oceano

Giornata degli Oceani, respiriamo grazie al mare: ecco perché dobbiamo rispettarlo

Un paio di anni fa, nell’ambito di un incontro pubblico su alcuni eventi riguardanti l’Ocean Literacy (tradotto propriamente in italiano significa ‘conoscere il mare’, ovvero, ad esempio, comprendere che respiriamo grazie ad esso), un importante esponente politico di un’amministrazione regionale italiana disse testualmente: “Vabbè, ma a noi l’oceano non interessa, noi abbiamo il Mediterraneo e dobbiamo occuparci di quello”. Quell’episodio sintetizza alla perfezione le ragioni che rendono necessario celebrare la Giornata Mondiale degli Oceani – tutti gli anni l’8 giugno – e favorire ogni giorno la diffusione dell’Ocean Literacy. Lo slogan di quest’anno è ‘Revitalization. Collective Action for the Ocean-Rivitalizzazione. Azione collettiva per l’oceano‘.

Per molti di noi la distinzione tra oceani e mare come fossero cose diverse può apparire sensata. Il primo dei sette semplicissimi principi dell’Ocean Literacy, però, ci aiuta. Recita: ‘La Terra ha un unico grande oceano con diverse caratteristiche’. Lo sappiamo tutti, in realtà, perché dopo avere letto questa frase e riflettendoci un attimo ricordiamo certamente che su un mappamondo o un planisfero il mare è interamente collegato. È uno solo, appunto, globalmente si chiama oceano e in Italia lo chiamiamo mare perché ci affacciamo sul Mediterraneo. Questo grande oceano ha nomi diversi, infatti, per identificare con precisione le singole aree. Ma perché è importante quello che apparentemente può sembrarci un dettaglio irrilevante? Perché se l’organismo è unico, significa che distruggendone una parte, lo feriamo tutto. Un esempio per capirci: se ci rompiamo una gamba, non abbiamo un problema solo alla gamba, ma tutta la nostra persona subirà varie conseguenze.

Secondo i dati forniti dalle Nazioni Unite, circa il 40% della popolazione mondiale vive entro 100 chilometri da una costa. E allora: perché la salute dell’Oceano deve interessare tutti? Molto semplicemente perché l’intera vita sulla Terra dipende totalmente da questo.

E proprio i sette princìpi dell’Ocean Literacy – non a caso al centro delle politiche di programmazione e sviluppo in ogni parte del mondo da alcuni anni a questa parte – ci aiutano a comprendere questo legame fortissimo. La vita umana è inestricabilmente interconnessa al mare, ogni istante e in ogni attività.

Detto del Principio 1, scorriamo gli altri.

Principio 2. Il mare e la vita nel mare determinano fortemente le dinamiche della Terra. Il mare modella costantemente la costa e depositi di conchiglie e scheletri, i sedimenti dei fondali, il materiale roccioso che fuoriesce nei fondali marini favoriscono la formazione di nuove rocce che diventeranno terre emerse: ne sono testimonianza anche le nostre Alpi (che furono fondali marini) o le scogliere di Dover o qualunque area costiera che risente costantemente dell’azione di erosione e deposito del mare…

Principio 3. Il mare influenza fortemente il clima. Il mare è il grande ‘termostato’ del nostro Pianeta: da lui dipendono pioggia e temperature, quindi coltivazioni, sicurezza e salute. L’oceano ricopre oltre il 70% della superficie terrestre ed è profondo mediamente 4000 metri: pensiamo a quale potenza termica possa avere.

Principio 4. Il mare permette che la terra sia abitabile. Metà dell’ossigeno che respiriamo, un respiro su due, lo dobbiamo direttamente al mare. È prodotto da miliardi di microalghe (oltre ad alghe e piante marine, ma in quantità minore) che con la fotosintesi ci donano ossigeno. Ma anche l’altra metà di ossigeno la dobbiamo in qualche modo al mare: viene prodotta dalle piante a terra che però crescono grazie alle piogge che sono frutto dell’evaporazione del mare. Questo, non solo ci permette di respirare ma anche di bere e di mangiare (frutta e verdura, ma anche gli animali hanno bisogno dell’acqua dolce).

Principio 5. Il mare supporta un’immensa diversità di ecosistemi e di specie viventi. Queste sono parte essenziale dei cicli, a partire da quello biologico. Molte di queste specie sono anche essenziali per la cura della nostra salute: sia per gli elementi che ne traiamo per produrre medicine, sia per lo studio di meccanismi biologici, chimici, fisici che ispirano l’elaborazione di nuove modalità di cura.

Principio 6. Il mare e l’umanità sono fortemente interconnessi. Il mare è da sempre fonte di ispirazione, svago e benessere per l’essere umano: pensiamo alla letteratura, alla musica e alle arti in generale, alle scienze e al nostro relax. Ma il mare è anche un elemento essenziale per le comunicazioni (il trasporto merci avviene ancora in gran parte via nave, ma anche i cavi delle telecomunicazioni passano sui fondali oceanici) e per il reperimento di materie prime.

Principio 7. Il mare è ancora largamente inesplorato. Conosciamo meglio la superficie di Marte che i fondali del nostro mare. Questo perché studiare i fondali marini è estremamente complicato, costoso, richiede tempi lunghi e la strettissima collaborazione tra i Governi. Vista la maggiore consapevolezza acquisita, il dato sta migliorando abbastanza rapidamente. Ma la Giornata Mondiale degli Oceani ci ricorda che è necessario investire sulla ricerca e sulla conoscenza, non a scapito di quella spaziale ma in aggiunta. Perché da queste conoscenze dipende la qualità della nostra vita.

