Le istituzioni comunitarie scavano sotto lo strato dell’ambientalismo di facciata per mettere al bando il greenwashing. All’interno dell’ampio pacchetto sull’economia circolare presentato dalla Commissione europea lo scorso 30 marzo, il gabinetto guidato da Ursula von der Leyen ha proposto una serie di linee-guida per la tutela dei consumatori e della transizione verde. I concetti-chiave sono due: diritto di fare scelte informate al momento dell’acquisto e rispetto dell’ambiente, anche per quanto riguarda i messaggi che vengono veicolati dalle pubblicità delle aziende e dal confezionamento dei beni di consumo.
Non è un caso se il greenwashing – la strategia di comunicazione finalizzata a costruire un’immagine ingannevolmente positiva sotto il profilo ambientale, per nascondere gli effetti negativi delle pratiche e delle attività industriali – viene classificato come “pratica commerciale sleale” dall’esecutivo UE, che ha promesso di condurre una lotta senza quartiere per la sua estirpazione. A questo proposito, la proposta di direttiva mette nero su bianco che un commerciante o un produttore non può ingannare il consumatore con dichiarazioni ambientali “senza impegni e obiettivi chiari, oggettivi e verificabili, e senza un sistema di monitoraggio indipendente”. L’obiettivo è stato tracciato con particolare chiarezza dal commissario europeo per la Giustizia, Didier Reynders. “Se non iniziamo a consumare in modo più sostenibile, non raggiungeremo gli obiettivi del Green Deal europeo”, ha avvertito il commissario, sottolineando però che il problema sta a monte: “La maggior parte dei consumatori è disposta a contribuire in modo significativo, ma in questi anni abbiamo anche assistito a un aumento del greenwashing”. È per questo motivo che “serve protezione contro le pratiche commerciali sleali che abusano dell’interesse a comprare verde”, ha puntualizzato il titolare della Giustizia.
Nella pratica, tutto ciò avrà un impatto concreto sulle abitudini di acquisto dei consumatori dell’Unione, se la proposta della Commissione sulla sostenibilità dei prodotti sarà approvata e adottata integralmente durante la fase di negoziati tra i co-legislatori del Consiglio dell’UE e del Parlamento Europeo: la direttiva recepita nella legislazione nazionale di ciascuno Stato membro metterà al bando affermazioni ambientali generiche come “ecologico”, “eco” o “verde” sulle etichette dei prodotti e nelle pubblicità, qualora non possano essere dimostrate con evidenze scientifiche. Si andranno così a colpire sia i messaggi che “suggeriscono erroneamente o creano l’impressione di eccellenti prestazioni ambientali”, sia quelli che estendono l’affermazione all’intero prodotto, quando in realtà riguarda uno solo dei suoi aspetti. Allo stesso modo, non potranno essere esposte etichette di “sostenibilità volontaria” che non siano certificate da autorità pubbliche o indipendenti.
La proposta da Bruxelles arriva a pochi mesi dalla relazione sulla Finanza sostenibile pubblicata dalla Corte dei conti europea, che ha rilevato come – nonostante gli impegni e le premesse – l’UE non faccia ancora abbastanza per indirizzare i fondi disponibili verso attività realmente “sostenibili” che possano guidare la transizione verde verso un’economia a zero emissioni. La criticità maggiore nell’indirizzare gli investitori verso le opportunità di investimento più sostenibili risiede proprio nel fatto che per il momento manca un’azione specifica per definire con chiarezza e trasparenza cosa è sostenibile e cosa non lo è sul piano ambientale e sociale. Come conseguenza, “ancora troppi fondi finiscono in attività da considerare non sostenibili”, ha commentato Eva Lindström, responsabile della relazione della Corte dei conti pubblicata il 20 settembre 2021. “Esistono troppe interpretazioni diverse sulla sostenibilità e questo crea un vero ostacolo nel cambiare l’atteggiamento degli investitori”, ha aggiunto, ribadendo che l’assenza di un quadro comune “alimenta l’ambientalismo di facciata di molte aziende”, che spacciano per sostenibile ciò che non lo è “perché mancano criteri scientifici per definirlo”. Scavando sotto lo strato del finto verde del greenwashing, le istituzioni comunitarie sono chiamate ora a proteggere la transizione verde anche da chi ne sfrutta l’attrattività per continuare a mettere in pericolo l’ambiente.