Se anche Gozzi e la siderurgia italiana bocciano la nuova Europa

Ma a Bruxelles e a Strasburgo qualcuno avrà voglia (e coraggio) di ascoltare?

Non è stato tenero Antonio Gozzi, presidente di Federacciai, nei confronti dell’Europa e della nuova Commissione Ue. Nei pensieri e nelle parole, il numero uno dell’acciaio è andato ben oltre quanto aveva detto una settimana fa Emanuele Orsini, il presidente di Confindustria. La prima (e buona) parte del suo intervento all’Assemblea Pubblica, Gozzi l’ha dedicata a smontare il green deal e le politiche comunitarie che rischiano di mettere in ginocchio un comparto nodale per l’industria e per il Paese. Non è una novità assoluta, sia chiaro, ma toni e tenore hanno dato subito il senso di dove intendeva andare a parare. Basta citare due passaggi della relazione. Questi: “Se è vero che ‘sostenibilità’ è la parola d’ordine sulla quale sono indirizzate le politiche di sviluppo delle principali economie, non si può non evidenziare come in Europa tali politiche siano state condotte in maniera ideologica e talvolta estremista senza alcuna valorizzazione di impatto e di analisi costi/benefici, provocando gravi difficoltà ai sistemi industriali manifatturieri”. E ancora più tranchant: “Ci siamo sentiti liberi di esprimere subito la nostra delusione per il discorso di insediamento e riconferma della Presidente della Commissione Ursula von der Leyen, che ci è sembrato privo di reali novità rispetto al ‘main stream’ dell’era Timmermans. Timmermans non c’è più, fortunatamente, ma nonostante la cocente sconfitta in Olanda il suo fantasma sembra ancora aleggiare nei corridoi della Commissione e della sua burocrazia guardiana. L’accordo con i Verdi che ha portato alla conferma di von der Leyen non sembra preludere a una svolta rispetto agli errori del passato”. Sipario.

Gozzi ha tenuto a sottolineare come gli acciaieri italiani non siano negazionisti e schierati contro l’europeismo ma di sicuro non sono in linea con le direttrici di ‘questa’ Europa abbastanza ottusa e scollegata dalla realtà. “E’ il momento di cambiare”, ha soggiunto, lasciando capire che la misura è colma anche per una serie di altre preoccupazioni non da poco. La Cina è uno spauracchio se è vero che nella prima metà del 2024 la siderurgia di Pechino ha aumentato le esportazioni del 20%, se la congiuntura geopolitica fa accapponare la pelle e se il costo dell’energia sta soffocando l’intera filiera. Qui il disagio è anche continentale, perché – ad esempio – in Germania l’elettricità che fa funzionare i forni ha prezzi molto inferiori rispetto all’Italia, zavorrando così la competitività delle nostre aziende. Anche qui è indispensabile che ci sia un intervento riparatore, ‘rammendato’ nello specifico dalle dichiarazioni Gilberto Pichetto Fratin. Il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica ha indicato la soluzione per uscire dall’impasse: il nucleare di quarta generazione.

Resta una riflessione da sviluppare. Si sta allungando il rosario di lamentele nei confronti delle regole ‘verdi’ imposte dalla Ue. Orsini ha aperto la breccia, il ministro Adolfo Urso ha dato una discreta spallata con lo stop alle auto a motore endotermico, il ministro Pichetto non è stato da meno in merito alle case green, il presidente Gozzi non ha usato giri di parole. Ma a Bruxelles e a Strasburgo qualcuno avrà voglia (e coraggio) di ascoltare?