Anche le plastiche biodegradabili sono dannose per i pesci

Le plastiche biodegradabili potrebbero non essere la soluzione all’inquinamento che molti speravano: uno studio dell’Università di Otago, infatti, ha dimostrato che sono comunque dannose per i pesci. È noto che le microplastiche derivate dal petrolio hanno un impatto sulla vita marina, ma si sa poco delle ripercussioni delle alternative biodegradabili. Lo studio, pubblicato su Science of the Total Environment e finanziato da un Research Grant dell’Università di Otago, è il primo a valutare l’impatto della plastica derivata dal petrolio e di quella biodegradabile sui pesci selvatici. L’autrice principale Ashleigh Hawke, che ha conseguito un Master of Science presso il Dipartimento di Scienze Marine di Otago, afferma che l’esposizione alla plastica derivata dal petrolio ha influenzato negativamente le prestazioni di fuga dei pesci, il nuoto di routine e il metabolismo aerobico. Al contrario, quelli esposti alle bioplastiche hanno subito solo un’influenza negativa sulla velocità massima di fuga.

Secondo la studiosa, la ricerca è significativa perché dimostra che sia le plastiche derivate dal petrolio sia quelle biodegradabili possono essere dannose per i pesci marini, qualora vi siano esposti. “Le plastiche biodegradabili potrebbero non essere la soluzione per l’inquinamento da plastica come crediamo. Anche se non sono così dannose, possono comunque causare effetti negativi agli animali che possono esservi esposti – nel caso di questo studio, le popolazioni diminuirebbero perché i loro comportamenti di fuga sono compromessi“.

La coautrice, la dottoressa Bridie Allan, sempre del Dipartimento di Scienze Marine, afferma che è necessario fare di più a livello politico per proteggere gli ambienti marini. “Lo sviluppo delle plastiche tradizionali è ormai consolidato da decenni e quindi la loro produzione non subisce grandi variazioni. Tuttavia, poiché le plastiche biodegradabili sono un settore relativamente nuovo, ci sono variazioni nel modo in cui vengono prodotte e nei materiali utilizzati. Questa ricerca dimostra che le materie prime utilizzate in questi prodotti sono importanti e che il loro uso dovrebbe essere maggiormente regolamentato e controllato“.

Berlino, scoppia l’acquario Sea life con 1500 pesci: allagamenti e feriti

Questa mattina è esploso l’enorme acquario Sea life situato nel foyer del complesso edilizio DomAquarée, che ospita un albergo berlinese non lontano da Alexanderplatz. Secondo quanto riportano i media tedeschi, lo scoppio è avvenuto intorno alle 5.50 ora locale e ha provocato il ferimento di due persone. Il grande acquario, con una colonna d’acqua di 14 metri, è il più grande acquario cilindrico indipendente del mondo: al suo interno nuotavano circa 1500 pesci tropicali (di oltre cento specie diverse: tra queste il pesce pagliaccio, il pipistrello pinna lunga) che vivevano in una vera barriera corallina ricostruita. “L’acqua aveva un peso di circa 1000 tonnellate”, scrive la Bild per una capacità di un milione di litri. Le conseguenze di questa esplosione avrebbero potuto essere più gravi se l’acquario fosse stato aperto al pubblico, ma fortunatamente vista l’ora la struttura era praticamente deserta.
Sul posto sono intervenuti oltre cento vigili del fuoco. Il loro portavoce ha comunicato che le due persone ferite sono state colpite da schegge e che sono state portate in ospedale. “L’acqua e i pesci  si sono rovesciati al piano terra e l’hotel è stato evacuato“. La polizia ha parzialmente chiuso al traffico l’adiacente via Karl-Liebknecht, una delle principali arterie del centro di Berlino, a causa di una “quantità estrema di acqua sulla strada”, ha dichiarato l’azienda di trasporti della capitale sul suo account Twitter.
Secondo il sito web di DomAquarée, l’acquario è stato ampiamente modernizzato nell’estate del 2020. La Bild, invece, riporta che l’esplosione è stata causata dall’usura delle attrezzature. L’AquaDom era stato però riaperto la scorsa estate dopo una lunga e costosa ristrutturazione costata 2,5 milioni di euro.

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L’acquaponica di The Circle ‘accoppia’ pesci e insalata

Nel 1991 Gino Paoli cantava: “Eravamo quattro amici al bar/che volevano cambiare il mondo…”. È suggestivo quindi pensare che le mamme dei quattro fondatori di The Circle, l’anno prima che nascessero, possano aver ascoltato questa canzone e aver trasmesso la voglia di fare ai figli che sarebbero nati da lì a poco. Perché Thomas Marino, Valerio Ciotola, Simone Cofini e Lorenzo Garreffa, nati appunto tutti nel 1992 (“in tre abbiamo già compiuto 30 anni, ne manca solo uno” spiega Thomas) il mondo lo vogliono cambiare davvero: con la loro azienda nata nel 2017, The Circle, di base a Roma che opera nel campo della coltura acquaponica.

