Siccità, energia, guerra: tre dossier ‘hot’ per il nuovo governo
Sarà una campagna elettorale ‘lampo’, ma non senza scontri, tensioni e anche qualche ‘colpo basso’. Lo scenario con cui l’Italia si prepara al ritorno alle urne, il prossimo 25 settembre, è ricco di insidie. Per ogni schieramento. Non solo il cronoprogramma di riforme e progetti per non perdere i fondi europei del Pnrr, nell’agenda di tutte le forze politiche ci sono almeno tre temi cerchiati con in rosso: strategia nazionale sull’energia, transizione ecologica e digitale e, ovviamente, la guerra in Ucraina, che trascina con sé non solo implicazioni geopolitiche ma anche legate alla crisi alimentare. Lo sblocco, graduale, delle scorte di grano e cereali bloccati da mesi nei porti del Mar Nero è una buona notizia – se gli accordi firmati con i garanti Onu e Turchia reggeranno -, ma il tempo stringe perché alle porte ci sono i nuovi raccolti e le incertezze si triplicano senza il cessate il fuoco tra Mosca e Kiev.
L’altro, grande capitolo riguarda inevitabilmente gli approvvigionamenti energetici. Non soltanto – e non tanto – per la conferma e il rispetto degli accordi stipulati dal governo Draghi con Algeria, Libia, Egitto, Mozambico, Azerbaijan, Congo e Qatar: queste partnership ci renderanno indipendenti dalle forniture russe entro la fine del 2024 e l’inizio del 2025. Piuttosto il prossimo governo dovrà prendere una decisione sul ritorno o meno a puntare sulla produzione nazionale di gas. Ovvero, per dirla con il gergo utilizzato da alcune associazioni ambientaliste e movimenti politici, se l’Italia tornerà a muovere le proprie trivelle per sfruttare le possibilità del territorio. Il dibattito si è acceso negli ultimi mesi, quando la crisi energetica ha imposto una riflessione sul mix da adottare. Ad oggi le divisioni rimangono e la discussione non fa passi avanti.
In ballo ci sono interessi economici altissimi, però. Perché da circa una ventina d’anni, da quando è stata operata la scelta di comprare il gas da fornitori esteri (la Russia è diventata in pochissimo tempo il nostro partner principale), c’è chi conta una perdita in termini di occupazione, sviluppo delle nostre aziende e di risorse pubbliche, dovendo pagare l’Iva ai Paesi di appartenenza dei ‘venditori’. Il rovescio della medaglia, però, riguarda la tutela dell’ambiente e delle biodiversità. Non un problema da poco, visti gli effetti a volte devastanti dei cambiamenti climatici. Per ovviare a tutti i rischi c’è chi si appella alle nuove tecnologie, considerandole un valido alleato. Ma non tutti – in entrambi gli ‘schieramenti’ – sono pronti a metterci le mani sul fuoco.
Mentre la discussione va avanti, c’è comunque il presente da affrontare. Ad oggi il problema più grave è la siccità. Continua a non piovere su diverse zone del Paese, mentre dove finalmente scende giù l’agognata acqua, molto spesso lo fa con una violenza dirompete, a causa dell’incontro-scontro con le temperature record di questi mesi estivi. Il governo, prima che deflagrasse la crisi politica, era all’opera per un nuovo decreto Aiuti. La fine della maggioranza, le dimissioni di Mario Draghi e lo scioglimento delle Camere sembravano aver mandato in fumo l’opportunità. L’allargamento del perimetro dei cosiddetti affari correnti, però, ha riacceso la speranza e ora ci sono oltre 14 miliardi di euro da utilizzare per prorogare le misure di contrasto ai rincari di energia, carburanti e beni alimentari, ma anche i primi sostegni per i danni all’agricoltura. Il decreto dovrebbe vedere la luce la prossima settimana. Certo, le cifre stanziate non saranno sufficienti a coprire tutti gli ammanchi, ma va anche detto che oggi è tecnicamente impossibile fare la conta dei danni, quando le colture sono ancora in itinere.
Giocoforza questo sarà uno dei primi dossier su cui il nuovo governo, e la maggioranza che lo sosterrà, dovrà impegnarsi. Chi verrà dopo l’ex Bce, però, si troverà comunque una situazione economica e finanziaria di tutto rispetto. Almeno secondo quanto certificano diverse analisi, non ultima quella dell’Istat. “Con il dato sulla crescita del secondo trimestre” dice il ministro uscente della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, “è ragionevole aspettarsi un tasso di crescita annuo per il 2022 più vicino al 4%“. L’ex forzista si toglie anche un sassolino dalle scarpe: “Il governo Draghi ha lavorato bene, addirittura benissimo. Tanto che tra i Paesi del G7 nel 2022 l’Italia sarà quello che crescerà più di tutti“. E’ la campagna elettorale, bellezza. Ma anche una buona notizia per chi verrà tra due mesi circa.