Nord Stream sabotato, ma da chi? Intanto prezzo del gas risale e Germania rischia kaputt

L'Ucraina attacca apertamente il Cremlino. La Nato vuole indagare a fondo, gli Stati Uniti sono pronti a sostenere l'Europa

nord stream

Nord Stream 1 e Nord Stream 2, i due gasdotti che portano il gas dalla Russia alla Germania, hanno subito danni enormi, come ha riferito la stessa società che gestisce il tubo al centro dello scontro fra Berlino e Mosca dopo l’invasione dell’Ucraina. I sabotaggi appaiono come premeditati, viste le circostanze. Le perforazioni sono avvenute nel Mar Baltico in acque internazionali a pochissimi chilometri dalla territorialità danese. Inoltre è anche la distanza tra un danno e l’altro – decine di km nel Nord Stream 1 – che fa escludere la coincidenza. L’ipotesi è che i gasdotti possano aver subito un attacco con sottomarini o sommozzatori specializzati. Due forti esplosioni sono state infatti registrate nella notte tra lunedì e martedì. Le autorità stanno andando a verificare i danni, ma probabilmente è entrata acqua salata all’interno del tubo. Di sicuro il gas emerso in superficie ha iniziato a bollire, come ha mostrato l’esercito danese. Serviranno mesi e miliardi per riparare il guasto e ripristinare l’eventuale normalità. Di sicuro l’inverno, ammesso che la Russia avesse fatto ripartire le forniture, sembra compromesso. Anche perché un’eventuale riparazione potrebbe violare le sanzioni imposte a Mosca, com’è accaduto con la turbina che Siemens avrebbe dovuto riconsegnare aggiustata a Gazprom.

Il Nord Stream 1, con una potenza di 55 miliardi di metri cubi di gas esportati ogni anno, era già off limits da inizio settembre dopo che Putin aveva imposto il blocco delle forniture fino a che non saranno tolte le sanzioni economiche al Cremlino. Il Nord Stream 2, con capacità analoga, non è mai entrato in funzione per lo stop deciso da una Corte tedesca a fine 2021, dopo che Gazprom aveva investito 10 dei 12 miliardi necessari per la realizzazione dell’opera.

Chi è l’autore del sabotaggio? Tutti i principali Paesi coinvolti lanciano accuse generiche, dalla Germania alla Russia, fino alla Danimarca. L’Ucraina attacca apertamente il Cremlino. La Nato vuole indagare a fondo, gli Stati Uniti sono pronti a sostenere l’Europa, venerdì ci sarà una riunione d’urgenza dei ministri Ue. Di sicuro questo attacco da film di James Bond apre tre scenari: uno immediato, uno di medio-lungo periodo, uno di prospettiva. Il primo è che il prezzo del gas torna a salire, dopo settimane di cali. Alle 17.30 il Ttf olandese guadagnava il 15,4% riportandosi a 200 euro/MWh.

Il secondo è più inquietante: i gasdotti sono meno sicuri? In un clima di guerra quello che è accaduto al Nord Stream spinge sempre più verso un utilizzo maggiore del Gnl, principalmente americano, quindi con navi e rigassificatori sparsi per il continente. Solo a Piazza Affari, ad esempio, le big delle reti hanno segnato pesanti ribassi: Terna -4,37%, Snam -3,02%, Enel -4,91% insieme a parecchie utilities. Ad appesantire il clima anche l’aumento dello spread a 251 punti (interesse sui Btp decennali al 4,76%) e le proposte europee su tetto a prezzo del gas e tassa sugli extra-profitti che potrebbero incidere sui bilanci.

Il terzo scenario riguarda la Germania. Con l’addio al Nord Stream, in attesa che i rigassificatori diventino operativi nei prossimi mesi, resta solo il gasdotto Yamal a portare gas dalla Russia. Nel caso di un blocco anche di quest’ultimo tubo, la crisi energetica diventerebbe devastante a livello socio-economico. Volkswagen la scorsa settimana ha fatto trapelare all’agenzia Bloomberg che è pronta a spostare parte della produzione nella penisola iberica in caso di carenza di gas. Sempre ieri, coincidenza geo-politica, è stato inaugurato in Polonia il gasdotto Baltic Pipe, che consentirà alla Polonia di importare fino a 10 miliardi di metri cubi di gas all’anno dalla Norvegia e di trasportare 3 miliardi di metri cubi di gas dalla Polonia alla Danimarca. La stessa Polonia che grazie alle centrali nucleari paga bollette elettriche dimezzate rispetto a quelle tedesche. Alle industrie teutoniche potrebbe convenire dunque di trasferirsi dalle parti di Varsavia, non come semplice delocalizzazione, ma come vero e proprio reinsediamento, con inevitabili pesanti ricadute occupazionali per la Germania.