La sfida dell’agricoltura di montagna: difendere la biodiversità e l’ambiente

Nell’ultimo secolo abbiamo assistito a una grave perdita di biodiversità agricola: circa il 75% della diversità genetica delle specie coltivate nel mondo è scomparsa. “Le conseguenze di questo fenomeno sono negative non solo per l’ambiente ma anche per la salute umana”, spiega Luca Giupponi, ricercatore dell’Università degli Studi di Milano presso il polo Unimont di Edolo (Brescia). “Nel settore agroalimentare abbiamo deciso di puntare su razze animali e varietà agricole che garantissero elevati livelli di produzione a basso costo per rispondere alle esigenze del mercato, spesso a discapito della qualità e della varietà: ora ne vediamo gli effetti”. Il 25% della diversità genetica che oggi rimane va tutelato, difeso e valorizzato: il ruolo dell’agricoltura di montagna, in questo senso, è fondamentale. “I territori montani sono un vero e proprio scrigno di agro-biodiversità, e uno dei modi migliori per conservare colture in via di estinzione è proprio la loro coltivazione”.

Un esempio arriva dal Mais Nero Spinoso della Val Camonica. Quando nel 2015 l’Università della Montagna di Edolo ha iniziato a studiare questa varietà locale tradizionale c’era un solo agricoltore che la coltivava per passione. Gli studi del centro hanno però permesso di scoprire la presenza di preziose molecole antiossidanti e di importanti caratteristiche nutrizionali. Dopo un lungo iter burocratico e grazie al coinvolgimento di comuni ed enti del territorio, il Mais Nero Spinoso è stato iscritto nel registro nazionale delle varietà da conservazione. La coltura si è diffusa progressivamente tra gli agricoltori della Val Camonica ed è nata l’associazione ‘Mais Nero Spinoso’. Oggi questa varietà non rischia più l’estinzione ed è ormai considerata tra i prodotti tipici locali: viene usata da ristoranti, agriturismi e panifici, con ricadute positive per la comunità in termini economici e sociali. “Questa storia – sottolinea Giupponi – conferma gli step di un percorso virtuoso che andrebbe applicato su larga scala: raccolta della varietà, caratterizzazione per mezzo dei centri di ricerca, tutela del territorio con il coinvolgimento degli enti e valorizzazione attraverso realtà economiche e commerciali”.

A beneficiare di queste colture non è solo il territorio, ma anche la salute dei consumatori: “Spesso si tratta di prodotti alimentari caratterizzati da eccellenti qualità nutrizionali, ricchi di molecole antiossidanti, importanti per la nostra dieta. Non richiedono inoltre fitofarmaci, antiparassitari o altri prodotti chimici di sintesi”. È su questi punti di forza che è necessario puntare per fare breccia sul mercato: “Oggi c’è una fetta sempre più ampia di consumatori che è disposta a spendere qualche euro in più per comprare prodotti sani e genuini come quelli montani. Dobbiamo insistere sull’unicità di queste nostre colture”.

L’agricoltura di montagna non tutela solo la biodiversità agricola ma custodisce anche il territorio. “Il lavoro dei nostri contadini è fondamentale per limitare i rischi di dissesto idrogeologico, per controllare lo sviluppo dei boschi attraverso la silvicoltura e per garantire le risorse idriche necessarie alle città”, sottolinea Alessio Nicoletta, presidente della Coldiretti Valle d’Aosta. “Il territorio di montagna è per sua natura fragile e se si sgretola ne risente anche la pianura: per questo motivo non può essere lasciato a se stesso e deve essere gestito oculatamente, anche attraverso attività quali agricoltura e allevamento”. Gli alti tassi di abbandono e il disinteresse degli ultimi decenni hanno provocato un grave ritardo, che deve essere colmato. Gli investimenti hanno un ritorno importante in termini di prevenzione di disastri ambientali, come alluvioni, frane e altri fenomeni estremi: “Lo abbiamo visto l’estate scorsa. La corretta gestione dell’acqua in alcune zone di montagna (manutenzione di fondi, ruscelli, ecc.) ha ridimensionato le conseguenze dell’ondata di siccità in Pianura Padana. La prevenzione è fondamentale non solo per evitare i danni ma anche per abbattere i costi di risposta alle emergenze”.

