Tornano dallo spazio i semi Fao: colture cosmiche per la sicurezza alimentare

Dopo quattro mesi nello spazio stanno per tornare sulla terra i semi di Arabidopsis e Sorghum, protagonisti di un singolare esperimento frutto della collaborazione tra la Nasa, la Fao e l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea). A Vienna  si è svolto un evento per fare il punto sulla sperimentazione, che ha l’obiettivo di sviluppare nuove colture in grado di adattarsi ai cambiamenti climatici e contribuire a rafforzare la sicurezza alimentare globale. Con una popolazione mondiale che si stima raggiungerà quasi i 10 miliardi entro il 2050, è chiara la necessità di trovare soluzioni innovative attraverso la scienza e la tecnologia volte a produrre più cibo, nonché colture più resistenti e metodi di coltivazione più sostenibili.

I semi dei laboratori Aiea e Fao hanno viaggiato su una navetta cargo senza equipaggio dal Wallops Flight Facility della Nasa allo spazio il 7 novembre 2022. Una volta in orbita sono stati esposti a una complessa miscela di radiazioni cosmiche, microgravità e temperature estreme – all’interno e all’esterno della Stazione Spaziale Internazionale (Iss). Al loro ritorno, che dovrebbe avvenire all’inizio di aprile, gli scienziati del Centro congiunto Fao/Aiea di tecniche nucleari per l’alimentazione e l’agricoltura hanno in programma di coltivare i semi e di selezionarli per individuare tratti utili per comprendere meglio le mutazioni indotte dallo spazio e identificare nuove varietà.

“Sono sbalordito dalla resilienza della natura – ha detto il direttore generale della Fao, QU Dongyu a Vienna ed eccitato dagli infiniti benefici che l’esplorazione dello spazio può apportare per trasformare i nostri sistemi agroalimentari in modo che siano più efficienti, più inclusivi, più resilienti e più sostenibili in tutto il mondo”. Per Mariano Grossi, direttore generale dell’Aiea, “questa è la scienza che potrebbe avere un impatto reale sulla vita delle persone in un futuro non troppo lontano, aiutandoci a coltivare raccolti più forti e nutrire più persone”.  Sebbene esperimenti simili siano stati condotti dal 1946, questa è la prima volta che vengono condotte analisi genomiche e biologiche su semi inviati nello spazio in circa 60 anni di esperienza nell’indurre mutazioni vegetali. L’astrobiologia, insomma, sta esplorando nuove dimensioni.

I semi che hanno viaggiato nello spazio appartengono a due specie vegetali: Arabidopsis, un tipo di crescione che è stato ampiamente studiato da botanici vegetali e genetisti; e il sorgo, che appartiene alla famiglia del miglio ed è un cereale resistente alla siccità e al caldo coltivato in molti paesi in via di sviluppo per uso alimentare. Una volta che i semi saranno rientrati sulla terra e fatti germogliare, una serie di analisi aiuterà a capire se le radiazioni cosmiche e le dure condizioni spaziali possono portare le colture a diventare più resistenti di fronte a condizioni di crescita sempre più difficili sul nostro pianeta.

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ENEA e Asi guardano alla Luna per produrre energia con un mini-reattore nucleare

Progettare un mini-reattore nucleare made in Italy compatto, leggero, affidabile e sicuro, in grado di produrre energia per le future basi lunari e la successiva colonizzazione di Marte e dello Spazio profondo. È l’obiettivo dell’accordo di collaborazione sottoscritto da ENEA e Agenzia Spaziale Italiana (ASI) che punta a sfruttare competenze, infrastrutture e professionalità multidisciplinari dei Centri di Ricerche ENEA di Bologna e Brasimone (Bologna) e di ASI per costruire uno Space Nuclear Reactor (SNR). L’annuncio viene dato in occasione della seconda Giornata nazionale dello spazio del 16 dicembre. “I principi base per la progettazione dello Space Nuclear Reactor sono la modularità, in grado di garantire un facile ampliamento della potenza disponibile, e la ridondanza dei sistemi essenziali per garantire la massima sicurezza del reattore”, sottolinea Mariano Tarantino, responsabile della Divisione ENEA di Sicurezza e sostenibilità del nucleare. “Particolare attenzione – aggiunge – verrà posta alla minimizzazione del peso totale del sistema per rendere possibile il trasporto a bordo di un razzo cargo e l’affidabilità dei componenti, privilegiando, ove possibile, tecnologie mature made in Italy”.

