Franceschi (Grafica Veneta): “Caro-gas, investo più in Usa che in Italia”
Ha acquisito la Lake Book Manufacturing di Chicago, storica azienda di produzione di libri, che potrebbe beneficiare di maggiori investimenti a scapito dello stabilimento padovano. Tutto questo per colpa del caro gas
Fabio Franceschi è il numero uno della stampa di libri in Italia. Dallo stabilimento padovano di Trebaseleghe della sua Grafica Veneta escono centinaia di milioni di libri ogni anno, diretti in tutto il mondo. Nel febbraio del 2021 Franceschi ha acquisito la maggioranza di Lake Book Manufacturing di Chicago, storica azienda attiva nella produzione di libri, che potrebbe beneficiare di maggiori investimenti in futuro a scapito dello storico stabilimento padovano. Tutto questo per colpa del caro gas.
Presidente Franceschi, a causa delle bollette, punterà di più su Chicago che su Trebaseleghe?
“Purtroppo è una esigenza. Sono convinto che questi rincari siano duraturi. La guerra durerà anni e quando i grossi gruppi energetici fanno margini di questo tipo è difficile convincerli ad avere meno guadagni…”
Qual è la differenza, a livello di bollette, tra Italia e Stati Uniti?
“Stessa azienda e stesse dimensioni? Ebbene, in America il peso sul fatturato è dell’1,1%, in Italia dell’8%. Un kw da noi costa 0,40 euro, negli Stati Uniti 0,036, un undicesimo. Storia simile per il gas. Per una azienda energivora come la nostra o in generale per il manufactoring l’erosione dei margini è pesante”.
Il caro energia si riversa inevitabilmente sui trasporti, quanto spende negli Usa e da noi?
“Noi siamo una azienda carbon net, quindi con emissioni di anidride carbonica pari a zero. Fino a un anno fa i nostri trasporti funzionavano a gas. Ora non usiamo più nemmeno un camion a gas perchè costa cinque volte tanto. Per cui siamo tornati al gasolio. Sul confronto secco inoltre in Italia il costo dei trasporti incide mediamente per il 6% mentre oltreoceano per il 2,5%. C’è poi un altro problema: la grande richiesta di camion ha portato a una carenza di camion stessi sul mercato”.
Lei stampa libri. E la carta?
“Il peso del gas, nel nostro settore è importante, pesa tra il 30 e il 40 per cento del costo produzione. Abbiamo assistito a incrementi enormi, spero almeno si stabilizzino. Non voglio nemmeno immaginare cosa potrebbe accadere se venisse a mancare la materia prima dalla Russia… Chiedeva della carta? In Italia ho avuto un rincaro del 35-40%, in America del 25%”.
Conviene sempre meno produrre in Italia?
“Guardi, noi stiamo sviluppando un reparto a Chicago perchè in America abbiamo agevolazioni, lo Stato ci aiuta e ci supporta in ogni investimento con detrazioni fiscali immediate. E poi c’è un rapporto buono con i collaboratori… Come sistema Paese l’Italia non è più punto di riferimento, bisogna allinearsi al resto del mondo. Se le aziende non sono più competitive, ne vanno di mezzo le famiglie e l’intera comunità. In America vanno alla grande, nonostante l’inflazione, così come la Cina: dobbiamo seguire loro”.
Lei per tempo aveva fatto la transizione ecologica. Il suo stabilimento di Trebaseleghe è ricoperto di pannelli solari…
“Certo, abbiamo centomila metri quadrati di pannelli solari, ma le rotative vanno a gas. In virtù delle nostre scelte lungimiranti l’aspetto elettrico ci pesa poco, ma lavorazione della carta necessita di forni a gas. Una rotativa gira a 500 metri al minuto, per asciugare l’inchiostro serve gas, tanto. E ora è un trauma sul fronte costi…”
Il caro energia cambierà i suoi progetti di investimenti?
“Avevamo in progetto il raddoppio dello stabilimento di Trebaseleghe, ma viene spontaneo dire che forziamo invece su Chicago il quale porta marginalità a due cifre. Il cuore e la testa sono e restano a Trebaseleghe, però dobbiamo guardare i numeri”.
Cosa può fare il governo che verrà per evitare un calo di investimenti nel nostro Paese?
“A livello energetico comandano i mercati, anche se si può controllare con più attenzione il mercato… Non sarà facile rendere competitive le aziende: il costo della manodopera è alto ma gli stipendi sono bassissimi in confronto agli americani. Se da noi un dipendente guadagna 1200 euro, pochi, l’azienda ne versa 2800, troppi. Serve un atto di coraggio per dare dignità ai lavoratori in modo da pagare stipendi congrui come in Germania o altri Paesi, non però a scapito dell’impresa. E’ ora di riequilibrare il sistema”.