Nonostante l’importanza per le comunità e il territorio, l’agricoltura di montagna continua a rimanere un’attività di nicchia. “Le difficoltà sono innanzitutto geografiche e morfologiche: questo è un lavoro ‘eroico’ che – tra alte pendenze e basse temperature – richiede passione e spirito di sacrificio”, conferma Nicoletta. “Queste caratteristiche incidono, ovviamente, anche sui margini e sui profitti per gli imprenditori agricoli”. Spesso a rallentare la crescita è la mancanza di infrastrutture (strade, vie d’accesso, ecc.) che permetterebbero una maggiore meccanizzazione delle lavorazioni e l’introduzione di tecnologie innovative. “Nel nostro lavoro – sottolinea invece Giupponi – ci scontriamo spesso con la scarsa efficienza della burocrazia e con la polverizzazione fondiaria che allunga a dismisura i tempi per qualsiasi intervento”.

Le potenzialità però ci sono e devono essere riscoperte. Per vincere queste sfide, secondo il presidente di Coldiretti Valle d’Aosta, “bisogna innanzitutto puntare su una cabina di regia comune per le zone montane, dalle Alpi agli Appennini. È importante farsi sentire con una voce unica perché i problemi che abbiamo nella nostra regione sono gli stessi del Trentino o dell’Alto Adige. Solo in questo modo riusciremo a far valere le nostre istanze sui tavoli della politica, quelli dove vengono prese le decisioni”. A dover fare la propria parte sono anche gli attori e le comunità locali: “Tutti noi dobbiamo imparare a raccontare meglio le virtù e le potenzialità uniche dell’agricoltura di montagna – conclude Nicoletta -. Abbiamo prodotti eccellenti, che vanno valorizzati e narrati meglio. Dobbiamo muoverci insieme verso questo obiettivo per rendere le attività di montagna sempre più attrattive anche per le nuove generazioni”.

Al via la Cop15. L’Onu: “Le crisi del clima e della biodiversità sono collegate, è urgente agire”

Archiviata la Cop27, da oggi si alza il sipario della Cop15 sulla biodiversità, che si svolgerà a Montréal sino a lunedì 19 dicembre. Dopo l’arresto forzato causato dalla pandemia, quasi duecento Paesi si ritrovano per cercare di elaborare un nuovo quadro globale per la protezione della natura. Tuttavia, dopo tre anni di negoziati minuziosi, ci sono ancora molti punti in sospeso. Nonostante questo, Elizabeth Maruma Mrema, responsabile della Convenzione Onu sulla Diversità Biologica (Cbd), in un’intervista all’Afp spiega che resta “ottimista” e che confida in un “momento Parigi” per la natura, riferendosi allo storico accordo del 2015 per limitare il riscaldamento globale e al fatto che le crisi del clima e della biodiversità siano inestricabilmente legate, per cui è “urgente agire”.

“La biodiversità deve avere successo, perché è da qui che nascono le soluzioni per l’attuazione dell’Accordo di Parigi. La natura è importante quanto il clima” e le due questioni devono essere affrontate “insieme”, sottolinea Elizabeth Maruma Mrema. Siamo vicini al “punto di svolta”, ma “non è troppo tardi” prima che non rimanga “nulla per i nostri figli”. Insistendo sul drammatico punto di partenza, ricorda che il declino della biodiversità sta raggiungendo “un livello senza precedenti nella storia: stimiamo che il 90% degli ecosistemi sia stato colpito finora e che più di un milione di specie sia a rischio di estinzione”.
Nel corso di questa Cop, “l’importante è che venga adottato un quadro di riferimento, e tutti noi avremo interesse a garantirne l’attuazione per evitare di tornare al punto di partenza”, aggiunge la tanzaniana, rallegrandosi del fatto che dal 2010 si sia imparato qualcosa. In quell’anno, infatti, i 196 Paesi firmatari della Convenzione sulla diversità biologica (Cbd) si sono impegnati ad attuare misure, note come Obiettivi di Aichi, per arrestare il declino della biodiversità entro il 2020. Ma quasi nessuno degli obiettivi è stato raggiunto. Questa volta, però, secondo Elizabeth Maruma Mrema c’è l’impegno di tutte le parti interessate e il rinvio di due anni ha permesso ampie consultazioni: “Il quadro – specifica –  dovrebbe essere adottato contemporaneamente a un meccanismo di monitoraggio” e poi “tutti gli obiettivi saranno accompagnati da traguardi quantificati”. Come non è invece stato per l’ultimo accordo.

