Glifosate? No, grazie. Da Pisa studio per un’agricoltura più green

Nei tre anni della ricerca, il team ha costruito un sistema per potenziare al massimo i servizi forniti spontaneamente dalla natura, introducendo alcune innovazioni

È possibile andare verso un’agricoltura più ‘verde’, senza utilizzare fertilizzanti di sintesi ed erbicidi – come il glifosate, il più diffuso al mondo – e senza compromettere le rese delle colture? A quanto pare sì e la conferma arriva da uno studio triennale coordinato dal Centro di ricerca in Scienze delle Piante della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica internazionale Agronomy for Sustainable Development. La ricerca è durata tre anni, durante il quale gli scienziati hanno valutato gli effetti della semina su terreno sodo (non lavorato) del girasole, in presenza dei residui di una coltura di copertura di veccia, pianta erbacea comune nei prati, coltivata come foraggio, dai fiori viola.

Questa copertura ha protetto il suolo, ha ridotto la presenza di malerbe e ha fornito azoto al girasole, contribuendo alla sua crescita sana e rigogliosa. Nel caso della veccia devitalizzata in piena fioritura utilizzando il solo roller crimper (cioè, un attrezzo che comprime, ma non taglia alla base le piante, facendole appassire mentre sono ancorate al suolo) e senza fare uso di glifosate, le piante infestanti del girasole sono state controllate del tutto e la coltura ha dato risultati produttivi ed economici paragonabili, se non superiori, alla tradizionale tecnica che combina l’uso del roller crimper con quello del glifosate.

Gli agricoltori tendevano a considerare il glifosate indispensabile per controllare la flora infestante, soprattutto in agricoltura conservativa, che prevede la semina delle colture direttamente sulle stoppie della coltura precedente. Nei tre anni della loro ricerca, il team ha costruito un sistema per potenziare al massimo i servizi forniti spontaneamente dalla natura, introducendo alcune innovazioni. “Dal 1996, anno da cui in gran parte del mondo (Europa esclusa) sono coltivate varietà di soia, mais, cotone, colza, barbabietola ed erba medica geneticamente modificate in grado di tollerarlo – commenta Paolo Bàrberi, docente di Agronomia e coltivazioni erbacee della Scuola Superiore Sant’Anna – le quantità di glifosate utilizzate a livello globale sono aumentate di 15 volte. Numerose evidenze scientifiche indicano che il glifosate e i suoi prodotti di degradazione non sono così innocui come sembravano“. Residui di queste sostanze vengono costantemente ritrovati nel suolo, nelle acque, nei sedimenti e nella catena trofica. “Negli Usa e in Europa – dice Barberi – fino all’80 per cento delle persone e degli animali allevati hanno residui di glifosate nelle urine, e l’erbicida è stato inserito dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) come sostanza sospettata di causare tumori”.