giovani e ambiente

Europa, ambiente e giovani: che imbarazzo a dover rispondere a certe domande

Davanti a una cinquantina di ragazzi presenti tra il pubblico a un panel organizzato dal Consiglio della Regione Piemonte nell’ambito del Salone del Libro – tema: ambiente ed Europa – ho faticato a rispondere alla domanda del moderatore su cosa dovrebbero fare i giovani per portare avanti la transizione ecologica. Ecco, appunto, cosa dovrebbero fare, loro? E noi, invece? Credo che i giovani abbiano già fatto abbastanza e che, in virtù di una coscienza green molto più sensibile di quella degli adulti, abbiano stimolato le coscienze collettive. Greta ha avuto il merito di risvegliare dormienti e consenzienti della carbonizzazione scellerata, ma adesso la situazione è ben oltre Greta. Che resta un’icona della protesta ambientalista ma che fatalmente è stata bypassata dall’incedere degli eventi di questi ultimi mesi.

Io la domanda l’avrei ribaltata: cosa devono fare i grandi, quali sono le condizioni che devono essere create dai governanti, segnatamente dall’Europa, per mettere i giovani nelle condizioni di essere soggetti attivi di un cambiamento che non è solo climatico ma anche comportamentale? Partendo dal presupposto che comunque l’Unione europea incide meno del 10% nella produzione di C02 del pianeta, il terreno è sterminato. Con il RePowerEu e con Fit for 55 sono stati compiuti passi avanti sotto il profilo delle normative, che però non possono ristagnare a livello di buone intenzioni. Le difficoltà per mantenere fede agli Accordi di Parigi (anno di grazia 2015) sono un pessimo segnale, perché alla fine gli interessi nazionali vengono prima della difesa del clima e quell’orizzonte lontano del 2050 invita a prenderla con calma: “Tanto c’è tempo” e invece di tempo non ce n’è.

Uno studio di Mckinsey ha stabilito che oltre il 50% dei bambini delle scuole elementari svolgeranno un lavoro attualmente inesistente. Perché fioriranno mestieri diversi, legati alla transizione ecologica, alla sostenibilità, dal green deal. Paradossalmente, la guerra in Ucraina ha accelerato due processi: il progressivo allontanamento dalle energie fossili e la brusca virata verso le rinnovabili e l’energia green. Ma più per una deriva forzata, viene da pensare, che non per una scelta meditata. E questo i giovani l’hanno capito…

GAS

Stoccaggi di gas pieni prima dell’inverno. Raggiuto accordo Ue

Stoccaggi di gas riempiti almeno all’80% della propria capacità entro il primo novembre 2022 e al 90% a partire dagli anni successivi. È al tempo record di quasi due mesi che i co-legislatori dell’UE – Parlamento e Consiglio – hanno raggiunto un accordo politico provvisorio sulla proposta di regolamento della Commissione Ue per affrontare eventuali rischi di approvvigionamento dovuti a tagli improvvisi alle forniture di gas dalla Russia, il principale fornitore all’Europa. E non è un’ipotesi così lontana, dal momento che appena tre settimane fa il gigante energetico russo Gazprom ha interrotto i flussi verso Bulgaria e Polonia, che si sono rifiutate di pagare il gas in rubli come disposto dal Cremlino.

Il nucleo duro del regolamento è l’obbligo per tutti gli Stati membri di tenere piene le riserve di gas prima dell’inizio dell’inverno – il periodo dell’anno in cui la domanda di gas è più alta, perché si usano di più i riscaldamenti – in modo da non andare in crisi di approvvigionamento in caso di tagli.

Soprattutto ora che l’UE si sta impegnando a ridurre progressivamente la sua dipendenza dal gas importato da Mosca attraverso il piano ‘RePowerEU’. L’accordo provvisorio – che ora andrà adottato da entrambe le istituzioni separatamente (solitamente è un passaggio solo formale) – dettaglia alcune regole per gestire una novità nel sistema infrastrutturale energetico europeo: fissa all’80% il minimo livello di riempimento da osservare per quest’anno, ma esorta i governi e gli operatori a “sforzarsi di raggiungere l’85%”, portando l’obiettivo al 90% a partire dal 2023. A livello complessivo, l’Unione dovrà riempire l’85% della capacità di stoccaggio sotterraneo del gas nel 2022. L’obbligo sarà in vigore fino a fine 2025 ed è prevista una esenzione per Cipro, Malta e Irlanda, che sono tra i Paesi che non hanno alcuna capacità di stoccaggio.