Ma l’approvazione di obiettivi ambiziosi e quantificati sarà subordinata a impegni finanziari da parte del Nord verso il Sud, uno dei “punti complicati” dei negoziati, riconosce Elizabeth Maruma Mrema. Come per i colloqui sul clima, alcuni Paesi vogliono avere “la garanzia che saranno disponibili risorse finanziarie sufficienti per attuare le misure”. Tra i circa venti obiettivi in discussione, l’ambizione principale, denominata 30×30, mira a porre almeno il 30% della terra e del mare del mondo sotto una protezione legale minima entro il 2030, rispetto al 17% e al 10% del precedente accordo del 2010. Per Elizabeth Maruma Mrema, tuttavia, questo è solo “uno dei 22 obiettivi” e sarà essenziale guardare all’accordo “nel suo complesso. Se vogliamo invertire la perdita di biodiversità entro il 2030. Allora significa che tutti gli obiettivi devono essere implementati, non solo uno”, conclude.

plancton

Plancton oceanico: una straordinaria ‘zuppa di microbi’

In ogni litro di acqua marina vivono tra i 10 e i 100 miliardi di organismi viventi. Ma questo “microbioma oceanico“, che ha reso il pianeta abitabile, rimane in gran parte sconosciuto. Una missione scientifica, condotta con la marina francese, punta a scoprirlo. “Il microbioma del pianeta Terra è l’argomento del secolo“, afferma Colomban de Vargas, direttore della ricerca presso la stazione biologica del CNRS a Roscoff (Finistère).

Questo signore svizzero, “ossessionato dall’esplorazione“, si è impegnato a mappare il plancton oceanico, quella grande “zuppa di microbi” composta da virus, batteri, animali, ecc. Queste “foreste invisibili“, che navigano insieme alle correnti oceaniche, hanno reso il pianeta abitabile producendo la maggior parte dell’ossigeno che respiriamo. “La biodiversità è soprattutto microbica. Per tre miliardi di anni ci sono stati solo microbi“, afferma il ricercatore. Tuttavia, “non sappiamo con chi viviamo o quanti microbi ci siano sulla Terra“.

Traendo insegnamento dalla missione “Tara Oceans“, che ha già effettuato 220 misurazioni di microrganismi marini, Colomban de Vargas e i suoi colleghi ricercatori vogliono realizzare una “misurazione cooperativa, frugale, planetaria e perenne” di questa invisibile vita oceanica. A lungo termine, l’obiettivo è quello di affidare, attraverso il progetto Plankton Planet, strumenti di misura e sensori poco costosi alle decine di migliaia di barche a vela, navi commerciali e trasportatori di merci che attraversano il pianeta. L’obiettivo è comprendere “l’adattamento degli organismi viventi ai brutali cambiamenti” imposti dalle attività umane. “Non è facile perché la misurazione deve essere omogenea. Tutto dipenderà dalla qualità di questa misurazione“, sottolinea Colomban de Vargas.

È qui che entra in gioco la missione Bougainville, realizzata in collaborazione con la marina francese, per consolidare l’affidabilità dei “sensori frugali” del plancton. Sulla scia della circumnavigazione del globo compiuta dall’esploratore Louis-Antoine de Bougainville sulla Boudeuse nel 1766-1769, dieci studenti del Master dell’Università della Sorbona si imbarcheranno sulle navi della Marina francese come ‘ufficiali della biodiversità’. “È importante vivere l’oceano quando lo si studia“, afferma l’ammiraglio Christophe Prazuck, direttore dell’Ocean Institute dell’Università Sorbona, che ha creato un collegamento tra la Marina e il mondo della ricerca. Gli studenti attraverseranno così gli 11 milioni di km2 della Francia oceanica (20 volte la Francia terrestre) negli oceani Indiano e Pacifico, a bordo di tre Bâtiments de soutien et d’assistance outre-mer (BSAOM).

