettiamo proprio e facciamo prima. Ma, al di là delle battute, è questo clima di incertezza che non giova, è questa zona grigia, quasi nebbiosa, in cui si procede a strappi che zavorra qualsiasi tipo di iniziativa. E che, a ben guardare, frena l’utente finale, cioè l’acquirente. Che non cambia macchina, che si tiene il vecchio, caro, superinquinante diesel piuttosto di avventurarsi in un acquisto oneroso e posticcio. Tanto più che, passato l’idillio green, le Regioni cominciano a stringere la cinghia. Prova ne sia il Piemonte del governatore Alberto Cirio: dal 1° gennaio dell’anno che verrà, le vetture ibride benzina-elettrico saranno soggette al 50% della tassa di proprietà per cinque anni. E pagheranno tutto il balzello dal sesto anno. Così, alla faccia dell’ambiente, l’ente locale di Cirio intende incassare quattro milioni di euro annui.
Quindi, sempre cercando di sintetizzare, a tendere scompariranno quelle piccole agevolazioni che potevano far pendere la bilancia dalla parte dell’elettrico. Nel mentre Leapmotor, assemblata negli stabilimenti polacchi di Stellantis, si prepara a sbaragliare la concorrenza…