Gava: “Per indipendenza occorre investire su fonti pulite e nucleare”

La sottosegretaria al Mite: "Dobbiamo diffondere una maggior cultura ecologica e accompagnare le imprese verso un’economia sempre più sostenibile"

Vannia Gava

Transizione ecologica, sostenibilità e Green new deal: sono le parole chiave per i prossimi 30 anni. L’Italia vuole stare in questa partita, ma a che punto è lo stato dell’arte nel nostro Paese? Gea, che ha tra i suoi obiettivi fare informazione e divulgazione su temi che caratterizzeranno la nostra vita e quella dei nostri figli, lo ha chiesto alla sottosegretaria al Mite, Vannia Gava.

Sottosegretaria, l’Italia è all’avanguardia in questo percorso?

“Sì. Anche se abbiamo questa cattiva abitudine di sminuirci, l’Italia e gli italiani hanno fatto e continuano a fare un grande lavoro: la sensibilità ambientale è così diffusa che siamo in vetta alle classifiche europee sulle percentuali di riciclo dei rifiuti col 79%, mentre la Francia è ferma al 56% e il Regno Unito al 50%. Anche nel riciclo industriale, quello di acciaio, alluminio, carta, vetro, plastica, legno, tessili siamo il Paese europeo con la maggiore capacità di riciclo. Siamo assolutamente all’avanguardia ma non siamo certo arrivati al traguardo. Per questo dobbiamo fare di più, investendo e procedendo passo dopo passo, per diffondere tra i cittadini una maggior cultura ecologica e accompagnando le imprese nei processi per le riconversioni e verso un’economia sempre più sostenibile. Con i bandi sull’economia circolare, chiusi proprio una settimana fa, daremo grande impulso alla realizzazione di impianti capaci di risolvere l’emergenza dei rifiuti urbani che, ancora oggi, in molte aree del paese vengono trasportati fuori regione per la carenza di impianti”.

L’Europa si è data il 2050 per arrivare alla neutralità climatica. Secondo lei è un traguardo davvero realizzabile? E a quali costi?

“L’ultima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici Cop 26 è stata contraddistinta da maggior realismo rispetto alle precedenti. Tutti i partecipanti hanno condiviso un obiettivo, ma riconosciuto che deve essere raggiunto con realismo, senza mortificare le economie o regalare vantaggi competitivi ad alcuni Paesi. Purtroppo, quella conferenza non poteva tener conto della guerra energetica scoppiata subito dopo il conflitto in Ucraina, che sta sconquassando i rapporti internazionali e i contratti per le forniture energetiche. Speriamo che gli effetti siano soltanto temporanei, che non ci si debba arrendere a qualche rinvio. Resta inteso che ovviamente l’obiettivo delle emissioni zero rimane”.

Attualmente il nostro sistema comprende 5 tipi di energia: petrolio, gas naturale, rinnovabili, nucleare e carbone. Il Green Deal punta a ridurre le emissioni di gas serra dal 55% entro il 2030 portando le rinnovabili al 40% del consumo energetico totale della Ue. Biometano e idrogeno sono le strade da percorrere?

“Cambiare velocemente il nostro mix energetico è fondamentale e questa crisi lo ha reso evidente a tutti. È necessario ridurre la dipendenza dell’Italia da fonti straniere e liberarsi dal giogo di un unico fornitore, o fornitore principale, che può minacciare di chiudere i rubinetti da un momento all’altro. Per farlo stiamo diversificando, ma bisogna soprattutto incentivare tutte le fonti energetiche ‘pulite’: biometano, idrogeno e anche nucleare di quarta generazione, che è stato incluso dalla tassonomia Ue, senza esaltare o demonizzare nulla a priori. Intanto continueremo, come abbiamo iniziato a fare in questi mesi e poi in ultimo col decreto energia, lungo la strada delle semplificazioni del ‘permitting’ per gli impianti di energia rinnovabile. Bisogna evitare che, come accadeva in passato, burocrazia, lentezze e sindrome Nimby scoraggino gli investimenti”.