Musazzi (Anima): “Stop alla vendita caldaie a gas? Tempi stretti e rebus fondi”
Nella direttiva Case Green, approvata pochi giorni fa dall’Europarlamento, ci sono due novità per le caldaie. Dal 2024 non saranno più incentivate quelle a gas a condensazione e dal 2029 non potranno più essere commercializzate. L’Unione Europa, per raggiungere gli obiettivi climatici, vuole puntare sulle pompe di calore elettriche. Una rivoluzione, paragonabile all’elettrificazione dell’automotive. Secondo il Codacons “per una nuova caldaia a condensazione, considerata una abitazione da 100 mq, la spesa va dai 3mila agli 8mila euro, il doppio se la caldaia è ibrida e con pompa di calore”. Federico Musazzi è segretario generale di Assoclima e Assotermica, due associazioni aderenti ad Anima Confindustria e ne ha parlato con GEA.
Segretario, sarete i protagonisti di questo cambiamento epocale, vi convince questa direttiva?
“La direttiva non è ancora legge, ha un iter che prevede il coinvolgimento degli Stati membri e del Consiglio d’Europa. Altri step potranno cambiare alcune cose. La strada però è tracciata, l’obiettivo primario è partire dalla consapevolezza che bisogna intervenire sugli edifici per centrare i target di decarbonizzazione, visto che oltre un terzo delle emissioni di gas serra e di circa il 40% dei consumi di energia viene proprio dagli edifici. Come quello dei trasporti è un settore prioritario su cui agire… Si punta dunque ad arrivare ad avere tutti immobili in classe energetica D dal 2033, ci sono però due considerazioni da fare e mi riferisco agli strumenti per raggiungere l’obiettivo”.
Ce le spieghi…
“Intanto i fondi che saranno messi in campo, considerando che siamo in una fase in cui si sta rivedendo la cessione del credito e lo sconto in fattura per ecobonus, parlo di quelli minori non del Superbonus, incentivi che negli anni hanno dato i maggiori risultati sulla riqualificazione del parco edilizio. Se andiamo a vedere consumi abitazione, circa 80% derivano da come ci si riscalda, ci si raffresca e da come si produce acqua sanitaria… Molto spesso è sufficiente cambiare l’impianto senza stravolgimenti sull’involucro per raggiungere il salto di classe. I numeri della direttiva europea sono però imponenti, serve una strutturalità delle misure”.
Ma è corretto l’approccio della direttiva?
“Cerchiamo intanto di abbattere la similitudine tra vettore energetico e apparecchio, sono due cose diverse. Il fatto di dire ‘eliminiamo i fossili e quindi eliminiamo le caldaie’ nasce da questa falsa convinzione. Come Assotermica portiamo avanti l’idea che una caldaia è una caldaia, che può consumare gas fossile ma potrà essere alimentata da gas rinnovabili, biometano e più in là da idrogeno. Bandire una tecnologia non tiene conto che il mercato di chi fa caldaie si sta evolvendo verso caldaie green gas ready, alimentate da rinnovabili”.
E’ sbagliato dunque demonizzare le caldaie a gas?
“Stiamo facendo sinergia con la filiera del gas, un approccio multitecnologico per usare tutte le soluzioni sul campo ha più senso dal punto di vista ambientale e industriale, dato che abbiamo un mondo produttivo forte che può operare su più tecnologie. Non voglio però che si creai una contrapposizione tra caldaie e gas e pompe di calore, che vanno spinte assolutamente. Il problema dunque è tutto questo dibattito su vietare o meno la caldaia, questo è un atteggiamento semplicistico che rischia di svilire il percorso di crescita che dovranno avere invece le pompe di calore e gli apparecchi ibridi”.
In Europa hanno capito questo?
“E’ cambiata la formulazione della direttiva, prima si parlava di vietare le caldaie fossili, adesso avendo distinto tra vettore e apparecchio, si vieta le caldaie alimentate a combustibili fossili, quindi c’è una apertura verso le caldaie alimentate da gas rinnovabili o apparecchi ibridi”.
Resta il fatto che l’industria dovrà cambiare completamente prodotto…
“Nel 2022 sono state vendute a 1.130.000 caldaie a gas a condensazione su 1.450.000 apparecchi totali che vengono utilizzati come fonte di riscaldamento primaria. E già questi numeri parlano da soli… Poi comunque le caldaie green gas ready dovranno avere una certificazione, per la quale si sta lavorando molto assiduamente per creare la corretta base normativa”.
Parliamo delle famiglie. Nei prossimi anni andranno cambiate tutte le caldaie a gas?
“Il divieto scatterà per le nuove abitazioni dal 2029; non ci sarà un obbligo per le famiglie di cambiare le caldaie già installata, ma se dovesse essere approvata come tale la direttiva interverrà solamente sui nuovi apparecchi che verranno immessi sul mercato”.
Quante sono attualmente le caldaie installate?
“Il parco esistente è di 19,7 milioni”.
Un numero impressionante. Al di là dei costi, che citava il Codacons, l’industria è pronta ad avere una offerta adeguata?
“Le scadenze sono molto ravvicinate e soprattutto non è chiaro quali siano le misure a supporto; l’industria ha ovviamente tutto l’interesse ad accelerare il rinnovo del parco impiantistico ma è evidente che stiamo parlando di un settore complesso e che è forse troppo semplicistico pensare di raggiungere determinati risultati di decarbonizzazione fissando solamente degli obiettivi sempre più severi. Non è solo una questione di produzione perché le tecnologie ci sono, ma di sostenibilità per i tanti attori in gioco, incluso ovviamente l’utente finale”.
Servirà un cambio di passo anche dal punto di vista professionale, sia qualitativo che quantitativo, no?
“Lo ripeto, ben venga una maggiore elettrificazione dei consumi e con essa una crescita delle pompe di calore e degli apparecchi ibridi. Per questo ci sarà bisogno di sempre maggiori professionalità. Servono competenze nuove tecnologicamente parlando, servono operatori lungo tutta la filiera del riscaldamento che devono conoscere i nuovi strumenti, serve anche un numero maggiore di lavoratori. Stiamo in questo senso iniziando a parlare nelle scuole, dobbiamo creare queste nuove figure”.
C’è un rischio invasione con prodotti extra-Ue?
“Il mondo del gas e delle caldaie è tradizionalmente è forte in Europa, dove l’Italia è leader, ma anche per le pompe di calore ci sono aziende importanti che stanno investendo in Europa e in Italia. Il piano sviluppo prevede che vengano individuate misure per stimolare ancor di più la componente produttiva in Europa, proprio per mantenere la centralità del nostro continente. E’ comunque un aspetto da tenere in considerazione quello della concorrenza straniera, ma non lo ritengo centrale. Le criticità sono altre”.