All’indomani del via libera definitivo dell’europarlamento allo stop ai motori termici dal 2035, in Italia è tutta una levata di scudi. I tempi e i modi che l’Europa impone, per il governo, sono impraticabili. Sulla riconversione green del settore, “lo dico con franchezza, siamo in estremo ritardo“, ammette Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy. Ora si investe su nuove tecnologie, gigafactory e colonnine elettriche. Ma in passato, recrimina, “si è fatto poco“.
I punti di ricarica lungo lo Stivale sono appena 36mila. Roma impallidisce davanti, ad esempio, ai piccoli Paesi Bassi, che vantano 90mila punti ricarica. Il 20% della produzione industriale italiana arriva dall’automotive e il rischio di una crisi sul fronte dell’occupazione è plastico. “Non c’è tempo di riconvertire la filiera, non possiamo affrontare la realtà con una visione ideologica“, tuona Urso. Il governo italiano è impegnato perché con la clausola di revisione del 2026 si possano determinare “altre tempistiche e altre modalità“, fa sapere. Le modifiche potrebbero riguardare l’alimentazione delle auto, introducendo il biocombustibile, il biometano o l’idrogeno.
Da “grande sostenitore dell’auto elettrica“, anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani si dice scettico: “Gli obiettivi ambiziosi devono poter essere raggiunti sul serio, non soltanto sulla carta“, fa notare. Ecco perché considera un “errore grave” quello della Commissione europea, che ha proposto la fine della costruzione di motori non elettrici a partire dal 2035. Da parlamentare europeo, Tajani votò contro la prima volta: “Con questa riforma rischiamo di perdere 70mila posti di lavoro”, conferma. Propone di iniziare nel 2035 a ridurre le emissioni di Co2 non del 100% ma del 90%, per permettere all’industria automobilistica (e alle molte aziende di componentistica italiane che servono anche aziende di altri Paesi europei) di adeguarsi. “Bene la lotta al cambiamento climatico, ma se vogliamo farla bene dobbiamo dare degli obiettivi raggiungibili. Altrimenti non si aiuta l’economia reale e non si combatte il cambiamento climatico”, commenta.
Vannia Gava, sottosegretario all’Ambiente, giura che l’Italia andrà avanti “in tutte le sedi e con tutti gli strumenti a disposizione per rallentare questo processo e per offrire altri percorsi che rispondono ai criteri della sostenibilità senza mettere ko il Paese“. Qualcosa si muove anche sull’elettrico, ma lentamente: con il Pnrr arriveranno oltre 20mila colonnine di ricarica nella rete, ma in tre anni, e “non è realistico e nemmeno giusto costringere milioni di automobilisti a cambiare macchine, stili, comportamenti nel giro di poco tempo. Molti poi, per essere espliciti, non si possono permettere l’elettrico“, sottolinea.
Sempre sul fronte auto, il governo si prepara a un’altra grana, con la fiducia sul decreto trasparenza che il governo pone in Aula alla Camera domani e verrà votata da lunedì 20. I sindacati promettono nuove mobilitazioni sull’obbligo di esposizione del prezzo medio dei carburanti “nonostante tutta la filiera, gli esperti di settore e l’Antitrust, avessero ‘bocciato’ il famigerato cartello del prezzo medio, nonostante tutte le forze politiche di maggioranza ed opposizione, compattamente, abbiano cercato una mediazione ragionevole, presentando emendamenti per cercare di ‘migliorare’ un provvedimento nato ‘di pancia’ su presupposti e dati oggettivi sbagliati ed incontrollati, il Governo si impunta“, spiega la Figisc-Confcommercio. “Come fosse una questione di vita o di morte, continuando ad individuare i gestori quali responsabili di una speculazione che non esiste al livello della fase finale della distribuzione”, lamenta il sindacato. “Il cartello del prezzo medio servirà solo ad allineare al rialzo il prezzo finale dei carburanti, con grave danno dei cittadini e dei gestori, come per altro segnalato persino dall’Antitrust in audizione”, fa presente la Faib-Confesercenti. La fiducia è incomprensibile anche per Assopetroli-Assoenergia, che parla di una “sproporzione evidente” e di una “strumentalizzazione politica che porta a imporre con la forza una soluzione finta ad un’emergenza altrettanto finta, quella del caro benzina. Una strumentalizzazione giocata come sempre sulla pelle delle imprese, vittime incolpevoli di quello che appare un regolamento di conti dentro la maggioranza“.