Pochi giorni fa si è conclusa la fiera Ecomondo a Rimini, punto di incontro per istituzioni, imprese, stakeholder nell’ambito dell’economia circolare e la sostenibilità. Un decimo delle aziende in fiera erano venete, quasi un primato. Da mesi nella regione si stanno moltiplicando gli sforzi verso la decarbonizzazione: nel secondo trimestre è stato installato un impianto fotovoltaico da circa 10 MW e da un recente studio di Boston Consulting emerge come un quarto delle aziende intervistate prevede di valutare la conversione all’uso di idrogeno, tra cui alcune energivore che attualmente considerano il biometano, l’elettrificazione e l’efficienza energetica come leve prioritarie per la riduzione delle emissioni di CO2. Tra le imprese interessate, infine il 67% prevede l’uso di idrogeno come combustibile nei trasporti.
Presidente Luca Zaia, quali azioni ha messo in campo la Regione per favorire lo sviluppo sostenibile e la transizione ecologica?
“Quando ancora nessuno ci credeva e non si parlava di sostenibilità, c’erano realtà venete che hanno avviato per prime la raccolta differenziata. Stiamo parlando di oltre vent’anni fa; oggi la nostra regione si conferma a livello nazionale la più attenta nella gestione dei rifiuti domestici, con 169 comuni ‘rifiuti free’ che coinvolgono 1.333.256 cittadini. Con i capoluoghi delle province di Treviso e Belluno in testa, il Veneto concorre a trainare il Nord nella classifica nazionale. È il segno di una sensibilità verso il futuro da parte dei cittadini inserita in una grande sinergia con tutte le istituzioni regionali. La Regione, infatti è protagonista di una visione strategica fondata sull’ottimizzazione dei processi in vari ambiti che ci trova pronti sempre a raccogliere le nuove sfide. Se parliamo di energia ad esempio, oggi il Veneto si è candidato a diventare la capitale dell’idrogeno, prospettiva energetica che garantisce ampi margini di sviluppo. Un’idea che si è fatta strada pensando alla realtà di Porto Marghera nell’ambito del più ampio progetto ‘Venezia capitale mondiale della sostenibilità’. Nella nostra regione non abbiamo ventilazione che ci consenta di pensare all’eolico e sull’idroelettrico, i margini di progresso sono estremamente relativi. Per questo puntiamo su fotovoltaico e idrogeno. Siamo convinti sia la scelta da fare sulle basi della capacità del territorio, la sua posizione, le strutture a disposizione e sulle potenzialità di una loro riconversione”.
A proposito di territorio, tornando ai numeri di Ecomondo, più precisamente hanno partecipato circa 130 aziende venete su 1500 espositori. Quale può essere il contributo delle imprese nell’accelerazione verso la green economy?
“Non mi stupisce una presenza così significativa. Il Veneto è uno dei più importanti poli produttivi internazionali e conta migliaia e migliaia di imprese che ogni giorno registrano risultati importantissimi nella via verso l’eco-efficienza. Un’affermazione che, anche in questo caso, pone la nostra regione nei primi posti a livello nazionale. I veneti sono dei lavoratori di natura e dei pianificatori. Da noi, quindi, la sostenibilità più che come un’incombenza è concepita non come un’opportunità. Se c’è una visione la conseguenza è un modello di produzione e consumo che punta alla condivisione, al riutilizzo, al ricondizionamento e al riciclo dei materiali. Pensiamo ai cantieri edili, ad esempio, per anni esempio di complessità nello smaltimento. Quest’estate la Regione ha firmato un protocollo d’intesa per la definizione di proposte operative per l’attuazione dell’economia circolare nell’edilizia. Il risultato è un tavolo con le varie parti interessate per la definizione di proposte operative, mirando, ad esempio, all’utilizzo di aggregati di recupero in sostituzione di materiali vergini anche promuovendo una specifica industria, all’individuazione di eventuali criticità nel quadro normativo vigente fornendo le possibili soluzioni, puntando alla promozione dell’impiego del Bim (Building Information Modeling) come strumento fondamentale nel raggiungimento degli obbiettivi di circolarità”.