(Photo credits: JEAN-LOUIS MENOU / AFP)

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Park to Park per celebrare 100 anni del Gran Paradiso e del Parco d’Abruzzo

I Parchi sono una straordinaria risorsa per la sostenibilità, per l’economia e la cultura locale, per il benessere delle persone e la loro educazione alla scienza. Ma questo, che è un dato di fatto, non è ancora vissuto con l’orgoglio e la partecipazione che meriterebbe. Quanto di noi trascorrono qualche giorno all’interno di un Parco o un’Area Protetta nel corso dell’anno? Anche per questo, l’iniziativa Park to Park, che rientra nell’ambito delle celebrazioni per i 100 anni di vita del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise e del Parco Nazionale Gran Paradiso e che parte il 24 giugno a Ceresole Reale, assume un grande valore: mostrare e valorizzare l’enorme, preziosissimo lavoro che svolgono i Parchi e le persone che con essi lavorano – direttamente o indirettamente – nella tutela della biodiversità e quindi nella possibilità di preservare il nostro benessere futuro.

Si tratta di un racconto pieno di meraviglie, che attraversa l’Italia passando di Parco in Parco. L’obiettivo è quello di stimolare azioni positive per la tutela e la conservazione delle aree protette nazionali. I parchi d’Italia contribuiranno alla redazione e diffusione di una pubblicazione che vuole far emergere l’impegno di ciascuno nella protezione della specie, del suo habitat naturale e quindi della biodiversità del territorio stesso. Non solo animali-simbolo, ma anche specie minori, insetti e flora attraverso cui conoscere le dinamiche e le caratteristiche di un certo ambiente e il nostro legame con esso: ogni Parco racconterà una caratteristica del proprio territorio per dimostrare che la biodiversità sta nella varietà degli organismi viventi, declinata in molteplici forme. Inoltre, sarà messa a punto una rassegna di eventi per ciascun Parco, che coinvolgerà il pubblico attraverso modalità attive: escursioni in natura, incontri con esperti del settore, uno spettacolo artistico e una degustazione dei prodotti tipici di ciascun territorio.

Il calendario di tutte le attività previste, così come l’intero progetto Park to Park, sarà presentato il 24 e 25 giugno a Ceresole Reale da Federparchi. Nel corso della due giorni, a cui parteciperanno i primi 10 parchi che hanno aderito all’iniziativa per l’anno 2022, si susseguiranno incontri culturali, momenti di apprendimento e degustazioni. La sera di venerdì 24 una serie di appuntamenti culturali animeranno il centro visitatori, che sorge all’interno del complesso ottocentesco dell’ex-Grand Hotel di Ceresole Reale: sarà presentato il libro ‘100 anni e cento ancora’ realizzato dal Parco Nazionale Gran Paradiso; a seguire, come ospite speciale, il Forte di Bard che presenterà una mostra dedicata al massiccio del Gran Paradiso e allo stambecco. Infine la presentazione in anteprima assoluta del film realizzato per l’occasione del centenario dai due Parchi Nazionali (Abruzzo, Lazio e Molise e Gran Paradiso), ‘100 anni insieme per la natura’, con la regia di Marco Andreini.

Sabato 25 giugno, al mattino, con appuntamento davanti al centro visitatori, le guide del parco accompagneranno i partecipanti in escursione alla scoperta dello stambecco: un’occasione preziosa per osservare più da vicino l’animale simbolo del Gran Paradiso, capirne il comportamento, distinguere gli esemplari maschi dalle femmine e gli adulti dai giovani, scoprire come si relazionano con altre specie e con l’uomo. Nel pomeriggio è previsto l’intervento del Direttore del Parco, Dr. Bruno Bassano, responsabile da più di 30 anni della ricerca scientifica e dei monitoraggi dello stambecco. Insieme a lui saranno presenti la ricercatrice Alice Brambilla e il Corpo di Sorveglianza del Parco, senza il quale le raccolte di dati, i censimenti e le ricerche non sarebbero possibili.

