Cosa resta del Green Deal nei programmi elettorali dei partiti europei
A un mese dalle europee, nei manifesti per le elezioni della gran parte dei Partiti politici europei il Patto verde passa in secondo piano, sacrificato sull’altare della competitività europea e di una difesa comune.
È stato uno dei cardini della Commissione europea targata von der Leyen, almeno fino agli ultimi mesi. Poi – di fronte alle proteste degli agricoltori e al malumore di una parte del mondo produttivo europeo – il Green Deal è stato messo per primo sul banco degli imputati e rapidamente ridimensionato anche da chi ne aveva voluto fare la propria bandiera. Ma la sua attuazione è appena cominciata.
A un mese dall’appuntamento elettorale, nei manifesti per le elezioni della gran parte dei Partiti politici europei il Patto verde passa in secondo piano, sacrificato sull’altare della competitività europea da rilanciare e di una difesa comune da costruire. A partire da due dei tre partiti che hanno costituito la spina dorsale della cosiddetta ‘maggioranza Ursula’. Il Partito popolare europeo (Ppe) – famiglia d’appartenenza della stessa Ursula von der Leyen – nel corso dell’anno si è spaccato su alcuni dei dossier legislativi più importanti del Green Deal, ribattezzandosi come il partito degli agricoltori e criticandone l’impianto troppo ideologico. “Il Green Deal europeo è nato dalla necessità di proteggere le persone e il pianeta, ma è stato anche concepito come un’opportunità per costruire la nostra prosperità futura“, mette in chiaro il programma elettorale del Ppe, dopo aver affrontato i nodi Ucraina, difesa, politica estera, migrazione irregolare, terrorismo e crimine organizzato, violenza sulle donne e competitività europea. “Mentre entriamo nella prossima fase del Green Deal, quella dell’attuazione, continueremo a sostenere l’industria europea durante questa transizione, dalla legge sull’industria a zero emissioni alla legge sulle materie prime critiche”, prosegue il manifesto dei popolari. Ribadendo chiaramente l’ambizione di sostenere la decarbonizzazione dell’industria europea, “essenziale per la nostra futura competitività”, il Ppe sottolinea che “senza un’economia competitiva non ci può essere nemmeno una protezione sostenibile del clima“. E sferra l’attacco contro Verdi e Socialdemocratici: “Per noi il Green Deal non è una nuova ideologia, ma il segno distintivo dell’Europa più prospera, innovativa, competitiva e sostenibile che il Ppe immagina”.
Il focus è sul rischio di deindustrializzazione da scongiurare, sul sostegno alle imprese e sulla difesa del principio di neutralità tecnologica. Nel senso che l’Ue “deve lasciare spazio agli attori privati, locali e industriali per trovare soluzioni tecnologiche adeguate“, perché “dovrebbero essere gli ingegneri, e non i politici, a decidere insieme al mercato la tecnologia migliore per raggiungere la neutralità del carbonio”. Il Ppe promette un’attuazione del Green Deal “tenendo sempre in piena considerazione gli interessi dei nostri cittadini e dei nostri imprenditori, ma anche “le esigenze delle città e delle regioni nella preparazione delle strategie ambientali, energetiche e climatiche e dei relativi finanziamenti”.
Anche i liberali di Renew Europe giurano fedeltà al Patto verde, che nell’elenco delle dieci priorità elettorali trova spazio dopo difesa, competitività e stato di diritto. “È tempo di implementazione”, recita il manifesto, mettendo però i puntini sulle i sulla polarizzazione del dibattito sul clima degli ultimi mesi. Secondo Renew gli agricoltori, “arrabbiati e a ragione”, sono stati dipinti da alcuni esponenti della sinistra come “nemici del clima” mentre la destra ne “usa lo sconforto per innestare una guerra contro le politiche climatiche”. I liberali promettono “proposte concrete per uscire dal dibattito in bianco e nero in cui siamo caduti e semplificare la vita degli agricoltori a vantaggio di tutti i cittadini”.
