Da lineare a circolare. Il filo rosso che lega tutte le politiche ambientali dell’Unione Europea è la necessità di passare a un modello di crescita e sviluppo più sostenibile, che mantenga elevata la competitività dell’industria europea ma al tempo stesso protegga l’ambiente. Un modello di sviluppo che implica “condivisione, prestito, riutilizzo, riparazione, ricondizionamento e riciclo” dei materiali e prodotti esistenti il più a lungo possibile nel mercato. In altri termini, un modello di sviluppo fondato sul principio di circolarità dell’economia: zero rifiuti e meno sprechi.
Su questi pilastri si basa il piano d’azione per l’economia circolare varato dalla Commissione europea a marzo 2020, con cui Bruxelles prende di mira tutti i settori dell’economia che utilizzano più risorse e che hanno un “potenziale di circolarità” più elevato, dall’elettronica e tecnologie dell’informazione e della comunicazione (le TIC), alle batterie e veicoli, agli imballaggi fino all’industria tessile. Il piano dell’Ue parte dalla considerazione che l’economia europea segue ancora un percorso per lo più di tipo lineare dell’economia (‘prendere-produrre-smaltire’), con solo il 12% di materiali e risorse secondari riportati nell’economia grazie a un approccio di circolarità. Continuando su questa rotta, secondo le stime dell’Ue, nel 2050 avremo bisogno di “tre pianeti” per sfruttare tutte le risorse per alimentare l’economia europea. Cambiare il modello produttivo è quindi un imperativo, ma impone anche un cambiamento culturale e imprenditoriale. Solo negli ultimi anni, diversi studi hanno dimostrato il potenziale sostanziale della circolarità come strumento di contrasto o mitigazione ai cambiamenti climatici, anche perché quasi la metà delle emissioni totali di gas serra proviene dall’estrazione e dall’elaborazione delle risorse.
I due pacchetti Ue per l’economia circolare – Dopo la presentazione del piano nel 2020, per Bruxelles è arrivato il momento di tradurre in iniziative concrete e vincolanti le azioni annunciate, attraverso due pacchetti legislativi concreti. Il primo dei due pacchetti per l’economia circolare è stato presentato dalla Commissione a marzo di quest’anno, con iniziative specifiche: nuove norme per l’eco-progettazione dei prodotti, un piano di lavoro di transizione per gli anni 2022-2024 (fino a che le nuove norme non saranno in vigore) e due iniziative settoriali per due dei comparti su cui l’UE vuole intervenire prima possibile per ridurre gli sprechi, l’industria tessile e i prodotti delle costruzioni. Il pilastro principale di questo primo pacchetto adottato a marzo è stata la proposta per nuovo “regolamento sulla progettazione ecocompatibile dei prodotti sostenibili”, che andrà a modificare tutta la normativa precedente per costruire un nuovo quadro politico dell’Ue sul tema della sostenibilità dei prodotti immessi sul mercato europeo.
Con la nuova normativa, Bruxelles intende ampliare la gamma di prodotti coperti (oggi limitata al settore dell’energia) e introdurre nuovi requisiti per avere prodotti più durevoli e con potenziale di essere riparati, invece che buttati via. Quali saranno questi prodotti sarà stabilito nei prossimi mesi con atti delegati secondari, dopo una consultazione con l’industria e le parti interessate, ma secondo le indicazioni potrebbero rientrarvi i tessili, i mobili, materassi, i pneumatici, le vernici, detersivi, lubrificanti ma anche ferro, acciaio e alluminio. Attesa per il 30 novembre – al netto di cambiamenti nell’agenda dell’ultima ora – la presentazione della seconda parte del pacchetto legislativo dedicato all’economia circolare che comprenderà una proposta di regolamento sulle dichiarazioni ambientali (dichiarazioni ‘verdi’), un nuovo quadro politico per le plastiche biodegradabili e compostabili, la revisione della direttiva sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio con obiettivi di prevenzione dei rifiuti livello Ue, che sta suscitando polemiche in Italia, e nuove misure per ridurre il rilascio di microplastiche nell’ambiente.