Per gli Stati membri che non hanno proprie strutture sotterranee per mettere in riserva il gas è possibile avere accesso a quelle degli altri (per circa il 15% del loro consumo annuo di gas negli ultimi cinque anni), condividendo poi l’onere finanziario degli obblighi di riempimento con il governo “ospitante”. Gli Stati possono raggiungere l’obiettivo usando anche gas naturale liquefatto (GNL) o combustibili alternativi stoccati negli impianti. I co-legislatori danno mandato alla Commissione europea, inoltre, di istituire un meccanismo (volontario) per l’approvvigionamento congiunto di gas se almeno due Stati membri ne richiedono l’attivazione, per ottenere prezzi più bassi sugli ordini di grandi dimensioni ma anche per scongiurare concorrenza tra Stati sulle forniture.

Nei negoziati di queste settimane, il Parlamento europeo ha spinto per introdurre nel testo di compromesso un riferimento preciso per limitare l’uso di gas “da fornitori inaffidabili” – come la Russia – per riempire gli stoccaggi e per dare un segnale forte a Putin. La richiesta non è passata, la presidenza francese ha frenato su questo dal momento che come misura sembra impossibile da realizzare in pochi mesi, vista la forte dipendenza energetica da Mosca (oltre il 40% del gas europeo importato arriva da lì). In conferenza stampa per presentare l’accordo, l’eurodeputato polacco Jerzy Buzek (PPE) che ha guidato la squadra negoziale per conto del Parlamento europeo, ha spiegato che nonostante non ci sia un obbligo effettivo, tutti gli Stati membri possono decidere volontariamente di non riempire lo stoccaggio con i volumi di gas in arrivo dalla Russia. Per dare un segnale forte al capo del Cremlino.

nave grano

Crisi alimentare, Draghi: “Urgente sblocco tonnellate di grano dai porti ucraini”

Attraverso il piano ‘RePowerEU‘ presentato ieri a Bruxelles, la Commissione europea vuole azzerare le importazioni di combustibili fossili russi, diversificando i fornitori di energia e scommettendo sulle rinnovabili. Alla crisi umanitaria scaturita dal conflitto in corso, tuttavia, rischia di aggiungersi anche quella alimentare. Russia e Ucraina sono tra i principali fornitori di cereali a livello globale essendo responsabili di più del 25% delle esportazioni globali di grano: da loro dipendono 26 Paesi per più di metà del fabbisogno.

A questo proposito, il premier Mario Draghi – nel corso dell’informativa in Senato sui recenti sviluppi del conflitto tra Russia e Ucraina – ha scavato nel dettaglio evidenziando come ripercussioni e minacce stiano iniziando a palesarsi sul fronte dell’approvvigionamento di grano e cereali: “Le devastazioni belliche hanno colpito la capacità produttiva di vaste aree dell’Ucraina. A ciò si aggiunge il blocco, da parte dell’esercito russo, di milioni di tonnellate di cereali nei porti del Mar Nero e del Mar d’Azov. La guerra mette a rischio la sicurezza alimentare di milioni di persone, anche perché si aggiunge alle criticità già emerse durante la pandemia“.

Il tema è stato oggetto di dibattito anche allo scorso incontro di Draghi con il presidente Usa, Joe Biden. I due, infatti, hanno confermato l’urgenza di un’azione coordinata per evitare che il conflitto provochi una crisi alimentare. “Ho chiesto sostegno per una iniziativa condivisa tra tutte le parti per sbloccare immediatamente i milioni di tonnellate di grano fermi nei porti del sud dell’Ucraina. In sostanza, occorrerebbe organizzare una collaborazione tra Federazione Russa e Ucraina per far uscire queste navi perché arrivino a portare il grano alle popolazioni più povere del mondo“, ha detto il Premier, convinto che i due Paesi debbano venirsi incontro per allontanare il rischio di emergenza alimentare. “L’Italia alcuni passi avanti li sta muovendo. Infatti, in collaborazione con la Fao, ha già promosso un Dialogo Ministeriale con i Paesi del Mediterraneo e che analoghe iniziative sono state prese dalla Francia, dalla Germania, dagli Stati Uniti“, ha aggiunto Draghi, ma questo non è ancora sufficiente a risolvere le incertezze.