Il Green Deal è ben più alto nella lista delle priorità del Partito Socialista Europeo, ma è un “nuovo patto verde e sociale”, un “Green Deal dal cuore rosso” che trova le sue fondamenta sull’alleanza “tra politiche sociali ed ecologiche“. La famiglia socialista e il candidato del partito alla presidenza della Commissione europea, Nicolas Schmit, sabato 11 maggio terranno una conferenza a Rotterdam – insieme allo Spitzenkandidat dei Verdi Europei, Bas Eickhout – dal titolo emblematico: “Siamo uniti per la nostra Europa”. A cui parteciperà anche l’ex vicepresidente della Commissione europea responsabile per il Green Deal, Frans Timmermans. Rinsaldare l’intesa con i Verdi – duramente criticati per il loro presunto ideologismo green da una parte del mondo produttivo e della politica – sarebbe un segnale politico importante, interpretabile con l’ambizione del Partito Socialista Europeo di rivestire il ruolo di vero custode dell’attuazione del Patto verde europeo. “Siamo in profondo disaccordo con l’approccio dei conservatori che considera la sostenibilità nemica delle agricoltrici e degli agricoltori – prosegue il manifesto socialista – la nostra lotta per il Green Deal è anche una lotta per migliorare la vita delle agricoltrici e degli agricoltori”.
Da un lato rafforzare la Politica agricola comune, sostenere i redditi degli agricoltori e proteggerli al contempo “dalla concorrenza sleale dai paesi terzi e dalla speculazione e consentendo la formazione di prezzi equi nella catena del valore”. Dall’altro supportare gli agricoltori “finanziariamente e tecnicamente per raggiungere gli obiettivi di transizione verso metodi agricoli rispettosi dell’ambiente”. Nel loro programma, i Verdi sposano lo stesso ritornello: “Giustizia climatica e giustizia sociale sono due facce della stessa medaglia”. A testimonianza del nuovo corso che vogliono imprimere, insieme alla famiglia socialista, al Patto verde. Un “Green and Social Deal”, un massiccio piano di investimenti perché la lotta contro la disuguaglianza economica e la tutela del clima e della natura vadano di pari passo. “Dobbiamo avere il coraggio di fare ciò che è necessario”, afferma il manifesto elettorale della famiglia ecologista europea.
Agli antipodi il programma dei partiti di destra ed estrema destra, i Conservatori e Riformisti Europei (Ecr) e Identità e Democrazia (Id). Quest’ultimo, sebbene non abbia presentato alcun programma scritto in vista delle elezioni di giugno, ha dimostrato già nel mandato in corso la propria avversione al Patto verde disegnato dalla Commissione europea, ergendo il commissario per il Clima Timmermans a pericolo pubblico numero uno per le imprese e i cittadini Ue. Posizione simile a quella della famiglia politica guidata da Giorgia Meloni, che nel suo manifesto prevede una “revisione del Green Deal”, con un approccio “opposto a quello promosso dall’Ue negli ultimi cinque anni”. Ecr propone una strategia climatica “più equilibrata e localizzata, che non dimentichi la gente comune e che dia la priorità alle questioni socio-economiche al benessere socio-economico”. Concretamente, i Conservatori europei promettono di “dare priorità all’attuazione dei requisiti legislativi esistenti e di garantire i finanziamenti necessari per farlo”, e solo in un secondo momento “prendere in considerazione nuovi regolamenti”. Stando sull’attenti per proteggere “cittadini, gli agricoltori e le imprese dagli impatti negativi dell’attuale politica climatica verde troppo ideologica”.
Allo stesso modo, Ecr è “fermamente impegnata a condurre una revisione approfondita” dell’attuale Politica Agricola Comune. “Ne abbiamo abbastanza della burocrazia della Pac e faremo dell’efficienza la nostra massima priorità”, proclama il manifesto elettorale. Dal lato opposto dello spettro politico dell’Eurocamera, la Sinistra europea denuncia un Green Deal che “rimane bloccato in un quadro di riconciliazione con il sistema di produzione capitalista che deve essere superato”. Anche la Pac va riscritta completamente, con l’obiettivo di “abolire gradualmente il sistema di assegnazione dei fondi in base alla superficie e di reindirizzarli verso un’agricoltura sostenibile e rispettosa dell’ambiente”. Promuovendo un modello di piccole aziende agricole sostenibili e di “alimenti sani in cui i prodotti hanno un breve circuito commerciale”.