Il veto alla riforma della governance Ue non è una minaccia, ma un’ipotesi concreta che l’Italia non vuole togliere dal tavolo del negoziato. A confermarlo è direttamente la premier, Giorgia Meloni, durante le repliche in Senato alle comunicazioni in vista del Consiglio europeo di domani e venerdì, cogliendo come un assist il passaggio dell’intervento del senatore a vita, Mario Monti, uno che a Palazzo Chigi c’è già stato e i riti dei consessi continentali li conosce molto bene. “Io non escludo nessuna delle scelte“, dice infatti la presidente del Consiglio, stando però bene attenta a non alzare un muro con i partener europei: “Credo che alla fine si debba fare la valutazione su ciò che è meglio per l’Italia, sapendo chiaramente che se non si trova una soluzione e un accordo, torniamo ai precedenti parametri”. Dunque, “bisogna fare una valutazione tra le diverse ipotesi“, aggiunge il capo del governo, garantendo di fare “tutto quello che posso per far ragionare e confrontarmi con i miei omologhi sul fatto che quello che stiamo proponendo è utile non solamente a noi, ma a una strategia”.
Del resto, che la revisione del Patto di stabilità e crescita fosse una partita difficile era noto da tempo, ma il governo italiano non vuole comunque vederla come impossibile, esattamente come è stato per la rimodulazione del Pnrr: “Sono molto fiera del lavoro fatto sul Piano, nonostante ci sia stato un racconto distorsivo che non fa stato al ruolo dell’Italia e di quello che possiamo ottenere con un po’ di pragmatismo e buonsenso. C’è chi ha tifato di più perché all’Italia non venisse pagata la terza rata del Piano nazionale di ripresa e resilienza che alla finale di Coppa Davis“, punta il dito. Ragion per cui, spiega la premier a Palazzo Madama, “la trattativa è molto serrata e le posizioni di partenza sono molto distanti, però, penso che qualche spiraglio si veda. La posizione italiana è che si debba decidere alla fine di questa trattativa, che rimane molto complessa“. La richiesta è sempre la stessa: “Una riforma del Patto che tenga conto di una strategia che l’Europa s’è data, cioè Next Generation Eu, transizione verde, transizione digitale, il rafforzamento della politica di difesa. Non avrebbe senso che l’Europa, nel momento in cui deve definire quale è la governance, non tenesse conto di ciò che ha incentivato gli Stati nazionali a fare”, sostiene. Rinforzando il concetto: “Riconoscere il valore di quegli investimenti non serve solo all’Italia ma all’Europa intera, altrimenti si continuano a fare cose completamente miopi”.
Per ottenere il risultato molto dipenderà dal gioco di sponda che il nostro Paese riuscirà a costruire con gli altri Stati membri. Ragion per cui Meloni attacca frontalmente l’opposizione, e in particolare il Pd, che la accusa di cercare appoggio nei partner ‘sbagliati’. “Se dovessi seguire il ragionamento che ho sentito da diversi esponenti della sinistra, di non parlare con chi ha posizioni distanti da noi su vari temi, non dovrei discutere nemmeno con la Germania”, argomenta in aula. Specificando che “sul Patto di stabilità la nazione che ha la posizione più distante da noi non è mica l’Ungheria di Orban, ma la Germania di Scholz”. Tolti i sassolini dalle scarpe, ammette che questa posizione è “legittima” e manda un messaggio alla minoranza: “E’ un enorme errore in politica estera sovrapporre il rapporto tra governi alle logiche di partito, è una stupidaggine”.
L’occasione è buona anche per correggere il tiro rispetto alle parole pronunciate ieri, alla Camera, sul suo predecessore a Palazzo Chigi. Quando, parlando dell’immagine di Mario Draghi in treno con Olaf Scholz ed Emmanuel Macron in viaggio verso Kiev, aveva detto: “Per alcuni la politica estera sia stata banalmente farsi fare delle fotografie con Francia e Germania, anche quando a casa non si portava niente”. Oggi la marcia indietro, o il chiarimento che dir sì voglia: “Lungi dall’essere un attacco a Mario Draghi, come è stato letto. Tutti sanno cosa penso della fermezza, particolarmente, che ha avuto nella questione ucraina con una maggioranza difficile da gestire. Quello che cercavo di spiegare è che, proprio perché ho rispetto per quella fermezza, non si risolve il lavoro fatto nella foto sul treno con i francesi e tedeschi. Dispiace che si cerchi di ribaltare il tavolo su quello, perché quel treno l’ho preso anche io per andare a Kiev”. Oggi c’è un altro treno da non perdere, quello europeo sul Patto di stabilità.