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L’evoluzione dell’eolico offshore ha al centro droni subacquei

In una vasca all’interno di un laboratorio di Edimburgo, gli ingegneri osservano concentrati la risalita in superficie di un drone subacqueo. Presto il dispositivo sarà in grado di andare in mare per lavorare alla manutenzione dei parchi eolici, una piccola rivoluzione per un settore in rapida espansione. Per il team di scienziati che ha sviluppato il ‘veicolo subacqueo a comando remoto’ (ROV) presso l’Università scozzese Heriot-Watt, il dispositivo rivoluzionerà il settore. Sarà in grado di effettuare operazioni di ispezione e manutenzione sui parchi eolici offshore, che finora erano attività rischiose e costose che richiedevano l’impiego di sommozzatori.

Il governo britannico ha piani molto ambiziosi per sviluppare l’energia eolica e ridurre le emissioni di CO2. Il potenziale di questo tipo di energia sembra essere ulteriormente rafforzato dall’impennata dei prezzi degli idrocarburi dovuta all’invasione russa dell’Ucraina. “Dobbiamo immaginare che tra 10 o 15 anni ci saranno centinaia di parchi eolici offshore, il che significa migliaia di turbine lungo la costa britannica“, racconta all’AfpYvan Petillot, professore di robotica alla Heriot-Watt University. “E c’è anche l’idrogeno che viene sviluppato” e spesso prodotto offshore, aggiunge. “Stiamo sviluppando tecnologie a distanza” con le quali “le persone possano ispezionare e mantenere queste fattorie dalla costa, senza mettere in pericolo nessuno“, spiega.

A maggio, il drone dotato di sensori ha condotto quella che si ritiene essere la prima ispezione autonoma di un parco eolico offshore. Il velivolo è stato impiegato nell’ambito di una sperimentazione presso il parco eolico EDF di Blyth, nel nord-est dell’Inghilterra, e ciò che ha filmato ha permesso agli scienziati di studiare le condizioni delle fondamenta delle turbine e dei cavi sommersi. Inoltre, il drone ha modellato una ricostruzione 3D della parte sommersa del parco, registrando l’accumulo di microrganismi, piante e alghe sulle turbine.

Se viene rilevato un problema, il ROV può essere utilizzato anche per effettuare le riparazioni. “Il sistema effettuerà prima un’ispezione autonoma del fondale marino e della sua struttura, e costruirà un modello 3D che qualcuno da terra potrà studiare per dire quale sia il guasto“, spiega Petillot. “In generale, se c’è corrosione, forse è necessario girare una valvola, collegare un cavo, cambiare un anodo o pulire la superficie“, spiega.

Maxime Duchet, ingegnere di EDF, ha dichiarato in un comunicato dopo la prova in mare che le immagini e i modelli raccolti dal drone miglioreranno notevolmente la conduzione delle operazioni di manutenzione sul sito. Anche se sono necessari ulteriori test, in particolare per stimare il tempo necessario per ispezionare l’intero parco, “è chiaro da questi risultati iniziali che questa tecnologia può garantire operazioni più sicure e veloci e ridurre l’impronta di carbonio” della manutenzione del parco, ha detto.

Gli ingegneri, che pilotano il drone con un joystick, affermano che il dispositivo è in grado di operare autonomamente per la maggior parte del tempo. Se si blocca o si concentra troppo su un aspetto dell’ambiente che sta studiando, uno scienziato può intervenire e reindirizzarlo. Per Petillot, l’uso di un drone potrebbe consentire a un maggior numero di scienziati di lavorare alla manutenzione remota dei parchi quando non sarebbero stati pronti a lavorare in mare. La manutenzione in mare è estremamente difficile e rischiosa. È complicato trovare sommozzatori o piloti qualificati. D’altra parte, invece, dice Petillot, è più facile trovare qualcuno che controlli un sistema come se stesse giocando a un videogioco.

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Big data per una blue economy sostenibile: al via Tech.Era

Un drone sottomarino capace di raccogliere informazioni utili per il monitoraggio della salute del mare, oppure una app che permette ai consumatori di individuare le aziende di pesca più vicine tra quelle che fanno vendita diretta o consegna a domicilio. Sono solo due delle soluzioni nate grazie al Programma di Cooperazione transfrontaliera Interreg V A Italia-Croazia, ora in via di conclusione. Una serie di metodi e tecnologie per rendere più competitiva e smart l’economia blu che ora saranno messi a sistema grazie al nuovo progetto TECH.ERA.

Finanziato dalla Commissione europea con 600mila, il progetto favorirà la capitalizzazione dei risultati raggiunti dal Programma Interreg tra il 2014 e 2020 e preparerà al tempo stesso il terreno per la prossima programmazione, sviluppando nuove idee progettuali. Un’attività che coinvolgerà docenti e ricercatori di tre dipartimenti dell’Università di Bologna.

Il progetto TECH.ERA è focalizzato in particolare sugli strumenti per l’analisi dei dati relativi agli ecosistemi del Mar Adriatico Centro-Settentrionale, che sono di estremo interesse per la loro altissima biodiversità”, spiega Luca De Marchi, professore che ha coordinato il progetto Interreg SUSHI DROP, da cui è nato un drone sottomarino per il monitoraggio della salute del mare.

Le attività di TECH.ERA non saranno però d’aiuto solamente per studiosi e ricercatori: le informazioni raccolte e i modelli sviluppati saranno infatti condivisi online su piattaforme digitali aperte.

Le associazioni ambientaliste, le imprese del settore ittico e le comunità di tutti i territori interessati potranno utilizzare i dati raccolti e gli strumenti sviluppati per implementare nuove forme di protezione dei mari e ottimizzare le attività di pesca, al fine di aumentarne la sostenibilità ambientale”, aggiunge Alessia Cariani, che ha coordinato il progetto Interreg PRIZEFISH.

In TECH.ERA, ricorda Luca Camanzi, verranno messe a sistema “interessanti opportunità per aumentare la competitività, la sostenibilità e il valore delle imprese della filiera ittica, tra cui app per mettere in contatto diretto aziende e consumatori, realizzando la circular sea economy adriatica”.

Insieme ai tre dipartimenti dell’Alma Mater coinvolti, il progetto TECH.ERA include anche quattro partner italiani (ASSAM, Comune di Ravenna, OGS e Veneto Agricoltura) e tre croati tra enti di ricerca, amministrazioni regionali ed agenzie del settore: il ministero dell’Agricoltura, la Contea di Zara e l’Euroregione Adriatico Ionica.