Pannelli solari

Ue alza i target per le rinnovabili, verso obbligo pannelli solari su tetti

Pannelli solari obbligatori sui tetti dei nuovi edifici commerciali dal 2026 e per le nuove case a partire dal 2029. Nel suo piano per l’indipendenza dai combustibili fossili importati dalla Russia, ‘RepowerEU’, presentato mercoledì, la Commissione Europea fa leva su un massiccio aumento e accelerazione delle energie rinnovabili nella produzione di energia, ma anche nell’industria, negli edifici e nei trasporti per liberarsi dai combustibili fossili russi, da cui dipende per oltre il 50% delle sue importazioni di energia.

Bruxelles ha proposto nel piano di portare l’attuale target per l’energia prodotta da fonti rinnovabili dal 40% al 45%. Neanche un anno fa, a luglio 2021, la Commissione Ue aveva proposto nel quadro del suo pacchetto climatico ‘Fit for 55’ una revisione della direttiva sulle energie rinnovabili risalente al 2018 per portare l’obiettivo per il 2030 dall’attuale 32% delle energie rinnovabili nel mix energetico dell’Ue, fino al 40%. Mercoledì Bruxelles ha rivisto al rialzo l’obiettivo per accelerare la transizione e punta principalmente sull’energia solare.

Come parte centrale del ‘Repower Eu’, ha lanciato una ‘strategia solare dell’Ue’ per raddoppiare la capacità solare fotovoltaica entro il 2025 e installare 600 Gigawatt di nuova potenza entro il 2030. Per aumentare la capacità propone un’iniziativa specifica sui tetti solari con un obbligo a tappe per gli Stati membri per installare pannelli solari su nuovi edifici pubblici e commerciali e nuovi edifici residenziali. Per liberare un potenziale che l’Ue stima potrebbe fornire il 25% del consumo di elettricità dell’intera Unione, i governi dovrebbero limitare la durata con cui vengono rilasciati i permessi per gli impianti solari su tetto, compresi quelli di grandi dimensioni, a un massimo di 3 mesi. Dovranno rendere gradualmente obbligatoria l’installazione di energia solare sul tetto per tutti i nuovi edifici pubblici e commerciali con una superficie superiore a 250 metri quadri entro il 2026 e per tutti gli edifici pubblici e commerciali esistenti entro il 2027. L’obbligo entrerà in vigore nel 2029, invece, per tutti i nuovi edifici residenziali, quindi le case.

Per contrastare la lentezza con cui si approvano le autorizzazioni per i grandi progetti rinnovabili, la Commissione ha presentato una raccomandazione agli Stati per accelerare le approvazioni e un emendamento mirato alla direttiva sulle energie rinnovabili per riconoscere l’energia rinnovabile come “un interesse pubblico prioritario”. In questo modo, i governi dovrebbero istituire aree di riferimento dedicate per le energie rinnovabili con procedure di autorizzazione abbreviate e semplificate in aree con rischi ambientali limitati. Attualmente ci vogliono almeno “9 anni” per autorizzare progetti che riguardano l’eolico e “più di 4 anni per i progetti che riguardano il solare”, ha spiegato nella conferenza stampa la stampa per l’Energia, Kadri Simson.

Ursula von der Leyen

RePowerEU, il piano Ue da 300 mld per l’indipendenza energetica dalla Russia

Diversificare i fornitori di energia, abbattere i consumi energetici nelle case e nelle industrie ad alta intensità (le energivore) attraverso l’efficienza e aumentare la capacità di energia rinnovabile nel mix dell’Unione. Sono questi i tre pilastri del piano dell’Unione Europea ‘RePowerEU’ per azzerare la dipendenza dai combustibili fossili russi entro il 2027, annunciato lo scorso 8 marzo e presentato mercoledì nei dettagli dalla Commissione Europea.

