Draghi avverte Ue: “Dazi punto di rottura con Usa. Costi energia sono una minaccia”

Questa volta non basterà nemmeno il “whatever it takes”. La scelta dell’amministrazione americana di imporre i dazi segna un “punto di rottura” tra Europa e Stati Uniti: ne è convinto l’ex presidente della Bce, Mario Draghi, che al XVIII Simposio Cotec Europa, fa un’analisi approfondita del momento storico che vive il Vecchio continente. Con tanti ‘ma’ a scandire le sue parole.

Draghi riconosce che i problemi dell’Europa non nascono oggi, anzi negli anni sono addirittura peggiorati e il mix tra “frammentazione politica interna e crescita lenta hanno ostacolato una risposta europea efficace” agli Stati Uniti, ma è consapevole che “l’ampio ricorso ad azioni unilaterali per risolvere le controversie commerciali e la definitiva esclusione del Wto hanno minato l’ordine multilaterale in modo difficilmente reversibile”. Non possiamo fare a meno degli Usa come partner commerciale, ma allo stesso tempo “dovremmo chiederci perché siamo finiti nelle mani dei consumatori statunitensi per trainare la nostra crescita”. La strada da seguire sarebbe quella di “aprire nuove rotte commerciali”, ma “realisticamente, non possiamo diversificare le nostre esportazioni al di fuori degli Stati Uniti nel breve periodo”.

La soluzione, quindi, è raggiungere un accordo con Washington, anche se a lungo termine Draghi ritiene “azzardato credere che i nostri scambi commerciali con gli l’America torneranno alla normalità dopo una rottura unilaterale così grave delle relazioni, o che i nuovi mercati cresceranno abbastanza rapidamente da colmare il vuoto lasciato dagli Stati Uniti”. In apparenza sembrerebbe il più classico dei ‘cul de sac’, ma l’ex premier qualche exit strategy, anzi “azioni da intraprendere”, come da titolo del Cotec 2025, le indica all’Ue. La prima è “cambiare il quadro di politica macroeconomica che abbiamo elaborato dopo la grande crisi finanziaria e la crisi del debito sovrano”, perché fu uno degli errori rinunciare “a sviluppare il mercato interno come fonte di crescita”. Ma per riuscirci servono maggiori investimenti che possano “generare un forte impulso alla domanda interna, compensando eventuali venti contrari provenienti dalla domanda più debole degli Stati Uniti”.

Altro capitolo doloroso per l’Europa è l’energia. Draghi ricorda che i piani di Mosca e Washington erano noti da tempo, ma “le nostre importazioni di gas dalla Russia hanno continuato ad aumentare anche dopo l’invasione della Crimea”. Così quando ci è stato tagliato il gas, abbiamo perso più di un anno di crescita economica, mette il dito nella piaga Draghi. Che bacchetta sulla corsa alla transizione per garantire la sicurezza energetica: richiederebbe “una trasformazione fondamentale del nostro sistema energetico che non siamo stati in grado di realizzare, ostacolati dall’intermittenza intrinseca delle rinnovabili, dall’inadeguatezza delle nostre reti e dai lunghi ritardi burocratici per i nuovi impianti”. Problemi reali su cui intervenire, perché – avverte l’ex numero uno della Banca centrale europea – “i prezzi elevati dell’energia e le carenze della rete sono, in primo luogo, una minaccia per la sopravvivenza della nostra industria” e “un onere insostenibile per le nostre famiglie”, oltre a mandare all’aria i processi di decarbonizzazione. Servirebbe, dunque, “un ampio piano di investimenti europeo” per reti e interconnettori, nonché la riforma del mercato dell’energia, ma “è scoraggiante vedere come l’Europa sia diventata ostaggio di interessi acquisiti radicati”.

Sulla difesa è altrettanto ampio il ragionamento di Draghi. A suo parere “abbiamo fatto poco per rafforzare la nostra difesa comune” ed è arrivato il momento di “ridurre la frammentazione della nostra industria” incoraggiando la formazione di partnership per creare ‘campioni’ europei. A livello politico, invece, “l’emissione di debito comune colmerebbe il ‘tassello mancante’ nei mercati dei capitali frammentati dell’Europa”. Poi, occorre puntare sulle nuove tecnologie, ma “l’Europa ha perso terreno nell’Ia e in tutte e quattro le altre tecnologie e dobbiamo lavorare su tutti questi settori se vogliamo recuperare il ritardo”. A patto di “creare un cloud strategico europeo che ci garantisca la sovranità dei dati in settori critici come la difesa e la sicurezza”. Restando in tema, infatti, Draghi suggerisce di “investire di più per potenziare la nostra infrastruttura comune di supercalcolo, la rete Euro-HPC”, ma soprattutto “sviluppare una capacità europea in materia di sicurezza informatica, poiché stiamo perdendo competitività nel 5G e siamo deboli nelle comunicazioni satellitari: esiste il rischio concreto – avverte – che finiremo per dipendere dalla tecnologia statunitense e cinese per la trasmissione sicura dei dati”. C’è anche lo Spazio nelle parole dell’ex premier, che chiede di “riformare radicalmente l’interazione tra le agenzie dell’Ue e quelle nazionali e coinvolgere molto di più il settore privato”. Così come “dobbiamo creare un cyberspazio europeo sicuro attraverso un maggiore coordinamento e investimenti nelle tecnologie digitali comuni”. Chi pensa che tutto questo sia “utopistico e impossibile”, mette in guardia Draghi, condanna l’Europa alla “irrilevanza militare”. Con tanti saluti anche a competitività e crescita.

