Finanza verde e transizione

Tedesco (Nordea Am): “Dopo euforia verso investimenti legati all’Ia, si torna su Esg”

Nordea Asset Management pochi giorni fa ha annunciato due nuovi fondi dedicati ai ‘sustainable labelled bond’, entrambi classificati come Articolo 9 ai sensi della Sfdr europea ovvero che investiranno quasi interamente nella transizione green. “Da oltre 35 anni integriamo Esg e sostenibilità nelle nostre scelte di investimento”, si legge nel sito della società, che rivendica il suo “Dna nordico”, derivante dalla sede della casa madre a Copenaghen in Danimarca. La finanza green in Europa vive però quasi due vite. Da una parte il patrimonio gestito dei fondi cosiddetti ‘verdi’ raggiunge il record di 5.200 miliardi di euro, dall’altra continua il deflusso di denaro dagli stessi fondi soprattutto nell’ultimo trimestre 2023. Riccardo Tedesco è l’esperto ESG per l’Italia di Nordea Am.

Come si spiega questo doppio andamento?

“Da un lato la classificazione dei fondi è stata di primaria importanza per i vari asset manager rimodellando sia l’offerta prodotti che le masse in gestione classificate come “ESG” (quindi relative a fondi art.8 e art.9). Questo ha creato una spinta positiva per la crescita del valore di mercato dei fondi, così come ha contribuito anche la domanda a livello istituzionale per fondi in grado di supportare banche, assicurazioni, fondi pensione e altri proprietari di asset nel loro commitment verso i target di Net Zero. Di contro lo scorso anno diversi fattori hanno contribuito a far diminuire l’appetito degli investitori per questi fondi”.

Quali sono questi fattori?

“Tra questi figurano il contesto macroeconomico e geopolitico, i tassi di interesse elevati, l’inflazione e i timori di recessione in alcune delle principali economie mondiali. L’allocazione degli investimenti si è spostata in generale verso il segmento del reddito fisso e verso depositi di conto corrente tornati interessanti dal punto di vista del rendimento. Infine, lato equity, abbiamo vissuto un anno dominato dai titoli del tech (i cosiddetti magnifici 7) e da un’euforia verso l’intelligenza artificiale. Ora questa dinamica si è già ‘normalizzata’ riportando le conversazioni verso tematiche ed opportunità sostenibili come il tema dell’efficienza energetica”.

Il maggior deflusso nell’ultimo trimestre 2023 è riferito ai fondi verde chiaro, art 8, mentre iniziano i prelievi anche i verde scuro, art 9. Quanto incidono le preoccupazioni di greenwashing e il contesto normativo in continua evoluzione? Cosa chiedete ai regolatori?

“Come diciamo sempre la regolamentazione ESG è un cantiere aperto dove gli attori coinvolti sono chiamati costantemente ad allinearsi e adattarsi in pieno spirito collaborativo. Detto ciò, ricordo che la classificazione avviene attraverso processi e criteri identificati individualmente da ogni asset manager. I fondi articolo 8 nel mercato vedono ancora una più ampia dispersione delle ‘caratteristiche ESG’ implementate. Per i fondi art.9 invece i requisiti tecnici appaiono più mirati per quanto riguarda la definizione di ‘investimenti sostenibili’. Finora la maggior parte dei distributori sta utilizzando la quota minima di investimenti sostenibili come criterio principale per distribuire i fondi ESG creando quindi uno spostamento naturale verso i fondi art.9. Quello che chiediamo al regolatore (dato che siamo anche coinvolti in diversi gruppi di lavoro della Commissione Europea) è semplicemente di continuare il suo percorso di definizione e implementazione della normativa per creare maggiore trasparenza e standardizzazione”.

Quanto incidono gli alti tassi di interesse, l’inflazione, i timori di recessione tra alcune delle principali economie mondiali e i rischi geopolitici sulla scelta di investimento e soprattutto sulla redditività?

“Come ho accennato questi elementi hanno avuto un fortissimo impatto sulle decisioni di investimento. Al di là di quanto menzionato pocanzi in merito ad allocation obbligazionaria e azionaria, c’è un elemento che simboleggia pienamente l’atteggiamento degli investitori in questo contesto. La combinazione generate da un clima di forte incertezza economica e geopolitica con un nuovo paradigma economico di tassi di interesse elevati ha dirottato molti investitori (più corretto definirli risparmiatori) verso depositi bancari o equivalenti. Per dare un riferimento a livello europeo vedremo andare in scadenza entro quest’anno circa 1 trilione di euro di depositi e un altro trilione di euro nel 2025. Parliamo di una vera e propria ondata di liquidità che dovrà essere reinvestita in un contesto caratterizzato da condizioni diverse, tipo tassi di interesse probabilmente inferiori”.

Il mercato, lo accennava prima, sembra più inebriato dall’intelligenza artificiale che dalla transizione?

“L’Ai è stata uno dei driver dominanti nelle performance dell’equity. Negli ultimi due anni (2022 – 2023) i magnifici 7 già menzionati (Apple, Microsoft, Alphabet, Amazon, NVIDIA, Tesla e Meta) hanno pesato per quasi la metà delle performance dell’indice MSCI world. Questo trend ha contribuito a distogliere l’attenzione verso soluzioni e tematiche ESG. Ora, però, le dinamiche stanno già cambiando. Il vero limite dell’intelligenza artificiale è il consumo di energia in un sistema di risorse limitate. Per fare un esempio, una ricerca effettuata attraverso ChatGPT utilizza 10 volte l’energia richiesta da una svolta con Google e il fabbisogno energetico generale dell’AI nel 2026 potrà essere 10 volte superiore a quello attuale. L’efficienza energetica sta tornando al centro delle conversazioni con gli investitori come vero facilitatore del progresso tecnologico. Le aziende che offrono prodotti e servizi dedicati a ottimizzare il consumo energetico si trovano ora nella forte posizione strategica di fornire i proverbiali ‘badili durante la corsa all’oro'”.