I QUATTRO AMICI UNITI DALLA PASSIONE PER IL GREEN

Abbiamo fatto percorsi universitari in parte comuni e in parte diversi – racconta Thomas -. Alcuni di noi però si conoscevano già dai tempi delle superiori”. Valerio è dottore in biotecnologie industriali. “Perdutamente innamorato di scienza, pesca e misticismo – si racconta sul sito dell’azienda -. Ossessionato dalle potenzialità energetiche di materiali di scarto e microalghe, è il presidente dell’azienda e un punto di riferimento necessario per il coordinamento di tutto il lavoro”. Anche Simone è dottore in biotecnologie e studioso di organismi vegetali. Cresciuto da bambino in estremo oriente è razionale e con i piedi per terra. Lui è il direttore di tutta l’impiantisca The Circle e ha curato anche lo sviluppo di tutta la sensoristica aziendale. Thomas invece è dottore in Scienze politiche. Viaggiatore, scrittore e surfista ha imparato con il tempo l’importanza di pensare ‘outside the box’, fuori dagli schemi. Per The Circle cura tutta la comunicazione e lo sviluppo strategico. Infine c’è Lorenzo, dottore in biotecnologie industriali. “Tatuaggi e faccia da bravo ragazzo – si legge nella sua scheda -, è in grado di dare vita a qualsiasi organismo presente in azienda. Parla poco ma quando lo fa parla giusto. Meticoloso e ascoltatore cura ogni aspetto della nascita e della crescita delle nostre colture”.

COME È NATA L’IDEA DI THE CIRCLE

Terminata l’università ci siamo proposti di rispondere a problemi che vedevano intorno a noi e che risultavano sempre più evidenti”, spiega Thomas. “In ambito agricolo si è sempre parlato di mancanza di terre coltivabili e soprattutto di acqua. Senza dimenticare la domanda di maggiore cibo, più sano, prodotto in sempre meno spazio e con il minor ricorso possibile ai concimi chimici”. Da qui è nata l’idea di The Circle, un modello di produzione agricola sostenibile. La parola magica è ‘acquaponica’. Si tratta di una tecnica con la quale vengono accoppiati l’allevamento di pesci e la produzione di insalate ed erbe aromatiche di altissima qualità. “Con questo sistema garantiamo una maggiore resa e una maggiore velocità di crescita delle piante coltivate – prosegue Thomas -. Coltiviamo le migliori varietà vegetali senza generare alcun tipo di scarto, riuscendo a valorizzare ogni rifiuto reintroducendolo nel nostro ciclo produttivo. La nostra struttura è capace di superare il concetto di biologico e di impatto zero, arrivando a essere un valore aggiunto per l’ambiente”. The Circle mira infatti a diventare l’esempio del nuovo modo di fare impresa: attenta all’ambiente, che usa tecnologie avanzate, e che offre sul mercato un prodotto di qualità superiore. “La nostra visione era quella di creare un modello di sviluppo sostenibile e competitivo, che pone alla sua base attenzione all’ambiente e attenzione al cliente”, chiarisce Thomas.

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COME FUNZIONA L’ACQUAPONICA

Ma, in sostanza, in cosa consiste la coltura acquaponica? The Circle possiede vasche di pesci di tipo ornamentale come carpe, sia giapponesi che locali, e pesci rossi. Nell’habitat acquatico i pesci producono scarti, sotto forma di ammoniaca e altri scarti organici. Grazie ai batteri queste sostanze diventano azoto, particolarmente nutriente per far crescere le piante. In un circolo virtuoso, dunque, questa acqua viene utilizzata per annaffiare e concimare le piante e quella che non viene assorbita dalle radici ritorna in circolo. L’azienda dei quattro soci si articola infatti in sorte di serre dove le piante aromatiche che vengono coltivate crescono su supporti in verticale. In questo modo l’acqua viene pompata dall’alto, con sistemi a bassissimo consumo elettrico e dotati di sensori, per scorrere e innaffiare i germogli e poi scendere verso il basso dove, quella non assorbita, viene raccolta e rimessa in circolo. “In questo modo risparmiamo il 90% di acqua”, spiega Thomas. Hanno calcolato infatti che vengono risparmiati 135 litri d’acqua per kg di prodotto e ben 33.000 kg di CO2 non viene immessa in atmosfera ogni anno. Senza dimenticare l’abbattimento dell’utilizzo di diserbanti, fertilizzanti di sintesi e antiparassitari. Con questo sistema hanno notato inoltre una maggiore resa e una maggiore velocità di crescita delle piante coltivate. In azienda i quattro trentenni producono prevalentemente insalata, rucola, spinaci e erbe aromatiche come basilico greco, prezzemolo e altre varietà come erba ostrica. I loro clienti sono i ristoranti di Roma che ricorrono a The Circle per avere in tavola un ‘fresco’ buono e sostenibile. Quello che resta invenduto viene trasformato in pesto al momento distribuito in quattro supermercati di Roma oppure nello shop on line del loro sito. Ultimo aspetto, ma non meno importante, l’azienda in questi primi anni è riuscita a dare lavoro a dieci persone: un altro esempio di come con un’idea e voglia di fare si possa davvero contribuire a cambiare il mondo.

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