Azioni e risorse finanziarie con l’obiettivo di rendere il sistema energetico dell’Ue più resiliente di fronte a crisi come quella trainata dalla guerra in Ucraina, ma anche fermare le importazioni di combustibili fossili russi, che stanno alimentando la guerra e il Cremlino. “Oggi portiamo la nostra ambizione a un altro livello per assicurarci di diventare quanto prima indipendenti dai combustibili fossili russi”, ha affermato la presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, scesa in conferenza stampa per annunciare il piano. Secondo le stime di Bruxelles, mettendo in atto tutte le misure del piano l’Ue sarà in grado di liberarsi di almeno 155 miliardi di metri cubi di gas fossile, che è pari al volume (di gas) importato dalla Russia nel 2021. Quasi due terzi di questa riduzione può essere ottenuta entro la fine del 2022.

Von der Leyen ha stimato che saranno mobilitati quasi 300 miliardi di euro, di cui circa 72 miliardi in sovvenzioni e 225 miliardi in prestiti: il 95% dei finanziamenti “andrà a sostenere la transizione verde per le rinnovabili”. Nel piano, Bruxelles ha stimato che avrà bisogno di ulteriori 210 miliardi di euro di investimenti fino al 2027, che dovranno arrivare sia dal pubblico che dal privato. Circa 225 miliardi di euro di prestiti ancora non utilizzati dallo strumento di ripresa e resilienza (Recovery and resilience facility) varato per il COVID saranno incanalati a sostegno di queste misure, quindi investimenti per rinnovabili e risparmio energetico. Altri 20 miliardi di euro di sovvenzioni arriveranno dalla vendita all’asta di quote di carbonio del sistema di scambio di emissioni dell’UE – il sistema ETS – che oggi sono ferme nella riserva di Stabilità del Mercato. Attraverso l’attuale quadro finanziario (2021-2027), la Commissione intende inoltre dirottare una parte dei fondi della politica di coesione (circa 100 miliardi di euro) e della politica agricola comune, la PAC (circa 7,5 miliardi) per investire in energie rinnovabili, idrogeno e infrastrutture. In autunno la Commissione raddoppierà i fondi disponibili per il bando 2022 del Fondo per l’innovazione, portandoli a circa 3 miliardi di euro.

Per abbattere i consumi energetici, la Commissione propone di rafforzare le misure di efficienza a lungo termine, compreso un aumento dal 9% al 13% dell’obiettivo vincolante contenuto nella revisione della direttiva efficienza proposta a luglio 2021 nell’ambito del pacchetto “Fit for 55”. In una comunicazione specifica dedicata al “risparmio energetico” Bruxelles descrive in dettaglio i cambiamenti comportamentali a breve termine che potrebbero ridurre la domanda di gas e petrolio del 5% e incoraggia gli Stati membri ad avviare campagne di comunicazione specifiche rivolte alle famiglie e all’industria e a utilizzare misure fiscali per il risparmio.

infograficaA lungo termine, l’Esecutivo comunitario vuole che l’energia rinnovabile – solare ed eolica – producano almeno il 66% dell’elettricità nel mix complessivo, raddoppiando la quota attuale del 33%. Per questo ha proposto anche di aumentare l’obiettivo principale per il 2030 per le energie rinnovabili dal 40% al 45% (anche questo target proposto neanche un anno fa nel pacchetto ‘Fit for 55’) e previsto una strategia dedicata al solare per raddoppiare la capacità solare fotovoltaica entro il 2025 e installare almeno 600 Gigawatt entro il 2030.

Bruxelles fissa a 10 milioni di tonnellate di produzione interna di idrogeno rinnovabile e 10 milioni di tonnellate di importazioni entro il 2030 l’obiettivo per ridurre la dipendenza dai combustibili fossili russi e sostituire il gas naturale, il carbone e il petrolio nelle industrie e nei settori dei trasporti difficili da decarbonizzare. Per accelerare la diffusione di idrogeno verde su larga scala, la Commissione ha stanziato 200 milioni di euro per la ricerca e pubblicherà nelle prossime settimane due atti delegati sulla definizione e la produzione di idrogeno rinnovabile “per garantire che la produzione porti a una decarbonizzazione netta”, si legge nella comunicazione. Per portare la produzione di biometano ad almeno 35 miliardi di metri cubi entro il 2030, lancerà un piano d’azione e una nuova partnership industriale con incentivi finanziari che arriveranno soprattutto dalla nuova PAC.

