Cimiteri tossici e crimini contro umanità: il lato oscuro ‘ultra fast’

Migliaia di morti, centinaia di migliaia di schiavi, maxi-discariche, microplastiche negli oceani, emissioni di gas serra, spreco di acqua e abuso di petrolio. Il prezzo della moda a basso costo è altissimo. E il crollo della fabbrica Rana Plaza in Bangladesh, che ha fatto 1.138 vittime, è solo la punta dell’iceberg del lato oscuro dell’industria tessile.

Il numero di discariche di abiti e scarpe usati cresce nel Sud del mondo in modo direttamente proporzionale alla produzione sempre più frenetica di moda a basso costo. Centinaia di migliaia di stivali da pioggia e doposci finiscono nel bel mezzo del deserto di Atacama, in Cile. Secondo la Changing Markets Foundation, la discarica di Dandora, alle porte di Nairobi, riceve ogni giorno 4mila tonnellate di rifiuti, in gran parte tessili provenienti dai Paesi occidentali.

I marchi di “ultra fast fashion” (come Boohoo, Emmiol, SheIn) con t-shirt da 5 euro e vestiti da 8 euro stanno superando ogni limite del low cost, producendo ancora di più dei giganti del fast fashion come H&M o Zara. Gli “articoli a basso costo terminano la loro breve vita, gettati via e bruciati in enormi discariche a cielo aperto, lungo i fiumi o il mare, con conseguenze gravissime per la popolazione locale e l’ambiente“, denuncia Greenpeace. Secondo il rapporto 2020 della ONG Climate Chance, l’industria tessile è responsabile di un terzo degli scarichi di microplastica negli oceani e del 4% delle emissioni globali di gas serra. La moda è il terzo settore a più alto consumo idrico e il 70% delle fibre sintetiche prodotte nel mondo proviene dal petrolio.

Altrettanto grave è la totale mancanza di sostenibilità sociale del fast fashion. I rapporti delle ONG e dei think tank continuano a denunciare lo sfruttamento dei membri della minoranza musulmana uigura nei campi dello Xinjiang, nelle officine e nelle fabbriche che forniscono materie prime o prodotti finiti. Le autorità cinesi sono accusate dai Paesi occidentali di aver rinchiuso massicciamente gli uiguri nei campi di rieducazione, dopo i sanguinosi attacchi subiti in questa regione. Le Nazioni Unite sollevano l’ipotesi di “crimini contro l’umanità“, accuse fermamente respinte da Pechino.

I grandi nomi dell’industria tessile (Adidas, Lacoste, Gap, Nike, Puma, H&M, ecc.) sono stati accusati di trarre profitto da questo “lavoro forzato“. Da allora, alcuni marchi si sono impegnati a non utilizzare il cotone proveniente dallo Xinjiang (un quinto della produzione mondiale). Quattro multinazionali dell’abbigliamento, tra cui Uniqlo France e Inditex (Zara, Bershka, Massimo Duti), sono sotto inchiesta in Francia dal 2021 per “occultamento di crimini contro l’umanità“.

I salari dei lavoratori del settore in India sono regolarmente oggetto di critiche. Ma non serve andare così lontano. Anche nel Regno Unito, nel 2020, l’ONG ‘Labour behind the label’ ha rivelato che i laboratori che riforniscono la fast fashion hanno fatto ricorso a pratiche di semi-schiavitù. Secondo testimonianze confermate da diversi media britannici, i salari oscillavano tra le 2 e le 3 sterline all’ora, ben al di sotto del salario minimo di 8,72 sterline (9,66 euro). Da Haiti alla Cambogia, passando per la Birmania, i lavoratori del settore tessile chiedono regolarmente salari più alti, anche con scioperi e proteste, alcuni dei quali vengono repressi nella violenza.

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Nel 2021 cresce la raccolta differenziata: è al 64%, ma il Sud è maglia nera

Ripresa del pendolarismo e ritorno del turismo in Italia, dopo la crisi pandemica, sono tra le principali cause dell’aumento della produzione di rifiuti urbani in Italia nel 2021, che si attestata a 29,6 milioni di tonnellate, facendo registrare un incremento del 2,3% rispetto al 2020, pari a 677 mila tonnellate. Un dato che aumenta soprattutto nei 16 comuni con popolazione residente al di sopra dei 200 mila abitanti, dove l’incremento tra 2020 e 2021 è ancora più alto (+2,8%) della media nazionale. La crescita, tuttavia, appare inferiore a quella del PIL e dei consumi delle famiglie (rispettivamente 6,7% e 5,3%). Questa la fotografia scattata dall’Ispra-Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale nel Rapporto rifiuti urbani, pubblicato oggi.