Il mercato dei titoli pubblici green, come chiesto anche dalla presidente Lagarde, potrebbe essere un acceleratore degli investimenti in transizione? In che modo?

“Assolutamente sì. L’Unione europea ha 3 obiettivi ambiziosi per i prossimi 6 anni (2030): ridurre del 40% emissioni di gas serra, generare almeno il 32% dell’energia utilizzata da fonti rinnovabili e risparmiare il 30% circa di energia. Per raggiungere questi obiettivi sono necessari dai 175 ai 290 miliardi di euro all’anno. In questo progetto i green bond hanno un ruolo importare nell’allocare il capitale in progetti dedicati al raggiungimento di questi obiettivi. Se guardiamo gli ultimi 5 anni (dal 2018 circa) la quota di emissioni di green bond è raddoppiata e il mercato europeo dei Green bond (per la precisione green, social & sustainable bond) si aggira attorno ai 480 miliardi di euro di valore di mercato. Parliamo di una crescita attorno al 45% annuo dal 2018. Per usare le parole della Lagarde, noi crediamo fortemente nel ruolo dei green bond di acceleratore della transizione. Proprio in questi giorni stiamo infatti lanciando due nuove strategie dedicate ai cosiddetti ‘Sustainable Labelled Bonds’ a riprova di questa nostra convinzione”.

azienda alimentare

Standard Ethics promuove aziende alimentari italiane sostenibili

Le imprese alimentari italiane vincono sul fonte della sostenibilità, seppur con riserva. A promuoverle è Standard Ethics che ha pubblicato il rapporto ‘SE Food&Beverage Sustainability Italian Benchmark’ dedicato proprio a valutare le performance di 30 aziende italiane del settore. In generale, dallo studio emerge una particolare cura e attenzione ai principi di sostenibilità dal lato del prodotto e della filiera correlata a una ampia applicazione delle buone pratiche ESG circa i sistemi di produzione. Allo stesso tempo, però, appare debole l’adozione di principi di sostenibilità inerenti al produttore, i suoi modelli di governo, i suoi azionisti.

Tra le 30 società analizzate nel Benchmark emerge che, se da un lato 17 si sono dotate di target ambientali ben definiti, dall’altro 13 imprese ne sono ancora sprovviste. Sul fronte delle azioni di mitigazione della propria impronta ambientale sul territorio, il 57% del campione viene promosso dalla società di rating, ma il 43% è ancora lontana dall’obiettivo. Meglio, invece, dal lato della presenza di certificazione di qualità dei prodotti: gran parte delle aziende (20) sono dotate di certificazioni riconosciute a livello internazionale, mentre le restanti 10 non presentano ancora attestati significativi sulla qualità.

In linea generale, spiega Standard Ethics, “la qualità del prodotto e la sua sostenibilità sono curati secondo gli orientamenti internazionali e adeguatamente rendicontati. L’industria italiana si conferma un punto di riferimento a livello mondiale in termini di qualità e creatività“. Dall’analisi emerge come siano diffuse le buone pratiche dei sistemi produttivi, della tracciabilità della filiera e del packaging, nonché quelle legate alla sicurezza sul lavoro, al benessere animale e all’uso delle materie prime.

Le industrie alimentari italiane sono promosse anche sul fronte ESG (Environmental, Social and Governance): l’analisi mostra come siano ampiamente consapevoli di come per la Ue, per l’Ocse, per le Nazioni Unite, e in definitiva per il mercato, queste informazioni standard abbiano assunto una grande importanza importanza e di come una adeguata rendicontazione possa essere perno della propria comunicazione strategica.

Sul piano strategico e corporate, la ricerca ha analizzato gli strumenti di governo, a partire dal principale strumento volontario di governance della sostenibilità: il codice etico o codice di condotta. Sono 23 su 30 (76,66%) le società che hanno ancora spazi più o meno ampi per implementare il proprio codice etico anche attraverso espliciti riferimenti internazionali sulla sostenibilità, come le linee guida Ocse destinate alle imprese multinazionali, i principi tassonomici della Ue o i principali documenti Onu. “Riferimenti – spiega Standard Ethics – che nell’ambito di strumenti di gestione dei rischi acquistano una importanza significativa perché offrono evidenza di quale sia la scelta strategica adottata dall’azienda in tema extra finanziario: allinearsi alle sfide globali e misurarsi con target definiti, oppure preferire una via propria ed autonoma, non condivisa a livello internazionale“.

Un altro tema chiave per la sostenibilità riguarda il raggiungimento della parità di genere nel board, perché l’equilibrio di genere comincia dalle funzioni apicali ed è considerato un ulteriore elemento di stabilità. Tra le 30 società considerate, in un solo caso si raggiunge la parità di genere mentre in 4 casi la presenza femminile può dirsi in sostanziale equilibrio, con il 40% di donne sul totale dei membri del Consiglio di Amministrazione.

La società di rating, nelle conclusioni del rapporto, invita le industrie del nostro Paese a “una più efficace preparazione del dossier Sostenibilità per mettere a fuoco definitivamente il proprio posizionamento rispetto alle indicazioni internazionali“.