Chiuderà la giornata un concerto corale nell’ambito della rassegna ‘Alborada’, tradizionale appuntamento di cori che si esibiranno all’alba del giorno successivo e che per l’occasione daranno il benvenuto al coro Decima Sinfonia di Pescasseroli in rappresentanza del Parco Nazionale D’Abruzzo, Lazio e Molise. Faranno gli onori di casa il coro Città di Rivarolo, organizzatore della rassegna e il coro Penne Nere di Aosta. Al termine un aperitivo-degustazione offerto dai Parchi a tutti i partecipanti, con prodotti del territorio.

*Giornalista e divulgatore ambientale

Milazzo

Milazzo è la città con più biodiversità d’Italia: 43esima al mondo

City Nature Challenge (Sfida della natura in città) è una competizione nata appena sei anni fa come un gioco duello sulla ricchezza naturalistica tra San Francisco e Los Angeles, in California: l’obiettivo era quello di dimostrare quale delle due città fosse più florida dal punto di vista della biodiversità e quindi potesse dirsi migliore dal punto di vista ambientale e più salubre. Quell’idea ha avuto un successo clamoroso e in appena sette anni è diventata una magnifica competizione globale, coinvolgendo decine di migliaia di persone (67mila e duecento quest’anno) e portando a quasi due milioni di osservazioni per oltre 50mila specie segnalate in aree urbane, alcune di queste 50mila anche molto rare. E in questa competizione, nel 2022, il risultato dalla siciliana Milazzo è stato fantastico: prima città in Italia per biodiversità osservata e documentata dai partecipanti, tra le prime dieci in Europa e 43esima al mondo con 1.502 specie osservate e documentate da 242 persone direttamente coinvolte.

La City Nature Challenge è dunque un’iniziativa internazionale che, partendo da una competizione sui generis, ha in realtà l’obiettivo di promuovere la biodiversità. Un gioco, come dicevamo, che però ottiene anche diversi risultati importanti: sensibilizzare i cittadini su quanta natura si nasconda anche negli agglomerati urbani (per fortuna), stuzzicando anche l’orgoglio per la eccezionale qualità naturalistica della propria casa, e accompagnare le persone a migliorare la propria capacità di osservare, individuare e apprezzare la natura, sempre e comunque presente intorno a noi malgrado le condizioni difficili in cui spesso viene costretta.

Il risultato è stato davvero eccellente, perché Milazzo ha superato quello ottenuto anche da città con milioni di abitanti come Città del Messico, Londra, Berlino e Chicago. Un esito dovuto senz’altro alla ricchezza di biodiversità del luogo, ma anche alla grande capacità organizzativa, di coordinamento e mobilitazione nelle giornate dedicate ufficialmente alle osservazioni.

L’evento è stato organizzato a Milazzo dal MuMa, Museo del Mare Milazzo, e si è svolto all’interno dei confini comunali (sia a terra che in mare) attraverso un’attività di Citizen Science, scienza partecipata. Per un giorno ogni cittadino ha avuto la possibilità di trasformarsi in uno scienziato, venendo coinvolto in un BioBlitz nel corso del quale si è imparato a conoscere le bellezze naturali del territorio attraverso il gioco. La gara ha visto la partecipazione di tanti cittadini che hanno fotografato piante spontanee e animali selvatici (ovviamente non valgono piante da appartamento e animali domestici) in città e in natura, per poi identificarli attraverso il caricamento delle foto sull’app iNaturalist con la finalità di raccogliere dati che verranno in seguito utilizzati dagli scienziati per conoscere la biodiversità presente. Quest’ultima è il termometro per capire lo stato di salute dell’ambiente.

L’evento è stato anche l’occasione per coinvolgere molte realtà associative e scuole del territorio che hanno così avuto modo di partecipare a numerose escursioni organizzate dal MuMa.
Maggiori informazioni e aggiornamenti sono disponibili sui canali social (Facebook, Instagram e YouTube) del ‘MuMa Museo del Mare Milazzo’. Il report dettagliato dell’evento è disponibile sul sito web www.mumamilazzo.com.

Biodiversità

Tutelare la biodiversità per avere salute e ricchezza

Biodiversità, ovvero l’insieme di forme di vita animale e vegetale in un ecosistema, è sinonimo di salute e benessere, anche economico. È questo il senso pieno di una parola che sentiamo spesso citare come ‘valore’ prezioso se non assoluto; è questa la ragione per cui dobbiamo difenderla.

