Una conta all’ultimo voto. È quella che si prospetta alla sessione plenaria del Parlamento europeo iniziata ieri a Strasburgo (fino a giovedì 7 luglio) in cui gli eurodeputati voteranno mercoledì su un’obiezione alla proposta della Commissione Europea di inserire, per un tempo limitato e a certe condizioni, l’energia nucleare e il gas naturale nella tassonomia, la lista delle attività economiche sostenibili dal punto di vista ambientale a cui l’Ue lavora da anni.
Nonostante le critiche che hanno accompagnato la proposta, la Commissione europea a guida Ursula von der Leyen ha difeso la scelta di considerare sia gas sia nucleare fonti necessarie alla transizione verso l’energia pulita. La tassonomia è lo strumento con cui la Commissione europea punta a mobilitare grandi somme di capitale (provenienti in particolare dal settore privato) in attività con cui finanziare gli obiettivi del Green Deal. Il secondo atto delegato al regolamento sulla tassonomia – quello che riguarda i criteri con cui classificare anche il gas e il nucleare – è stato adottato formalmente dall’Esecutivo europeo all’inizio di febbraio, poi presentato al Consiglio e al Parlamento Ue che in qualità di co-legislatori hanno quattro mesi di tempo (prorogabili a sei) fino all’11 luglio per opporvisi.
La proposta della Commissione (anche se ormai era certo da tempo che avrebbe incluso gas e nucleare nella tassonomia, bisognava solo capire a quali condizioni) è stata accolta con freddezza da entrambe le parti, chi perché contrario all’inclusione del nucleare, chi al prolungamento dell’uso delle centrali a gas per la produzione di energia elettrica, chi a entrambi. Anche più criticata la decisione di lasciare agli “atti delegati” secondari (su cui i co-legislatori possono dire solo ‘sì’ o ‘no’, senza possibilità di emendarli) la definizione dei criteri specifici con cui classificare le attività economiche sostenibili.
Critiche che si sono intensificate dopo l’inizio della guerra in Ucraina da parte della Russia, il principale fornitore di gas all’Europa e in parte anche dell’uranio arricchito usato per l’energia dell’atomo. I critici della tassonomia considerano l’atto delegato ormai ‘vecchio’ e superato dalla nuova necessità di affrancare l’Ue dal gas russo e ricorrere sempre meno al gas in generale. Alla plenaria dell’Europarlamento – che terrà martedì un dibattito con i rappresentanti della Commissione europea – servirà una maggioranza semplice di 353 voti per approvare il testo dell’obiezione sul gas e nucleare presentato a maggio da una coalizione trasversale di partiti, che vanno dalla destra del Partito popolare europeo alla Sinistra. L’obiezione in questione è stata accolta a maggio con un voto risicato (76 voti favorevoli, 62 contrari e 4 astenuti) nelle due commissioni riunite degli Affari economici (Econ) e dell’Ambiente (Envi) competenti per la questione, ma il fatto che sia stata accolta non significa che in automatico passerà anche dalla plenaria.
Anche alla vigilia del voto, l’esito sembra ancora molto incerto. Il Partito popolare europeo (Ppe, è il gruppo che ha più seggi a Strasburgo) ha una maggioranza a favore della proposta della Commissione europea ma è probabile che non darà indicazione di voto ai suoi parlamentari. Una decisione in questo senso è attesa non prima di martedì sera, ma è più probabile che il gruppo decida di lasciare ‘liberi’ i parlamentari di seguire le indicazioni nazionali. A votare contro l’obiezione su gas e nucleare saranno anche i Conservatori e Riformisti di ECR e i liberali di Renew Europe (molti dei quali evidentemente seguiranno la linea dettata dal presidente francese Emmanuel Macron pro-nucleare). I Socialisti&Democratici (S&D) sosterranno invece l’obiezione, ma il voto sarà risicato secondo varie fonti. Con loro anche i Verdi europei e la Sinistra unitaria (ex GUE), con cui si arriverebbe a poco più di 250 voti contrari. Mancherebbero un centinaio di indecisi, almeno sulla carta.
Questi gli orientamenti al voto già espressi dai principali gruppi politici, ma non è indicativo di come andrà il voto di mercoledì, soprattutto perché è probabile che molti parlamentari votino in base alle indicazioni nazionali, più che di quelle del gruppo al Parlamento Ue a cui appartengono. Se l’atto delegato dovesse davvero essere bocciato dall’Eurocamera, la Commissione europea sarà costretta a ritirarlo o a modificarlo.