Mattarella indica linea Draghi per competitività Ue: “Rapporto autorevole, servono risorse”

L’Europa deve perseguire la strada della Sovranità tecnologica, ma per restare competitiva “servono risorse”. E soprattutto una linea, che può essere il rapporto firmato da Mario Draghi per conto della Commissione Ue: un documento che il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, definisce “autorevole”.

Dal palco del Teatro Pérez Galdós, a Las Palmas de Gran Canaria, location scelta dal Re Felipe VI di Spagna, padrone di casa della 17esima edizione del Simposio Cotec, il capo dello Stato rilancia i punti salienti del documento dell’ex Bce, in cui viene sottolineato che il divario di produttività tra Unione europea, Stati Uniti e Cina “imputato principalmente al settore tecnologico. Per far comprendere quanto il nostro continente sia “debole nelle tecnologie emergenti” cita un dato, in particolare, dei vari studi condotti a Bruxelles in questi anni: “Soltanto quattro delle cinquanta aziende tecnologiche più importanti del mondo sono europee”.

Le cause sono diverse, ovviamente, ma a preoccupare principalmente è il bilancio demografico, con un invecchiamento generale che avanza e sempre meno giovani a tenere viva “la spinta al cambiamento e all’innovazione”. Serve, dunque, una inversione del sistema produttivo europeo che tenga dentro anche la sostenibilità ambientale, economica e sociale per garantire un futuro prospero e resiliente alle sfide globali come la lotta ai cambiamenti climatici.

In questo senso le istituzioni devono essere presenti, accelerando sulle misure che “consentano di promuovere la capacità industriale nei settori ad alto contenuto tecnologico” e di poter “competere a parità di condizioni”. Ergo, “si impone” – dice Mattarella – di “dar vita a ‘campioni’ europei, espressione di sovranità condivisa”. Ma con risorse adeguate, “innanzitutto per i sistemi educativi”, perché l’istruzione è il primo tassello della competitività. L’Europa, nel corso degli anni, ha dimostrato di avere tutte le carte in regole per dire la sua a livello globale, con l’Aerospazio ad esempio, ma anche con la normativa sull’Intelligenza artificiale che ci pone “in una posizione di avanguardia, di leadership a livello mondiale”. Eppure non basta, perché l’Ue “dispone di notevole potenza di calcolo e i supercomputer pubblici” in Finlandia, Italia, Spagna e Portogallo, ma “i programmi di Ia generativa più avanzati e universalmente usati, sono statunitensi”.

La riflessione gira di nuovo attorno alle risorse da mettere in campo. Draghi, nel suo report, suggerisce di raddoppiare i fondi del Piano Marshall, circa 800 miliardi di euro in più per centrare tutti gli obiettivi. Ma a Bruxelles c’è chi tira il freno, come l’alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, l’uscente Josep Borrell. Ospite del Cotec, riconosce che “il nostro ritardo a livello tecnologico è molto importante” e “l’unico modo per non perdere per sempre questo treno è investire di più”, ma sulle cifre indicate dall’ex premier italiano nutre forti dubbi: “Chi paga? – si domanda -. Noi a livello europeo in modo coordinato oppure ognuno per conto suo, magari con tasse o emettendo debito che lasceremo da pagare ai nostri pronipoti?”.

La pensa come Mattarella, invece, il presidente della Repubblica di Portogallo, Marcelo Rebelo de Sousa, assente a Las Palmas per stare vicino al suo popolo dopo gli incendi che hanno devastato un pezzo importante del territorio e ucciso cinque persone, ma che ha voluto comunque inviare un video in cui dice apertamente di vedere nelle linee guida dell’ex Bce la strada da seguire.

Le risposte, però, dovrà darle la nuova Commissione Ue di Ursula von der Leyen, sulla quale si stanno concentrando le aspettative di buona parte di Europa. Sicuramente della Spagna, come si evince dall’intervento di Felipe VI: “Nel suo nuovo mandato, l’Ue metterà l’accento sulla sicurezza economica e su come promuoverla attraverso le proprie capacità tecnologiche, le alleanze con Paesi terzi e la cooperazione tra i partner comunitari”. Perché, conclude il Re, “la voce dell’Europa meridionale deve essere ascoltata chiaramente in questa riflessione congiunta”.