Nell’avvicinamento alla Giornata Mondiale degli Oceani, la leggendaria biologa marina Sylvia Earle ha detto: “Siamo nel momento in cui stiamo da un lato continuando con il comportamento di prendere, prendere e prendere dalla natura e dall’altro realizzando che la cosa più importante che prendiamo dalla natura è la nostra esistenza”. Se lo terremo presente, avremo un futuro migliore.

oceano

(*giornalista e divulgatore ambientale)

Volatili

Il progetto Migrans da 30 anni ‘spia’ i viaggi dei rapaci nel Mediterraneo

Da 30 anni il progetto Migrans raccoglie dati sui rapaci che migrano nel Mediterraneo centrale e occidentale, avanti e indietro: dall’Africa all’Europa in primavera; da nord a sud quando l’estate è al tramonto. Un’impresa straordinaria, che affascina da sempre noi umani per la resistenza, il coraggio (interpretando con i nostri canoni quell’odissea che è frutto di una spinta genetica naturale) e l’incredibile capacità di ripercorrere anno dopo anno, generazione dopo generazione le stesse rotte.

In realtà la migrazione è una necessità per questi magnifici animali, evolutisi dai dinosauri, che si spostano con lo scopo di trovare le migliori condizioni per avere abbondante cibo a disposizione, riprodursi e allevare la prole. Ad esempio, il biancone – un bellissimo grande rapace con la parte inferiore del corpo molto chiara – si nutre di rettili e in Europa non avrebbe cibo durante le stagioni più fredde, quando i serpenti vanno in letargo. Il falco pecchiaiolo caccia vespe e api: per lui vale lo stesso discorso, se ne va quando questi imenotteri sono a riposo.

L’impresa straordinaria di cui vogliamo raccontare non è soltanto quella epica degli uccelli migratori, ma anche quella compiuta ogni anno dai molti uomini e donne che contribuiscono a questa eccezionale raccolta dati che è il progetto Migrans: tutti possono partecipare, ovviamente con una buona conoscenza dell’avifauna e imparando le tecniche necessarie all’osservazione e al conteggio.

Fin dal 1992, centinaia di persone, specialisti, studiosi, guardiaparco, semplici appassionati e volontari – racconta Fabiano Sartirana, coordinatore del progetto per conto dell’Ente Aree Protette Alpi Marittime -, si impegnano nelle decine di postazioni sparse nel nostro Paese: luoghi strategici, per posizione geografica ed esposizione lungo i corridori di passaggio. Lì, nei periodi di transito, ogni giorno un piccolo gruppo di persone si mette in osservazione e conta, uno ad uno, migliaia di esemplari in transito. A fine giornata viene compilata una scheda che poi confluirà nel database generale e quindi in un notiziario semestrale – InfoMigrans, scaricabile on line – la cui realizzazione è coordinata dal personale del Parco delle Alpi Marittime, con il contributo di tutti i Parchi, le Aree protette, gli Enti e i singoli impegnati sul campo”.

Sono molti i soggetti coinvolti, dall’Ente di gestione delle protette del Monviso al Parco naturale regionale del Beigua, dal Gruppo ricerche avifauna sulle colline moreniche del Lago di Garda allo Strait of Messina Bird Observatory, fino al Bird Life Malta. Una grande rete a livello Mediterraneo.

progetto MigransI censimenti vengono effettuati ogni anno nei due periodi chiave – specifica Sartirana – da metà marzo a maggio per la migrazione primaverile, detta pre nuziale, e da metà agosto a ottobre per quella autunnale, o post-riproduttiva. Le osservazioni ci permettono di notare, ad esempio, come la migrazione autunnale venga posticipata nel tempo, slittando di almeno una-due settimane rispetto a qualche decennio fa”.

I flussi dei migratori Africa/Europa/Africa avvengono sostanzialmente su tre corridoi ben identificati: quello occidentale che interessa lo Stretto di Gibilterra, quindi Pirenei e poi Alpi; quello attraverso lo Stretto di Messina, isole Egadi, Capo Bon in Tunisia; quello orientale attraverso il Bosforo. L’impronta genetica e l’esempio degli adulti, che migrano per primi e vengono seguiti dai soggetti più giovani, producono la trasmissione di questi percorsi da una generazione all’altra, per anni. Lievi modifiche – ad esempio una maggiore frequentazione di vallate alpine a una latitudine superiore – sono l’effetto del cambiamento di alcune delle condizioni (maggior frequenza di perturbazioni, presenza di cibo, temperature più adatte ecc…) e quindi indicatori interessanti per gli studi naturalistici ed ecologici.

Lo conferma Fabiano Sartirana: “Questa raccolta di dati standardizzata sul bacino del Mediterraneo sul lungo periodo permette di avere un quadro scientificamente molto interessante per studiare e comprendere diversi fattori, compresi trend di nidificazione, che non riguardano soltanto il bacino del Mediterraneo ma anche centro e nord Europa dove vanno molti degli uccelli in transito, quindi lo stato di salute delle singole specie, gli effetti del cambiamento climatico o di altri fattori legati alle attività umane, come l’utilizzo di sostanze inquinanti, la caccia, l’effetto della presenza o assenza di leggi di tutela, ecc… Dopo 30 anni abbiamo a disposizione una serie di dati davvero straordinaria, che può contribuire in maniera significativa ad affinare le conoscenze necessarie a comprendere le dinamiche in corso e a disegnare un futuro più sostenibile”.