Nelle prossime settimane Bruxelles presenterà la sua proposta per un meccanismo per gli acquisti congiunti di gas a livello comunitario, ispirato a quanto ha fatto con gli appalti congiunti per comprare i vaccini anti-Covid e scongiurare concorrenza tra gli Stati membri. Sarà aperto anche al vicinato, dall’Ucraina alla Moldavia. “In questo modo, possiamo proteggere le importazioni di cui abbiamo bisogno, senza concorrenza tra gli Stati membri”, ha spiegato von der Leyen. Non solo idrogeno e gas verdi. Bruxelles riconosce nel piano di dover prolungare nel tempo lo sfruttamento di centrali a carbone e nucleare per la produzione di energia elettrica che arrivi da fonti alternative al gas. La Commissione stima che l’energia prodotta da carbone dovrà aumentare a 100 terawattora (tWh), il 5% in più rispetto a quanto corrisponde attualmente e dal nucleare fino a 44 TWh. Fonti comunitarie assicurano che si tratterà di una misura limitata nel tempo e soprattutto non richiederà investimenti in nuove infrastrutture, quindi nuove centrali.

URSULA VON DER LEYEN

Svolta RePowerEU: 300 miliardi mobilitati e spinta sui pannelli solari

La Commissione Europea ha presentato il piano ‘RePowerEU’ per ridurre la dipendenza europea dai combustibili fossili, in particolare quelli importati dalla Russia. “Si tratta di un grande pacchetto sui temi che sono emersi come cruciali dopo l’invasione russa dell’Ucraina, tra cui quello della sicurezza energetica”, ha dichiarato dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. “Abbiamo visto – ha detto – quanto siamo dipendenti e vulnerabili dalle fonti che arrivano da Mosca, ma con questo piano arriveremo a esserne indipendenti”.

Come illustrato da von der Leyen, il piano RePowerEU si concentrerà su tre livelli: “Primo, sulla domanda, cioè sul risparmio energetico. Secondo, sulle forniture, per sostituire le fonti russe con quelle di altri partner più affidabili. Terzo, sulle energie rinnovabili, accelerando gli investimenti. Saranno mobilitati quasi 300 miliardi di euro, di cui circa 72 miliardi in sovvenzioni e 225 miliardi in prestiti: il 95% dei finanziamenti andrà a sostenere la transizione verde per le rinnovabili”. Per raggiungere gli obiettivi di diversificare i fornitori di energia, abbattere i consumi energetici e puntare sull’energia pulita, Bruxelles stima che servirà un investimento aggiuntivo di 210 miliardi di euro da qui al 2027, ma anche che la riduzione delle importazioni di combustibili fossili russi porterà a un risparmio di 100 miliardi di euro all’anno.

Tra le proposte della Commissione, un emendamento al Pnrr per usare circa 225 miliardi di euro in prestiti non ancora richiesti dai governi europei da incanalare in investimenti a sostegno del piano e l’aumento della dotazione finanziaria dello stesso con 20 miliardi di euro di sovvenzioni provenienti dalla vendita di quote di carbonio del sistema di scambio di emissioni dell’Ue – il sistema ETS – che oggi sono ferme nella riserva di Stabilità del Mercato. Attraverso l’attuale quadro finanziario (2021-2027), la Commissione intende dirottare una parte dei fondi della politica di coesione (circa 100 miliardi di euro) e della politica agricola comune, la PAC (circa 7,5 miliardi) per investire in energie rinnovabili, idrogeno e infrastrutture. In autunno la Commissione raddoppierà i fondi disponibili per il bando 2022 del Fondo per l’innovazione, portandoli a circa 3 miliardi di euro.

INFRASTRUTTURE

Per integrare meglio i progetti di interesse comune e le infrastrutture di collegamento del gas – si legge nel piano ‘RePowerEU’ – si stima che saranno necessari investimenti per circa 10 miliardi di euro, con circa 12 nuovi progetti infrastrutturali a cui dar vita nei prossimi anni e 20 già in lavorazione. “Non serve rivoluzionare l’infrastruttura energetica attuale”, ha spiegato un funzionario dell’Ue. Nel quadro del piano presentato oggi, l’Esecutivo europeo ha lanciato anche un nuovo bando da 800 milioni di euro nel quadro del Meccanismo per collegare l’Europa, a cui ne seguirà un altro all’inizio del 2023.

