A dicembre il ministro alla Transizione ecologica, Roberto Cingolani, diceva alla commissione Attività produttive del Senato: “È necessario aumentare la produzione nazionale a parità di totale consumo del gas massimizzando ciò che abbiamo già la possibilità di estrarre. L’opzione non è trivellare di più, ma cominciare a utilizzare al massimo i giacimenti che già ci sono e sono stati chiusi e in tempi relativamente brevi, nell’ordine di un anno, possono essere rimessi in funzione“.
Venticinque anni fa il nostro Paese estraeva una trentina di miliardi di metri cubi di gas all’anno, una quantità che più o meno copriva il 30% del fabbisogno italiano. A fine 2021 la produzione era di poco superiore ai 3 miliardi di metri cubi. I giacimenti attivi sarebbero circa 1.300, anche se quelli che vengono realmente utilizzati con continuità superano di poco quota 500. In prossimità dello scoppio della guerra in Ucraina, il governo nel decreto Bollette aveva deciso di incentivare la produzione interna, per sopperire alle eventuali mancanze di forniture dalla Russia. L’obiettivo era appunto di aumentare l’estrazione di 2,2 miliardi di metri cubi di gas grazie una semplificazione burocratica in alcune aree, dal Canale di Sicilia alle Marche. Inoltre era stata affidata al Gse, il Gestore del sistema elettrico, la conduzione del piano-rilancio. Nel testo si leggeva infatti che, entro 30 giorni dall’entrata in vigore del decreto, il Gestore avrebbe avviato “procedure per l’approvvigionamento di lungo termine di gas naturale di produzione nazionale dai titolari di concessioni di coltivazione di gas”.
Il Gse ha così invitato i titolari di concessioni di coltivazione di gas naturale, sia su terraferma che in mare, “a manifestare interesse ad aderire alle procedure comunicando i programmi delle produzioni di gas naturale delle concessioni in essere, per gli anni dal 2022 al 2031, nonché un elenco di possibili sviluppi, incrementi o ripristini delle produzioni di gas naturale per lo stesso periodo nelle concessioni di cui sono titolari, delle tempistiche massime di entrata in erogazione, del profilo atteso di produzione e dei relativi investimenti necessari”.
Alcune fonti confermano a Gea che tuttavia non sarebbero arrivate manifestazioni d’interesse. Una situazione confermata dai numeri recentemente diffusi dal ministero della Transizione ecologica. A giugno è sì aumentata la produzione nazionale, rispetto a giugno 2021, da 238 a 273 milioni di metri cubi (+14,4%), ma nei primi sei mesi dell’anno l’estrazione è scesa ulteriormente dell’1,3%, passando da 1,663 miliardi di metri cubi del primo semestre 2021 agli attuali 1,642. In compenso tra gennaio e giugno abbiamo esportato 1,836 miliardi di metri cubi: +398% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. D’altronde fa gola a parecchi operatori il prezzo del gas alla piazza finanziaria di Amsterdam, che ieri segnava alle 13,30 ben 202 euro/MWh, un valore dieci volte superiore rispetto all’11 agosto di un anno fa.