Il caterpillar Giorgia e i (tanti) problemi che la attendono

Cominciamo dalla fine, cioè dai risultati, perché i numeri non mentono. Nel pieno rispetto delle previsioni, ha vinto il centrodestra. Anzi, ha vinto soprattutto e sopra tutti Giorgia Meloni.

Fratelli d’Italia è il primo partito con oltre il 26% dei suffragi: nella sua escalation ha messo in un angolo la Lega, che non arriva alla doppia cifra e che adesso dovrà necessariamente sottoporsi a un flusso di coscienza per capire se quella di Matteo Salvini è ancora una guida adeguata. A sinistra male il Partito democratico (sotto la soglia psicologica del 20%: per Enrico Letta vale lo stesso discorso di Salvini in termini di leadership), in linea il resto; il Terzo Polo non ha sfondato, il ministro degli Esteri, Luigi Maio, è scomparso dagli schermi radar.

L’ultimo numero è quello dei non votanti: siamo quasi al 40%, dieci punti in più rispetto al 2018 (63,91% rispetto al 72,9%). Giorgia Meloni è una predestinata. È stata la ministra più giovane della storia repubblicana (nel Berlusconi IV) e si accinge a diventare la prima premier donna.

Al di là dell’esito delle elezioni, raccogliere il testimone da Mario Draghi non si presenta come una passeggiata di salute, un po’ perché fare il presidente del Consiglio non è compito facilissimo, un po’ perché chi si accomoderà a palazzo Chigi avrà sulla scrivania i faldoni pesanti della crisi energetica, del caro bollette, del lavoro. E, aggiungiamo, degli obiettivi green fissati dall’Europa di Ursula von der Leyen da rispettare. Solo grane, per essere sintetici. “Questo è il tempo della responsabilità“, ha detto nella notte Meloni. Ineccepibile. Ma nel gioco degli equilibri all’interno della coalizione di centrodestra la situazione non è proprio fluida: la Lega è indebolita, Forza Italia non è più fortissima però comunque determinante, i centristi Toti-Lupi-Brugnaro hanno pulsioni autonomiste ma potrebbero essere utili equilibratori. La gestione degli umori e dei possibili dissapori, unita alla distribuzione dei ministeri, determinerà il cammino del caterpillar Giorgia che all’estero hanno subito etichettato come post-fascista, sollevando paure e perplessità.

Le felicitazioni di Marie Le Pen e Victor Orban non aiutano. I rapporti con i Paesi stranieri e soprattutto con l’Europa di von der Leyen saranno dirimenti. Meloni sa benissimo di essere guardata con diffidenza oltre confine e sa altrettanto bene che la promessa di mettere mano ai rapporti di forza all’interno della Ue va mantenuta per non tradire gli elettori. Il primo scoglio sarà il Pnrr: da rispettare e, al massimo, da aggiustare, non certo da stravolgere. Pd e M5s saranno all’opposizione, uno sberleffo al defunto “campo largo“. Uniti potrebbero esercitare un argine al centrodestra se non uguale perlomeno efficace, però difficilmente riusciranno a trovare un punto di caduta comune. Il Pd, pur essendo il secondo partito italiano, attraversa il dramma dell’ennesima contrazione; Il Movimento 5 Stelle, pur avendo raccolto la metà dei voti rispetto al 2018, vive l’euforia di un recupero sul filo di lana. Stranezze all’italiana. Intanto, Giuseppe Conte punta a diventare i dominus dell’area progressista, puntando sulla difesa del reddito di cittadinanza, sull’abolizione del Job Act, al Superbonus edilizio, sulla battaglia per l’ambiente. All’opposizione ci saranno anche Azione e Italia Viva, ovvero il Terzo Polo. Volevano scollinare quota 10%, si sono fermati intorno all’8 e hanno ammesso la sconfitta. Da domani comincia un’altra storia, palla al centro in buona sostanza. Anzi, palla al Quirinale. Con il refrain di Meloni in sottofondo: “Questo è il tempo della responsabilità“. Vale per lei, vale per tutti gli altri.