RINNOVABILI

Aumentare l’obiettivo principale per il 2030 per le rinnovabili dal 40% al 45% raddoppiando la capacità fotovoltaica entro il 2025 e installando 600 Gigawatt entro il 2030. È un altro dei progetti suggeriti dalla Commissione Ue che, attraverso il ‘RepowerEU’, lancia un’iniziativa sui tetti solari con l’obbligo legale per gli Stati membri di installare pannelli fotovoltaici sui nuovi edifici pubblici e commerciali e su quelli residenziali, ovvero le case. Il piano prevede inoltre di raddoppiare il tasso di diffusione delle pompe di calore e misure per integrare l’energia geotermica e solare termica nei quartieri modernizzati.

La Commissione sta lavorando anche alla creazione del meccanismo di acquisto congiunto di energia, in cui “negozierà per gli Stati membri che ne fanno parte (dal momento che sarà su base volontaria) gas e poi in futuro anche idrogeno”, ha evidenziato la commissaria europea per l’Energia, Kadri Simson che spera, a livello europeo, di “raggiungere prima dell’estate nuovi accordi politici – dopo quelli siglati con Canada e Stati Uniti – per ulteriori forniture di gas naturale liquefatto (GNL)”, la sottolineatura di Simson che auspica, per Bruxelles, un futuro di indipendenza energetica dalla Russia. Attualmente l’Europa importa oltre il 50% dell’energia da Mosca.

TIMMERMANS

Il vicepresidente della Commissione Ue, Frans Timmermans, è tornato sull’idea di Mario Draghi di limitare l’uso dei condizionatori: “In Italia il premier ha dato un’idea al Paese sulla temperatura dei condizionatori per risparmiare energia, ma è una questione che va lasciata alla discrezione delle aziende e dei singoli cittadini. Voglio solo informarli che abbassare la temperatura del riscaldamento in inverno e non azionare troppo presto l’aria condizionata in estate è un modo di togliere soldi dalle tasche di Putin e questa è una cosa buona”

biogas

La scommessa Ue sul biogas per l’indipendenza energetica

Diversificare i fornitori di gas, decarbonizzare le industrie e puntare sulle energie rinnovabili. Ma non solo. I piani della Commissione Europea per liberarsi dal gas e dagli altri combustibili fossili importati dalla Russia, prevedono anche di aumentare la produzione di biometano nell’UE, portando a 35 miliardi di metri cubi la produzione europea entro il 2030, sfruttando soprattutto fonti di biomassa sostenibili come i rifiuti e i residui agricoli. Dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, iniziata lo scorso 24 febbraio, la Commissione europea ha annunciato un piano ‘REPowerEU’ per rendere l’Europa indipendente dai combustibili fossili russi al più tardi entro il 2027, a cominciare proprio dal gas (che l’UE importa per oltre il 40% del proprio mix energetico). I “come e dove” di questa transizione saranno dettagliati in una comunicazione separata attesa a metà maggio da parte dell’Esecutivo comunitario, ma Bruxelles ha già anticipato nelle linee la sua strategia di attacco mettendo al centro di questo piano anche livelli più alti di biometano prodotto a livello europeo, nell’ottica dello sviluppo di un’economia più circolare.

Il biometano è un gas composto da metano ottenuto dalla purificazione del biogas. Un’alternativa ‘green’ e rinnovabile al gas naturale, che può essere usato tra le altre cose per la fornitura di riscaldamento ed elettricità per gli edifici e le industrie e la produzione di combustibili rinnovabili per i trasporti. L’ambizione di produrre 35 miliardi di metri cubi di biometano all’anno entro il 2030 in UE significa di fatto raddoppiare l’obiettivo proposto dall’Esecutivo europeo neanche un anno fa nel pacchetto sul clima ‘Fit for 55’, che fissava la cifra a 17 miliardi di metri cubi/l’anno nel quadro della revisione prevista della direttiva europea sulle energie rinnovabili.