La ricchezza di biodiversità rafforza l’efficienza, la produttività e lo stato di salute di qualunque ecosistema. Una vasta area di territorio coltivata con un’unica specie (monocoltura) è più povera e diventerà ogni anno più povera. Soprattutto se non ci si preoccupa di difendere anche la più piccola area di incolto.

Un ecosistema con poche forme di vita è più vulnerabile a qualunque agente esterno imprevisto: disastro naturale, siccità, attacco da parte di qualche patogeno ecc… È ampiamente dimostrato che la biodiversità favorisca la sicurezza alimentare ed energetica, la protezione da disastri naturali, aumenti il livello di salute all’interno della società umana e dei gruppi animali, aumenti quantità e qualità delle risorse idriche disponibili e per tutte queste ragioni arricchisca addirittura le tradizioni culturali.

Normalmente, tendiamo a considerare degne di attenzione soltanto le forme di vita fisicamente notevoli: ci accorgiamo di un albero, meno di un filo d’erba; di un cane o un gatto, meno di un insetto (a meno che non ci infastidisca!). Un prato ci sembra meno prospero di un bosco: in realtà un pascolo di montagna può contenere anche dieci o venti volte il numero di specie viventi in un bosco fitto…

Ogni specie svolge un ruolo fondamentale nell’intero ecosistema e l’impoverimento della biodiversità interrompe questo ‘gioco di squadra’, ne compromette l’efficacia e i risultati.
Gli inquinamenti, o la siccità che ha caratterizzato l’ultimo inverno nel nord Italia mettono fortemente in crisi la biodiversità dell’ecosistema. E il ripetersi o il prolungarsi di questi fenomeni può compromettere i territori (e le attività umane, l’approvvigionamento di cibo e acqua, la salubrità ecc…) in maniera grave.

Una natura florida e ricca di biodiversità, insomma, non è semplicemente bellissima da vedere e da vivere, ma anche un tesoro inestimabile. La sua tutela non è un vezzo ma un dovere, una necessità.

biodiversità

Riuniti a Ginevra 200 Paesi per difesa della biodiversità

I membri della Convenzione per la diversità biologica (CBD) dell’Onu sono riuniti a Ginevra per la stesura di un testo congiunto volto a proteggere la natura – con un limite temporale fissato al 2050 (tappa intermedia al 2030) – che sarà adottato dalla Cop15 per la biodiversità entro quest’anno.
Nel 2010 i circa 200 Stati che compongono la Convenzione avevano ideato il Piano strategico per la biodiversità 2011-2020, composto da 20 obiettivi (chiamati anche Aichi Targets, dal nome del luogo in cui si era svolto il summit); a 12 anni di distanza, però, i risultati raggiunti non sono soddisfacenti. Questo fallimento si spiega principalmente con “una mancanza di volontà politica, a cui i membri (della Convenzione) non hanno dato priorità”, spiega ad AFP Anna Heslop, dell’ONG ClientEarth, che segue i negoziati a Ginevra. Gli obiettivi di Aichi, afferma, “non erano il problema”, ma lo è stato la mancanza “della loro attuazione. Non possiamo permetterci di essere dove siamo tra 10 anni”, avverte, perché la biodiversità sta scomparendo a un ritmo vertiginoso a causa della pressione dell’uomo.

Ciò di cui abbiamo bisogno è un quadro migliore per incoraggiare i membri” della Convenzione “a pianificare, riferire (ciò che fanno) e una comunità internazionale che agisca. Mantenere uniti questi tre elementi è una sfida”, commenta un negoziatore di un Paese del nord. Attualmente, ogni Stato elabora il proprio piano nazionale per la biodiversità su basi diverse, rendendo difficili i confronti. Un altro elemento che rende complicato tenere il punto della situazione è che le relazioni che danno conto dei progressi compiuti vengono talvolta pubblicate in ritardo. A Ginevra, le delegazioni stanno lavorando allo sviluppo di indicatori comuni. “È utile armonizzare i formati di rendicontazione e gli NBSAP (National Biodiversity Strategies and Action Plans), per valutare più facilmente dove siamo a livello globale”, spiega Anna Heslop.