Sono le ultime ore cruciali di un’incredibile campagna per la Casa Bianca: Kamala Harris e Donald Trump si affrontano nei comizi finali, alla vigilia di un voto cruciale per gli Stati Uniti e per il resto del mondo. Ciascuno dei due candidati si dice fiducioso nella propria vittoria. Ma in realtà la competizione è così serrata che solo poche decine di migliaia di voti potrebbero decidere l’esito delle elezioni. Da un lato l’attuale vicepresidente democratica, che a luglio ha sostituito con un breve preavviso l’anziano presidente Joe Biden: Kamala Harris, 60 anni, potrebbe diventare martedì la prima donna a guidare la principale potenza economica e militare del pianeta. Dall’altro, l’ex presidente repubblicano Donald Trump, 78 anni, autore di uno spettacolare ritorno politico dopo aver lasciato la Casa Bianca nel 2021 in un contesto caotico, sfuggito a due procedure per impeachment e a una condanna in tribunale.
Sulla questione climatica, Harris e Trump hanno opinioni diametralmente opposte, rendendo il voto di martedì una scelta tra transizione energetica e scetticismo climatico, con immense conseguenze a livello globale. La candidata dem definisce il cambiamento climatico una “minaccia esistenziale” e sostiene che gli Stati Uniti debbano agire con urgenza. Secondo Donald Trump, non è un problema urgente e il ruolo dell’uomo è solo marginale. Tuttavia, nessuno dei due di fatto ha presentato un programma completo sul tema, che è lungi dall’essere al centro della campagna elettorale, nonostante il Paese sia il secondo maggiore emettitore di gas serra a livello mondiale, dopo la Cina.
L’ex presidente repubblicano definisce il cambiamento climatico una “bufala” e ha promesso di “trivellare come un matto” se eletto. La sua vittoria porterebbe a maggiori emissioni americane di gas serra – con un impatto sul riscaldamento globale – nonché a un disimpegno degli Stati Uniti dalla diplomazia climatica, che potrebbe rallentare lo slancio contro i combustibili fossili. Senza nemmeno aspettare l’inaugurazione di gennaio, la sua elezione indebolirebbe la voce dei negoziatori americani alla COP29, che dovrà iniziare sei giorni dopo le elezioni a Baku, in Azerbaigian. Tuttavia, l’impegno dei paesi ricchi come gli Stati Uniti sarà decisivo per l’aumento degli aiuti finanziari ai paesi vulnerabili, al centro delle discussioni quest’anno.
Durante il suo mandato, Trump aveva ritirato gli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi sul clima, e promette di farlo nuovamente se verrà eletto, dopo l’annullamento della decisione da parte del suo successore Joe Biden. È in base a questo accordo che gli Stati Uniti si sono impegnati a ridurre della metà le proprie emissioni di gas serra entro il 2030, rispetto al 2005. Nel 2023, questa riduzione aveva raggiunto il 18%, secondo il centro di ricerca Rhodium Group. Per arrivare al 50% “bisogna davvero mantenere la rotta”, ma sotto Trump “ci sarebbe un’inversione di rotta totale”, avverte Leah Stokes, politologa specializzata in clima. “Le elezioni americane avranno ripercussioni per l’intero pianeta”.
Dal suo canto, Kamala Harris, che ha partecipato alla Cop28 dell’anno scorso dove gli Stati Uniti hanno svolto un ruolo chiave, è impegnata a “continuare e sviluppare la leadership internazionale degli Stati Uniti sul clima”, secondo quanto compare scritto sul sito web della sua campagna. In qualità di senatrice, ha sostenuto il ‘Green New Deal’, una risoluzione che chiede di ridurre drasticamente le emissioni di gas serra, soprannominata da Trump la ‘New Green Scam’ (Nuova truffa verde). Nel 2019, allora candidata alle primarie democratiche, si espresse a favore del divieto della fratturazione idraulica, un metodo inquinante di estrazione degli idrocarburi. Tuttavia, è tornata su questa posizione, che è stata particolarmente dannosa per gli elettori dello stato chiave della Pennsylvania, dove il settore è importante. In un’intervista alla CNN Harris ha specificato di non avere intenzione di vietare il fracking, così come non lo ha fatto l’amministrazione che l’ha vista nel ruolo di vicepresidente. Un eventuale governo a sua guida, ha spiegato la candidata, perseguirebbe politiche ambientali che non escludano questa tecnica di estrazione. “Possiamo crescere e possiamo rafforzare una fiorente economia fatta di energia pulita senza vietare il fracking”, ha detto.
In generale la candidata dem nella campagna elettorale fa poco riferimento al clima. Durante il dibattito con Trump, ha difeso la necessità di “fonti energetiche diversificate“, arrivando a vantarsi che il Paese ha “sperimentato il più grande aumento della produzione nazionale di petrolio della storia“. Ciononostante, tutte le maggiori associazioni ambientaliste la sostengono citando il suo processo contro le compagnie petrolifere quando era procuratrice generale della California. E soprattutto, ricordano il suo voto decisivo per l’adozione dell’Inflation Reduction Act (IRA), una massiccia legge sugli investimenti per la transizione energetica. Un provvedimento regolarmente preso di mira da Donald Trump, che ha dichiarato che “annullerà tutti i fondi non spesi”. Ma tornare indietro su una legge è complesso, e anche alcuni funzionari eletti repubblicani si sono espressi contro l’idea, sottolineando l’utilità dei crediti d’imposta che prevede.
Tra le altre promesse di Donald Trump: cancellare la moratoria di Joe Biden sui nuovi terminali di esportazione di gas naturale liquefatto (GNL), nonché “l’obbligo di acquisto di veicoli elettrici“. Un riferimento alle nuove normative sulle emissioni delle auto volte ad accelerare la transizione all’elettrico – senza imporla. Altri recenti standard dell’Environmental Protection Agency (EPA), compresi i limiti sulle emissioni di CO2 delle centrali elettriche a carbone, potrebbero essere rivisti. Ma “qualsiasi tentativo di abrogare queste norme darà luogo a numerosi ricorsi”, ritiene Fatima Ahmad, della società di consulenza climatica Boundary Stone. Inoltre, “i governi locali e il settore privato continueranno a portare avanti i propri impegni sul clima”, come “durante la prima amministrazione Trump”, ha spiegato. Ma secondo un’analisi del media specializzato Carbon Brief, una vittoria di Donald Trump porterebbe entro il 2030 a emissioni aggiuntive di 4 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente rispetto ai democratici – ovvero alle emissioni annuali di Europa e Giappone.