La proposta della Commissione deve ancora passare al vaglio dei co-legislatori – Parlamento e Consiglio – ma potrebbe essere modificata ancora prima di essere approvata. L’obiettivo di produrre in Europa 35 miliardi di metri cubi di biometano rappresenta oltre il 20% delle attuali importazioni di gas dell’UE dalla Russia e può svolgere un ruolo importante nella strategia di diversificazione delle forniture energetiche all’UE. Secondo le stime provvisorie dell’Esecutivo comunitario, 35 miliardi di metri cubi di biometano possono andare a sostituire fino a 10 miliardi di metri cubi all’anno di gas russo importato entro il 2030, a cui si aggiungono i 25-50 miliardi di metri cubi che potrebbero essere sostituiti con 15 milioni di tonnellate di idrogeno rinnovabile prodotto nella Ue.

Secondo l’associazione europea del biogas (EBA), l’obiettivo di arrivare a 35 miliardi di metri cubi di biometano prodotto in Ue è realizzabile, anche se oggi secondo le loro stime gli Stati membri producono solo 3 miliardi di metri cubi di biometano all’anno. Un aumento fino a 35 miliardi di metri cubi richiede la mobilitazione di materie prime sostenibili di biomassa, principalmente rifiuti e residui, ma anche la costruzione di nuovi impianti per la produzione biometano. Nella strategia, che sarà dettagliata nella futura comunicazione, si legge che i piani strategici nazionali che gli Stati membri UE devono mettere a punto nel quadro della nuova politica agricola comune (la PAC) dovranno svolgere un ruolo chiave per sbloccare i finanziamenti al biometano prodotto da fonti di biomassa sostenibili, anche attraverso rifiuti e residui agricoli particolari.

petrolio russia

Svincolarsi dal gas russo? Per Oxford Institute il RePowerEU è (quasi) un libro dei sogni

Svincolarsi dal gas russo? Secondo l’Oxford Institute for Energy Studies il piano europeo RePowerEU in alcuni passaggi è un ‘libro dei sogni’, soprattutto nella parte inerente le misure da ottenere entro la fine dell’anno. Secondo gli economisti infatti c’è troppo poco tempo per raggiungere obiettivi così ambiziosi.

LA COMPARAZIONE DELL’OSSERVATORIO CPI

Un mese fa, a 10 giorni dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, la Commissione europea ha presentato un piano (RePowerEU) per ridurre drasticamente la dipendenza dell’Ue dal gas russo. Altre istituzioni (come l’international Energy Agency e l’Oxford Institute for Energy Studies) hanno poi offerto stime che, secondo l’Osservatorio CPI, appaiono più realistiche e che comportano nuovi investimenti in combustibili fossili, almeno nel breve periodo, per compensare le previste riduzioni di gas russo. L’8 marzo la Commissione europea ha pubblicato un piano, chiamato RePowerEU, per rendere l’Unione indipendente dai combustibili fossili russi (gas, petrolio e carbone) entro il 2030 e per ridurre già entro la fine di quest’anno le importazioni di gas russo di due terzi (da 155 a 50 miliardi di metri cubi). In più la Commissione intende chiedere agli Stati membri di rifornire gli stoccaggi di gas per almeno il 90% entro il 1° ottobre di ogni anno (al momento i serbatoi europei sono pieni al 26%).