Case green, auto elettriche, decarbonizzazione: da dove è necessario partire per una transizione che sia realmente sostenibile, anche dal punto di vista economico e sociale?
“Ogni sfida si vince se si parte dal punto di vista sociale e culturale. Non è facile retorica ma la realtà dire che il punto di partenza naturale e determinante per ogni novità è la sensibilizzazione dei più giovani tramite l’istruzione e le istituzioni scolastiche. Tornando alla gestione dei rifiuti, ero presidente della Provincia di Treviso quando oltre vent’anni fa fummo tra i primi ad avviare la raccolta differenziata porta a porta e fu un successo. Ci rendemmo conto che il merito era soprattutto dei giovani, anche bambini, che indicavano cosa fare ai familiari sulla base delle informazioni che apprendevano in specifiche lezioni organizzate a scuola. La sensibilità dei giovani nell’ambito dell’ecologia, della sostenibilità, del rispetto del pianeta è un capitale per tutta la società. Un capitale da non sottovalutare e, soprattutto, da non deludere o sprecare”.
Pnrr, lei è stato il primo a chiedere di rivedere il piano di spesa. Il governo sta cambiando le destinazioni degli investimenti. Secondo lei dove sarebbero da dirottare le maggiori risorse?
“Da quando è stato approvato il Pnrr è cambiato il mondo: prima la guerra in Ucraina, poi la crisi energetica a cui ora si aggiunge la preoccupazione per il Medio Oriente. Come Veneto siamo assolutamente in linea con gli investimenti dei fondi europei, non possiamo permetterci di restituire neanche un centesimo dei 235 miliardi di euro che dovrebbero arrivare all’Italia. Per questo rimango convinto che sia necessario avviare la rinegoziazione, per quanto possibile, dei fondi del PNRR, e ridisegnare il nostro business plan. Serve riportar dritta la barra del piano, cucendolo in modo sartoriale su quanto serve realmente a cittadini, amministrazioni e imprese. Mi riferisco soprattutto all’ambito energetico, dove bisogna far confluire fondi importanti per le energie rinnovabili”.
Ogni volta che si contano vittime e danni di maltempo, la parola ‘prevenzione’ torna protagonista. Dopo l’alluvione del 2010 avete fatto molti interventi, bastano? L’autonomia migliorerebbe la gestione della prevenzione?
“L’alluvione del 2010 ci ha costretto a gestire una situazione disastrosa; 10.000 unità tra famiglie e imprese erano coinvolte direttamente e in gravi problemi. È stata quella l’occasione per avviare una sorta di Piano Marshall contro il dissesto e per la difesa del suolo del valore di quasi due miliardi e mezzo di euro. Tra gli obbiettivi c’è stata la realizzazione di 23 bacini di laminazione e varie opere di contenimento e rinforzo del territorio. Tredici sono già attivi e dieci sono in fase avanzata di realizzazione. Nei primi giorni di novembre a fronte della devastante ondata di maltempo che ha investito il Veneto le opere già utilizzabili, come ad esempio il bacino di Caldogno, hanno consentito di reggere l’urto ed evitare il film già visto troppo spesso in passato di piene incontenibili. Abbiamo avuto la prova che è fondamentale non abbassare la guardia e continuare a lavorare sui bacini di laminazione e sugli argini per rafforzarli e renderli sempre più resistenti. Un lavoro che va portato avanti senza arretrare di fronte a quella burocrazia che troppo spesso ha imposto di rallentare la realizzazione dei cantieri. Messe insieme e raffrontate le esperienze abbiamo a disposizione un vero crash test che ci dice che è indispensabile sburocratizzare, anche investendo sui ruoli commissariali”.