La crisi del Mar Rosso è roba nostra: in ansia agricoltura e porti

L'agroalimentare rischia di trovarsi in ginocchio per le esportazioni e i nostri porti di diventare marginali nel commercio. E l'Europa deve intensificare la sua azione

Si può discutere sulle cifre, non sull’impatto pesantemente negativo della crisi del Mar Rosso. Ad esempio, c’è chi dice che la guerra degli houthi costi al settore agroalimentare 5,5 miliardi a livello di export, chi invece sostiene ‘solo’ 4. Ma sono comunque cifre enormi. Sotto pressione c’è soprattutto l’ortofrutta ma anche vino, pasta, prodotti da forno non se la passano bene. Un conto è sfruttare il canale di Suez, un conto è dover circumnavigare l’Africa e sobbarcarsi costi ulteriori di energia e di noli, un conto ancora è non poter raggiungere le rotte verso l’Asia come si faceva prima.

Un altro esempio da massima allerta sono i porti del Mediterraneo che rischiano di trovarsi tagliati fuori dai traffici commerciali. La situazione è così delicata che pure l’Ispi (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) nella sua newsletter sottolinea i pericoli che stiamo correndo: tra gli stretti di Bab-el-Mandeb e il Canale di Suez transita circa il 22% del commercio mondiale e se le navi non passano da lì “i porti del Mediterraneo tornano al 1868”, la citazione di una dichiarazione del presidente dell’Autorità portuale di Trieste, Zeno D’Agostino. In effetti, allungando il viaggio con la circumnavigazione dell’Africa dal Capo di Buona Speranza si passa (prendendo come esempio la rotta Singapore-Rotterdam) da 8500 a 11800 miglia, cioè da 26 a 36 giorni di navigazione. E, in particolare, non ci si affaccia più subito sul Mare Nostrum – Trieste, Genova, Gioia tauro, Piombino, Ravenna – ma diventano prioritari l’Olanda e gli scali del Nord.

Tutto questo per dire che il Mar Rosso non è un luogo lontano ma è casa nostra, è roba nostra. Prima si risolve questa crisi, prima tornerà a sorridere un’economia già stressata dalla guerra Russia-Ucraina e dal conflitto tra Israele e Hamas. Al netto di qualsiasi analisi geopolitica, di collegamenti veri o presunti tra gli houthi e cosa sta accadendo nella striscia di Gaza, dell’ingerenza iraniana e della strategia attendista di Putin e Xi Ping, conviene che l’Europa non smetta di darsi da fare e di considerare quella zona del mondo particolarmente calda come centrale nel dibattito dell’esecutivo di Ursula von der Leyen e in quello che verrà dopo le elezioni di giugno. Se il presidio militare è indispensabile per proteggere le navi – la missione Ue Aspides che vede coinvolta in prima linea la Marina italiana – diventa dirimente l’azione diplomatica da portare avanti anche sottotraccia. Una volta noi europei eravamo bravissimi a mediare, una volta.