L’Osservatorio dell’economista Carlo Cottarelli ha messo a confronto il piano europeo con le stime dell’Oxford Institute for Energy Studies e dell’Iea facendo emergere come quelle di Bruxelles siano molto ottimistiche (infatti a maggio dovrebbero essere riviste). Il decalogo di misure presentate dall’Agenzia Internazionale dell’Energia (Iea) per ridurre la dipendenza delle importazioni di gas dalla Russia sono infatti più realistiche di quelle della Commissione europea. L’Iea prevede infatti la possibilità di tagliare entro quest’anno poco più di un terzo delle forniture di gas russo, incrementando le forniture da altri Paesi di 32,5 miliardi di m3 (contro le 63,5 del REPowerEU) e riducendo la domanda di 33 miliardi di m3 (rispetto ai 38 del RePowerEU). Anche l’Oxford Institute for Energy Studies (Oies) non concorda con il piano REPowerEU (Tab.1). Infatti, secondo l’Oies per soddisfare entrambi gli obiettivi della Commissione europea per il 2022 (livello di stoccaggio al 90% entro il 1° ottobre e sostituzione dell’import di gas russo), non basterà sostituire 101,5 miliardi di m3 di gas bensì 120,5-126,5. Questo perché secondo l’Oies l’Ue si ritroverà alla fine di questo inverno con circa 20-25 miliardi di m3 in meno rispetto allo scorso anno. Questi 20-25 miliardi di m3 si aggiungerebbero al fabbisogno sostitutivo di gas nel 2022 (101,5 miliardi di m3).
Consapevoli dell’importanza che i gasdotti russi hanno rivestito nel 2021 (circa il 43,2%o del gas allo stato gassoso importato dall’Ue proveniva dalla Russia nel 2021) – spiegano Giampaolo Galli e Michela Garlaschi nello studio per l’Osservatorio CPI -, sia la Commissione che l’Iea appaiono concordi circa l’incremento di 10 miliardi di metri cubi di gas allo stato gassoso da Paesi come Azerbaigian, Nord Africa (Algeria e Libia) e Norvegia. L’Oies ritiene possibile importare 4-5 miliardi di metri cubi aggiuntivi dalla Norvegia, 3 dall’Azerbaijan tramite l’Italia, 2-3 dall’Algeria, a patto che la produzione in ciascuno di questi Paesi venga aumentata”.

energia in eu

RISCHIO DI NON CENTRARE GLI OBIETTIVI DEL GREEN DEAL

Ma l’aspetto che più allontana il report dell’Iea e dell’Oies da quello della Commissione riguarda l’uso sostitutivo nel breve periodo di soluzioni ambientalmente poco sostenibili: per l’Iea, l’uso di combustibili insieme al decalogo, consentirebbero una riduzione totale annua delle importazioni di gas dell’Ue dalla Russia di circa 90 miliardi di m3. Secondo l’Agenzia, tale sostituzione avverrebbe: tramite l’incremento della produzione interna di gas naturale, ossia esplorando nuovi siti con trivellazioni; attraverso la riattivazione/potenziamento delle centrali elettriche a carbone; attraverso l’uso del petrolio nelle centrali elettriche a gas già esistenti. L’utilizzo di fonti fossili come sostituti al gas russo genererebbe un aumento del volume di gas in tempi molto rapidi, ma farebbe alzare il livello di emissioni di gas serra, violando così l’agenda del Green deal europeo. Per questi motivi, l’Agenzia non considera tale soluzione nella proposta principale del decalogo. L’Oies invece ritiene che la generazione di 20 miliardi di m3 di elettricità da fonti rinnovabile è possibile solo se l’Ue deciderà di sfruttare le centrali a carbone, il cui utilizzo sarebbe incentivato non solo da prezzi meno elevati del carbone a vapore rispetto al gas, ma anche per via della maggiore diversificazione all’import che questa materia prima prospetta avere nel 2022 (Australia, Sud Africa e Usa).

LE CONCLUSIONI DELL’OSSERVATORIO CPI

Secondo l’Osservatorio CPI dunque, “mentre la fornitura di gas allo stato gassoso 10 miliardi di m3 in più sembra fattibile, l’aumento di 50 miliardi di m3 di gas liquefatto proposto dal REPowerEU appare sovrastimato in quanto realizzabile solo se ci fosse una forte crescita a livello internazionale di Gnl e il mondo intero riducesse effettivamente il suo consumo”.
La previsione di un incremento della produzione di gas dal biometano di 3,5 miliardi di m3 risulta ottimista così come lo spostamento di 20 miliardi di m3 dal gas all’energia eolica e solare. Analogamente, appare complicato raggiungere entro il 2022 gli obbiettivi di sostituire le pompe di riscaldamento da gas in calore (1,5 miliardi di m3), introdurre impianti fotovoltaici (2,5 miliardi di m3) e abbassare il termostato (14 miliardi di m3) a meno di prezzi del gas in bolletta molto elevati e inverno mite”, concludono gli esperti dell’Osservatorio.