Giorgetti: “Difesa sfida epocale, ma Ue ancora in ritardo rispetto a Usa e Asia”

Per il ministro dell'Economia l'Europa ha un vulnus di competitività sulla finanza di mercato. E avverte: serve l'aiuto del "sistema nel suo complesso"

La difesa è un tema non rinviabile, eppure c’è un ‘però’ nelle riflessioni di Giancarlo Giorgetti. La platea è quella degli associati all’Abi e il ministro dell’Economia non sorvola sul nuovo programma economico-finanziario dell’Ue. Anzi. “Siamo passati dal dovere esclusivo della conversione energetica alla conversione verso l’industria delle armi”. Il responsabile del Mef, se ne guarda bene dal dare giudizi di valore: “Vi prego solo di considerare la velocità e la sorpresa di questa inversione impensabile soltanto due anni fa”.

Ci sono diversi fattori di cui tenere conto, ma il ministro si sofferma su uno un particolare: “L’Europa sconta tutt’ora un significativo ritardo, rispetto agli Stati Uniti e gli altri Paesi asiatici, nello sviluppo della finanza di mercato e ciò si traduce in un vulnus di competitività, un punto di debolezza – ammonisce -, in quanto comporta minore capacità del sistema finanziario di promuovere l’innovazione attraverso il capitale di rischio e di assorbire gli shock esogeni”.

La critica assume un peso specifico maggiore in considerazione del fatto che “nell’Unione europea è necessario finanziare le nuove priorità strategiche e assicurarne l’autonomia strategica”. Ragion per cui, avvisa Giorgetti, “è ancora più impellente l’esigenza di sviluppare appieno la finanza di mercato per sostenere progetti innovativi e di lungo periodo”. Non cita direttamente il tema, ma è questione di pochi minuti, perché poi volta pagina e punta dritto: “Riguardo al riarmo e al mutamento dell’intera filiera dell’industria della difesa, altre nazioni hanno investito cifre imponenti nell’aumento di produttività”. Poi, si rivolge direttamente ai soci Abi: “L’acquisto da parte dei fondi esteri di pezzi importanti di questa filiera è già in atto ed è allora doveroso chiedere cosa fa il sistema bancario italiano. Alcune banche possiedono una conoscenza incredibile degli indici industriali delle imprese di questa filiera”. Ecco perché lancia il suo monito: “Il sistema nel suo complesso deve affrontare questa sfida epocale”.

Sebbene il termine in sé non piaccia più di tanto a Giorgetti: “Ogni volta che qualcuno mi parla di sfida, viste le virate, sono diventato anche diffidente e quindi meglio, forse, chiamarli problemi da affrontare con serenità”. Battute (taglienti) a parte, il ministro dell’Economia non si sottrae nemmeno sull’altro grande argomento che angustia l’economia europea e occidentale: i dazi. Che definisce “sintomo di un mutamento epocale del quadro dello scambio”, citando il passaggio dagli Usa a guida di Bill Clinton, che hanno aperto le porte alla globalizzazione, a quelli della seconda era Trump che “hanno fatto marcia indietro”. Una inversione di rotta “impensabile fino a a qualche anno fa”. Tutti addendi che si sommano in un quadro generale tutt’altro che confortevole, o confortante: “Mettiamo in fila i dazi, la guerra, il crollo demografico, i rischi climatici (che non sono scomparsi), la rivoluzione digitale. In nessun anno, nel secondo Dopoguerra, ci siamo trovati di fronte a tanti guai, che oggi va di moda chiamare sfide, e così li chiameremo anche noi”.

In questo scenario, però, c’è un’Italia diversa. “Va constatato come l’Italia, nell’attuale contesto, continui a dare segnali che non esito a definire positivi. Nei primi tre mesi del 2025 il Pil è aumento dello 0,3% in termini congiunturali, con una variazione acquisita per l’intero anno che si attesta allo 0,5”, rivendica Giorgetti. Che mette in fila i numeri positivi della finanza pubblica e il “consolidamento dei conti pubblici, che hanno permesso di raggiungere un livello di spread ai minimi da 15 anni e quindi un miglioramento nel giudizio delle agenzie di rating”.

Il ministro sottolinea pure una “ricomposizione della spesa primaria, con un contenimento della spesa corrente, ottenuto anche grazie al programma di revisione della spesa in corso e un incremento degli investimenti pubblici”. Il governo, assicura Giorgetti, prevede “di mantenere questa tendenza nei prossimi anni, anche grazie al Pnrr, a conferma dell’orientamento verso una maggiore qualità della spesa pubblica e verso dei componenti con un maggiore impatto sulla crescita economica di lungo periodo”. Dazi e “guai” permettendo.