Nel 2050 l’idrogeno ricoprirà più del 20% dei fabbisogni energetici nei settori chiave dell’economia italiana. È il dato stimato dai primi studi promossi dall’Hydrogen JRP (Joint research platform) la piattaforma guidata dal Politecnico di Milano per promuovere la ricerca sugli aspetti di produzione, trasporto, accumulo e utilizzo dell’idrogeno come vettore di energia pulita. Ne ha parlato con GEA Stefano Campanari, professore al Dipartimento di Energia del Politecnico e presidente del comitato guida dell’Hydrogen JRP.
Il 20% del fabbisogno energetico italiano. Come siete arrivati a questo dato?
“È l’esito di una simulazione integrata del sistema energetico che indaga scenari di lungo termine di piena decarbonizzazione o ‘net zero CO2’. Nel nostro lavoro consideriamo diversi vettori energetici: energia elettrica, idrogeno, ma anche biometano e combustibili e-fuel. Teniamo conto poi della geografia dei flussi energetici nelle diverse regioni d’Italia e della stagionalità e variabilità temporale di produzione e domanda dell’energia rinnovabile. Infine, sovrapponiamo tutti i settori di destinazione. I risultati di questi primi studi sono quindi l’esito di un modello originale multi-vettore, multi-nodale, multi-settoriale, e time dependent”.
Si tratta di un risultato che vi sorprende?
“È un dato rilevante, ed è in linea con quanto ci attendiamo in tutti i Paesi impegnati nella piena decarbonizzazione. L’aspetto più importante è constatare come questi risultati, pur risentendo delle numerose ipotesi necessarie per svolgere queste simulazioni, si stiano continuando a consolidare su analisi sempre più affidabili e strutturate che stiamo via via svolgendo”.
Quale impatto corrisponde in termini di riduzione di emissioni?
“Abbiamo calcolato che l’utilizzo dell’idrogeno, sempre complementare ad altre tecnologie, può portare al risparmio di circa 80 milioni di tonnellate di CO2 di emissioni. Una quantità che corrisponde a oltre il 20% delle attuali emissioni”.
E in quali settori di destinazione prevede un maggiore impiego?
“Secondo il nostro modello il settore più coinvolto in termini di impatto sarà quello dei trasporti pesanti, seguito dall’industria e dagli altri settori della mobilità, fra cui aviazione e navigazione. Oltre ad un impatto significativo nella power generation, in parte della mobilità leggera e del riscaldamento domestico. Sono dati previsionali e di lungo termine, ma indicano come l’idrogeno sia in grado di collegare settori molto diversi fra loro, dove non sempre l’energia elettrica può essere un’alternativa completa”.
Stiamo parlando solo di idrogeno verde o immagina una commistione con idrogeno blu?
“Parliamo di una commistione di idrogeno verde (prodotta da elettrolisi dell’acqua alimentata da energie rinnovabili) e blu (prodotto da fonti fossili ma con cattura della CO2 di processo). Difficile azzardare una percentuale, ma possiamo immaginare nel lungo termine idrogeno verde per circa l’80% del totale, e una quota blu del 10-20%, che può derivare da volontà di diversificazione, opportunità di importazione e produzione nazionale, aspetti di minimizzazione dei costi; oltre allo sfruttamento di infrastrutture esistenti ed alla sinergia con lo sviluppo di una filiera di cattura di anidride carbonica che può risultare fondamentale in alcuni settori particolarmente ‘hard-to-abate’ e per consentire di chiudere il bilancio complessivo nazionale a zero emissioni nette di CO2”.
Non sarà tutto idrogeno prodotto in Italia.
“L’analisi punta a una produzione largamente prevalente sul suolo nazionale per ragioni strategiche. Ma ammette una quota di importazione per ragioni di flessibilità e ottimizzazione dei costi. Quindi, con alcune eccezioni, l’idea è studiare un sistema al 2050 che sia largamente basato sulla nostra produzione di idrogeno da energie rinnovabili”.
A proposito di produzione nazionale, come dobbiamo immaginare la filiera della produzione?
“Idrogeno verde significa elettrolisi. E l’elettrolisi può essere distribuita sul territorio tanto quanto lo sono gli impianti fotovoltaici ed eolici. Per cui dobbiamo immaginare un aumento massiccio del parco installato: la sfida è che dovremmo installare ogni anno 10 volte di più di quanto facciamo oggi. E in maniera il più possibile diffusa. Siccome, tuttavia, gran parte della domanda è concentrata nel Nord d’Italia, mentre sono al Sud le aree con maggiore disposizione di sole e vento, si deve tenere conto anche dei vincoli nel trasporto dell’energia a livello di flusso sull’intera penisola. Inoltre, sono necessari stoccaggi per sfruttare la possibilità di sfasare temporalmente la produzione e la domanda, una caratteristica offerta a costi particolarmente competitivi dall’idrogeno. La soluzione migliore è comunque una produzione diffusa con interconnessione tramite reti di trasporto”.
Ed è una soluzione percorribile?
“Dovemmo mettere in campo interventi regolatori, soprattutto volti a semplificare gli aspetti procedurali. Ma penso anche sia attuale un tema di incentivazione, sia nella filiera delle rinnovabili a monte dell’elettrolisi, sia nella produzione e stoccaggio idrogeno. Nel campo del fotovoltaico penso ad esempio a promuovere attraverso sistemi di defiscalizzazione l’installazione di pannelli fotovoltaici sui tetti delle aree industriali, o recuperando aree che non creino problemi di impatto ambientale. Nel settore produzione e stoccaggio idrogeno si prevedono forti riduzioni di costi al crescere delle installazioni, ma nella fase iniziale di transizione sono necessari incentivi specifici per consentire la realizzazione di questi progetti”.