La legge per il ripristino della natura è stata ‘benedetta’, dopo mesi di stallo, dai ministri dell’Ambiente che hanno approvato il regolamento proposto dalla Commissione europea nell’ormai lontano 2022 per recuperare le aree naturali degradate. Si tratta di una delle colonne portanti del Green Deal che è stato al centro del dibattito politico molto aspro durante le recenti elezioni e che, a detta di alcuni, non potrà essere riproposto con le medesime modalità dal nuovo esecutivo. Lo sanno tutti, a cominciare da chi lo ha pensato quando l’Europa era diversa e la situazione geopolitica molto differente.
Anche a mente fredda, cioè il giorno dopo l’ok sul ripristino, è impossibile non evidenziare alcuni paradossi. Per cominciare: un passaggio così importante per le politiche future di 27 nazioni è stato approvato da una istituzione che di qui a qualche settimane non sarà più la stessa, anche se il regolamento serve per allineare l’Unione europea agli impegni internazionali assunti con l’accordo di Kunming-Montreal sulla biodiversità. C’era davvero così tanta fretta? Era proprio il caso di lasciare un’eredità così pesante a chi sta per arrivare?
Il secondo paradosso è ciò che è accaduto in ambito di votazione, con il sì dell’Austria che in realtà avrebbe dovuto per linea governativa votare no e che è stata ‘tradita’ dalla ministra Leonore Gewessler, tanto che il governo di Vienna ha annunciato il ricorso davanti alla Corte di giustizia dell’Ue. E’ come se il ministro dell’Ambiente italiano Gilberto Pichetto Fratin si ribellasse alla linea strategica varata dall’esecutivo di Giorgia Meloni, infischiandonese di tutto e di tutti, ribelle e non per caso. Tutto questo per dire il clima che regna in Europa – ogni tanto mal comune è mezzo gaudio – e per sottolineare che il nostro Paese è uno dei 6 (contro 20, più il Belgio astenuto) che ha votato contro la legge sul ripristino della natura.
Il terzo paradosso sta nella rabbia di chi ha frenato a stento la sorpresa per questa ratifica, come se immaginasse un atteggiamento diverso da parte di chi per cinque anni è stato coerente nel muoversi lungo una direttrice precisa. Domanda: poteva cambiare la linea all’ultimo miglio? La risposta è talmente scontata da risuonare quasi banale: no.
E allora? Allora la legge c’è ma non è detto che resista alle nuove pulsioni ambientali anche se – e di qui non si scappa – non possiamo sottrarci alla tutela del Pianeta, alla cura della nostra terra (t minuscola), alla salvaguardia della biodiversità. In assoluto a quelle pratiche che contribuiscono a rendere il mondo un posto vivibile e non una condanna a cielo (grigissimo) aperto. Il punto di caduta, però rimane sempre il medesimo: il buonsenso da usare in dosi industriali per non trasformare una pratica virtuosa e ineludibile in una lotta ideologica.