Nei prossimi 15 mesi ENEA ed ASI delineeranno le caratteristiche dello Space Nuclear Reactor italiano, identificheranno i possibili scenari operativi (esplorazione lunare, marziana e dello Spazio profondo) e le tecnologie ritenute critiche, effettueranno un’analisi costi-benefici tenendo conto dei differenti scenari d’interesse e definiranno una roadmap di Ricerca e Sviluppo per le fasi successive.
ASI guarda con interesse a questa tecnologia che potrebbe su lungo periodo contribuire a risolvere i problemi energetici nelle fasi sia di esplorazione di altri pianeti, che per i viaggi e le esplorazioni nello Spazio profondo. Poter disporre di un reattore compatto, modulare, affidabile, di piccole dimensioni e in grado di garantire la necessaria sicurezza alla vita dell’uomo in un ambiente già di per sè ostile, costituirebbe una grande potenzialità per l’esplorazione. Inoltre, operare con dimensioni contenute permetterebbe una riduzione dei costi di produzione, dei tempi di sviluppo e un ingombro che ne consentirebbero l’utilizzo esteso senza difficoltà di trasporto, in diversi scenari.
I reattori nucleari per applicazioni spaziali sono stati studiati fin dagli anni ’50 come alternativa affidabile, efficiente e compatta. Se nel secolo scorso l’utilizzo è stato limitato ad alcuni prototipi negli Stati Uniti e in Russia, a partire dal 2000 il rinnovato interesse per l’esplorazione umana della Luna e di Marte ha contribuito ad accrescere gli investimenti per la progettazione di piccoli reattori da impiegare nelle future missioni, al fine di garantire indipendenza e piena funzionalità agli “avamposti spaziali”.

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Da Imola parte Artica: La vela solare che limita la spazzatura in orbita

L’innovazione Made in Italy va in orbita. E oltre a testare le nuove tecnologie aerospaziali, si preoccupa di limitare la ‘spazzatura’ nell’universo. Una nuova vela solare (Artica) è stata aperta in orbita ed è imbarcata sul cubesat Alpha, nanosatellite a forma di cubo lanciato il 13 luglio scorso dalla base di Kourou (Guyana Francese) in occasione del primo volo del vettore italo-europeo Vega C. Realizzato dalla divisione spazio Spacemind della società NPC di Imola (Bologna), il sistema Artica consentirà ai piccoli satelliti in orbita bassa di effettuare il de-orbiting al termine della loro missione, ovvero ridurre la quota e bruciare a contatto con gli strati più alti dell’atmosfera. “Ad oggi, secondo i dati dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa), in orbita terrestre vi sono circa 130 milioni di oggetti di varie dimensioni, compresi 20mila satelliti– ha spiegato Nicolò Benini, marketing manager di Npc Spacemind – e così limitare la ‘spazzatura spaziale’ sta diventando dunque una vera emergenza per la sicurezza delle future missioni. Siamo perciò entusiasti che, con la corretta apertura della sua vela solare, ‘Artica’ abbia dimostrato di poter offrire una soluzione semplice, economica e sostenibile al problema degli ‘space debris’ in orbita bassa”.

