L’Europa cosa fa? La domanda, come al solito, rimane sospesa nell’aria senza. Per adesso senza risposta. L’Europa – sempre per adesso – riflette su cosa sta succedendo nel Mar Rosso. Magari con un filo di preoccupazione per i propri traffici commerciali, magari si indigna, ma assiste. Intanto gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, loro sì, sono intervenuti per provare a regolarizzare la situazione in una fetta di mondo in cui non può esserci mai pace. Perché qualche centinaio di chilometri più in là, Israele sta martoriando la Striscia di Gaza nel tentativo di estirpare la minaccia di Hamas. Che, come per gli houthi, può contare sulla sponda più o meno dichiarata dell’Iran. E perché ormai da settimane nello Yemen i ribelli assaltano le navi cargo occidentali, accusate di essere pro Israele, come facevano i pirati nei romanzi di Salgari. Ma qui non c’è Sandokan e non siamo all’interno di un romanzo. Purtroppo è tutto vero.
L’Europa, si diceva, assiste. Discuterà se inviare la flotta in una ipotetica missione pacificatrice la prossima settimana. Si parla di tre cacciatorpediniere o tre fregate. Sarebbe una svolta epocale. Ma con calma, però. Se ne discute, già. Poi bisognerà decidere. E comunque, tanto per cominciare, la Spagna si è sfilata con largo anticipo. Europa a passo di lumaca? Forse Europa troppo attendista: sto alla finestra e osservo gli sviluppi… Lo ha fatto sostanzialmente nella faida israelo-palestinese. Si è adoperata di più solo per arginare (senza esito, per adesso) il conflitto tra Ucraina e Russia. Ma in questo caso, forse, perché la guerra era a pochi metri dal confine e il rischio di ‘sforamento’ risulta(va) molto alto. Eppure, quel che rimane dell’Europa di qui alle elezioni di giugno – mentre Charles Michel sta per abbandonare la presidenza del Consiglio europeo e Frans Timmermans si è dato da qualche mese – dovrebbe essere in fibrillazione: in fondo, da quella fetta di mare passa il 12 per cento dei traffici globali, gas e petrolio sono inevitabilmente destinati a salire, il Mar Rosso e il Canale di Suez sono stati sempre fonti di grane e tensioni. Ma non è ancora scattato l’allarme? E’ inutile scomodare la storia e il conflitto del 1956, però la situazione appare critica e darsi una mossa, cioè prendere una posizione chiara, sarebbe conveniente.
Al di là dei disagi dell’Egitto, che non se la passa benissimo economicamente, ora molte navi sono dirottate a Sud del capo di Buona Speranza, allungando le rotte e aumentando i costi di trasporto, che poi determinano l’impennata dei prezzi. E’ come se per andare Torino a Trieste, non potendo passare per la Lombardia, si sconfinasse in Svizzera e in Austria. Insomma, miglia marine che pesano come sassi sui conti e sulle coscienze. L’Europa non può stare a guardare, deve agire per tutelare i suoi interessi, per non essere sorpassata a destra e a sinistra da Usa, Gran Bretagna e chissà chi altro; deve assumere il ruolo di ‘peacemaker’ mediorientale, deve – in buona sintesi – tornare a fare l’Europa. Come una volta, quando contava. E, per adesso, non sta succedendo.