Al Nord, nel 2021 si sono prodotti 14.164.287 milioni di rifiuti, contro i 9.140.482 milioni del Sud e i 6.313.469 del Centro. La produzione pro-capite di rifiuti urbani per regione è stata di 516,8 chili al Nord, 537,7 al Centro e 460,9 al Sud. In media, ogni abitante ha prodotto 502,1 chili di rifiuti nel 2021: al primo posto l’Emilia Romagna con 640,7 chili, seguita dalla Valle d’Aosta con 601,9 chili; fanalino di coda il Molise, con 385,9 chili.

A fare da contraltare a questi dati, l’incremento della raccolta differenziata che cresce di un punto rispetto al 2020 e si attesta al 64%, passando da 18,2 milioni a quasi 19 milioni di tonnellate. Nel Nord, la raccolta complessiva si attesta a 10,1 milioni di tonnellate, nel Centro a circa 3,8 milioni di tonnellate e nel Sud a quasi 5,1 milioni di tonnellate. Tradotto in percentuali: 71% per le regioni settentrionali, 60,4% per quelle del Centro e 55,7% per le regioni del Mezzogiorno. La raccolta pro capite nazionale è di 321 chilogrammi per abitante per anno (aumentata di 13 kg per abitante rispetto al 2020), con valori di 367 chilogrammi per abitante nel Nord (+9 kg per abitante rispetto al 2020), 325 chilogrammi nel Centro (+15 kg) e 257 chilogrammi per abitante nel Sud (+20 kg).

A livello nazionale, la raccolta differenziata del vetro si attesta a quasi 2,3 milioni di tonnellate, in aumento rispetto al 2020 (+1,2%); la plastica continua a mostrare una crescita dei quantitativi raccolti, pari al 6,4%, per un totale di 1,7 milioni di tonnellate; il legno passa da 881 mila tonnellate a oltre 1 milione di tonnellate; il quantitativo di rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) raccolto in modo differenziato è pari a 290 mila tonnellate, facendo rilevare una crescita del 2,1% rispetto al 2020. Il raggruppamento cosiddetto 2 (elettrodomestici bianchi quali lavatrici, lavastoviglie, asciugatrici, forni elettrici) rappresenta il 26% dei RAEE complessivamente raccolti.

Per quanto riguarda lo smaltimento dei rifiuti, a livello nazionale nel 2021 si registrano 126 discariche per rifiuti non pericolosi e pericolosi che hanno ricevuto rifiuti di origine urbana. Rispetto al 2020, il censimento ha evidenziato una situazione, nel complesso, stabile: 53 impianti nel Nord (contro i 54 del 2020), 28 nel Centro (due in più) e 45 al Sud (sei in meno rispetto all’anno precedente).
Nell’anno 2021, i quantitativi di rifiuti urbani complessivamente smaltiti in discarica ammontano a 5,6 milioni di tonnellate, pari al 19% del quantitativo dei rifiuti urbani prodotti a livello nazionale (circa 29,6 milioni di tonnellate).Il 26,1% del totale smaltito (circa 1,5 milioni di tonnellate) viene gestito negli impianti situati nel nord del Paese, il 30,5% (1,7 milioni di tonnellate) viene avviato a smaltimento negli impianti del Centro, e al Sud, infine, viene smaltito il 43,4% (2,4 milioni di tonnellate) del totale nazionale. Da evidenziare il caso della Campania dove l’anno scorso, a causa della chiusura di due impianti, si è assistito a un incremento – da 50 mila tonnellate a 54 mila tonnellate – dei rifiuti destinati alle discariche fuori dal territorio regionale. Mediamente, il costo pro capite per la gestione dei rifiuti urbani e similari è di 194,47 euro per abitante.

Rispetto, infine, agli imballaggi secondari e terziari, al 31 dicembre 2021 risultano appartenere al sistema CONAI 579 piattaforme, di cui 299 al Nord, 103 al Centro e 177 al Sud. Complessivamente, 85 sono piattaforme monomateriale per la carta, 66 per la plastica, 343 per la frazione legnosa e 7 per l’acciaio. Tre piattaforme possono ricevere le frazioni carta-legno-plastica, le rimanenti 75 ricevono due tipologie di materiali (carta-legno, carta-plastica, legno-plastica, plastica-acciaio). Il 51,6% delle piattaforme è localizzato nel nord del Paese, seguito dal Sud con il 30,6% e dal Centro con il 17,8%. Il numero maggiore di piattaforme (97) si trova in Lombardia con il 32,4% delle piattaforme della macroarea geografica. Al Centro, il 46,6% delle piattaforme si trova nel Lazio (48), mentre al Sud, Sicilia e Campania hanno, rispettivamente, il 28,2% e 22,6% delle piattaforme della macroarea geografica.