RIFIUTI NELLO SPAZIO PROFONDO

Il problema della ‘spazzatura spaziale’ è in effetti aumentato considerevolmente nei decenni, ovvero in maniera proporzionale alla ricerca aerospaziale e ai lanci delle varie Agenzie nazionali. La Nasa conferma che le minacce derivanti dagli ‘space debris’, ovvero detriti spaziali, sono in aumento a causa del lancio di diverse installazioni multisatellitari, in particolare nell’orbita terrestre bassa. Il requisito di vita per qualsiasi veicolo spaziale nell’orbita terrestre bassa è di 25 anni dopo la missione o 30 anni dopo il lancio, se non può essere immagazzinato in un’orbita cimitero (una delle più estreme orbite intorno alla Terra destinata ad accogliere, appunto, satelliti in disuso o apparecchiature che hanno terminato il loro ciclo di funzionalità). Il tasso di decadimento di questi veicoli spaziali, spiega la Nasa, dipende da diversi fattori, e in particolare, dall’assegnazione dell’orbita e dal coefficiente balistico.

Le stime dell’accumulo di detriti orbitali suggeriscono che più di 900mila detriti con un diametro compreso tra 1 e 10 cm e oltre 34mila con diametri superiori ai 10 cm siano in orbita tra l’equatoriale geostazionaria e le quote dell’orbita terrestre bassa. Degli 11.370 satelliti lanciati, il 60% è ancora in orbita ma solo il 35% è ancora operativo. Ad aprile 2021, la Nasa stima che tutti i detriti spaziali in orbita abbiano una massa collettiva di 9.300 tonnellate.

IL PROGETTO ARTICA

Ebbene, il progetto Artica (Aerodynamic Reentry Technology In Cubesat Application) mira a limitare la presenza di rimasugli nello spazio. Avviato nel 2012 da NPC Spacemind, ha già visto il lancio di un primo dimostratore tecnologico a bordo del cubesat Ursa Maior, nel giugno 2017. La versione perfezionata è invece entrata in orbita nel luglio scorso a bordo di Alpha, realizzato da un gruppo di start-up innovative italiane guidato dalla società romana ARCA Dynamics. Il nanosatellite ha la forma di un cubo, con 10 centimetri di lato e un peso di 1,2 chilogrammi, mentre la vela ha una superficie di 2,1 metri quadrati ed è realizzata in mylar alluminizzato. In orbita bassa la vela funziona come un aerofreno e riduce la quota del satellite fino a bruciare nell’atmosfera terrestre, mentre nelle orbite più alte la vela sfrutta la pressione della radiazione solare per modificare l’orbita del satellite. Il sistema europeo di sorveglianza spaziale EUSST ha confermato che Alpha sta volando a 6mila chilometri di altezza ed è visibile da terra proprio grazie agli effetti della vela sulla sua luminosità e sulla traiettoria. A bordo del cubesat, sono anche presenti altri esperimenti scientifici e tecnologici realizzati dal Consiglio Nazionale delle Ricerche, ARCA Dynamics, H4 Research e Apogeo Space.

MISSIONI FUTURE

La missione di Alpha sarà seguita a breve da ben quattro cubesat, tutti realizzati in Italia da NPC Spacemind e dotati della vela per il loro de-orbiting a fine missione. Il primo, denominato ‘DanteSat’, sarà trasportato a bordo della Stazione Spaziale Internazionale nel prossimo mese di ottobre e da lì rilasciato nello spazio. Gli altri tre nanosatelliti (Futura 1, 2 e 3), saranno invece lanciati a dicembre da un vettore Space X. Benini spiega che “il lancio dei tre ‘Futura’, oltre a validare nello spazio alcuni sottosistemi elettronici miniaturizzati, avrà anche lo scopo di sperimentare il nostro SM Pod, un nuovo deployer per cubesat ad alte prestazioni, che consentirà di ridurre sensibilmente tempi e costi del rilascio in orbita. Grazie ai nostri cubesat, al deployer e alla vela per il de-orbiting, il nostro Paese potrà offrire così servizi innovativi al mercato mondiale dei nano e microsatelliti che è in grande espansione”.

(Photo credits: www.npcspacemind.com)