Siccome l’Italia è un paese di poeti, santi, navigatori e mangiatori di pasta, ha destato molta preoccupazione e moltissima perplessità il rincaro dei prezzi di spaghetti e rigatoni, orecchiette e bucatini. Un rincaro, secondo le stime fornite da Assoutenti, che è generalizzato nel Paese ma diversificato geograficamente. Liofilizzando l’esito di questa classifica poco ‘appetibile’, si passa dai 2,44 euro al kg di Ancona ai 1,48 euro di Cosenza. In assoluto, comunque, l’aumento è del 25%, quindi un’enormità.
La cosa che, oltre alla preoccupazione, desta parecchio stupore è la ragione in base alla quale si è determinato questo rincaro. Una ragione che, a un primo esame, non esiste. Il prezzo della materia prima, cioè il grano, è in picchiata rispetto all’anno scorso. Coldiretti l’ha quantificato in un -30%, eppure chi si reca al supermercato per comprare un pacco di pasta si trova di fronte a una sgradita sorpresa. Il paradosso è che la pasta ha ‘tenuto’ il prezzo quando è scoppiata la guerra in Ucraina e i mercati non sapevano come muoversi, mentre adesso che la situazione appare più fluida i costi si impennano. Speculazioni? Concorrenza sleale? Il paradosso, ad ogni modo, viene respinto dai pastai che hanno contestato stime e accuse, spostando l’attenzione non sul grano ma sui costi dell’energia, degli imballaggi e della logistica. Certo, il grano incide, ma vuoi mettere il resto? Come se ad aprile 2023 fosse molto peggio di febbraio 2022, quando sono cominciati a cadere i missili su Kiev e i granai dell’Ucraina straboccavano per colpa dell’impossibilità di muovere le navi e dare vita a esportazioni.
La sensazione è che non ne verremo mai fuori da questo rimpallo di responsabilità nonostante il Codacons stia studiando un esposto all’Autorità per la concorrenza e da più parti si siano levati lamenti e minacce. Attendiamo a stretto giro anche la presa di posizione di Francesco Lollobrigida, nella veste di ministro dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare, e di Adolfo Urso, titolare del dicastero che tutela il made in Italy. Aspettando qua e là, questo o quello, una cosa sicura c’è: la pasta costa il 25% in più e l’acquisto di questo bene (storicamente) primario per lo stomaco degli italiani – ma non solo – alleggerirà tasche e portafogli. Vallo a spiegare alla casalinga di Voghera, anzi non spieghiamoglielo proprio.