“Con il progetto BioTech abbiamo dimostrato nei fatti che le nuove biotecnologie sono uno strumento potente per rendere l’agricoltura più sostenibile, limitando l’uso di fitofarmaci, migliorando il valore nutrizionale degli alimenti e assicurando la produzione agricola, anche in un contesto di cambiamento climatico”. Così Luigi Cattivelli, direttore Crea Genomica e Bioinformatica e coordinatore di BioTech, il primo progetto di ricerca pubblica dedicato alle biotecnologie sostenibili in agricoltura. In 4 anni di sperimentazione, BioTech si è focalizzato sui problemi maggiori e prioritari che deve affrontare l’agricoltura italiana, cercandone le soluzioni più adeguate in ottica sostenibile: tra questi la resistenza alle malattie più diffuse e allo stress idrico, la resa e la migliore qualità nutrizionale.
RISULTATI E PROSPETTIVE
BioTech ha presentato i primi risultati al Festival del Giornalismo Alimentare di Torino. Hanno riguardato pomodori, melanzane, cereali e mele. Nell’ambito dei pomodori, sono state sviluppate piante capaci di bloccare lo sviluppo di alcune infestanti oppure con migliore resistenza alla salinità. Il progetto ha contribuito anche alla selezione di linee con elevato contenuto di vitamina D, un lavoro recentemente pubblicato sulla rivista Nature Plants. Per quanto riguarda le melanzane, sono state ottenute piante resistenti alla fusariosi o senza semi che consentono di ampliare il periodo di raccolta del frutto. In ambito cerealicolo, sono state invece messe a punto piante con semi più grandi oppure con nuovi geni di resistenza alle ruggini. Per le mele sono state studiate soluzioni contro le malattie, in particolare la ticchiolatura. Molti altri prodotti sono in fase di completamento a cominciare da vite, pero, kiwi e basilico resistenti a particolari malattie, pomodori ed agrumi arricchiti in antiossidanti, agrumi con semi più piccoli, uva da tavola senza seme.
APPROCCIO
“Le biotecnologie sostenibili – spiega il Crea in una nota – sono le nuove tecniche per la mutagenesi mirata (Genome Editing) e il trasferimento di geni tra piante della stessa specie (Cisgenesi). In entrambi i casi non si verifica l’inserimento di tratti Dna provenienti da organismi distanti, per cui, in realtà, queste piante sono sostanzialmente diverse dai tradizionali Ogm. Al contrario, esse sono molto più simili a quelle ottenibili, con maggiore difficoltà, minore efficienza e tempi assai più lunghi con i metodi convenzionali“.
A livello normativo, il Crea ha evidenziato che “queste piante sono oggetto della stessa norma che regola le piante transgeniche, che non consente la loro sperimentazione in campo“. Per questo i risultati “derivano tutti da prove realizzate in laboratorio“. Ma “per passare dal laboratorio alla realtà dei campi serve una nuova normativa“.