Nuotare con gli squali? Mette a rischio la loro ricerca di cibo e la capacità riproduttiva

(Photocredit: AFP)

E’ una delle attrazioni più amate dai turisti avventurosi, ma nuotare insieme ai grandi predatori marini rischia di mettere a repentaglio i loro modelli di comportamento. Secondo uno studio pubblicato su Scientific Reports questa forma di “intrattenimento” turistico può aumentare la probabilità che gli squali balena (Rhincodon typus) mostrino modelli di comportamento disturbati che assomigliano ai movimenti veloci e a zig-zag associati alla fuga dai predatori. I risultati suggeriscono anche che l’ecoturismo può avere un effetto significativo sul comportamento di foraggiamento e riproduttivo di questa specie.

L’ecoturismo con gli squali è un’industria multimilionaria, ma i potenziali impatti ecologici sono ancora poco conosciuti. Studi precedenti hanno dimostrato potenziali legami tra questo fenomeno e la diminuzione del numero di specie di squali incontrate in alcuni siti, ma gli studi sugli effetti dell’ecoturismo sul comportamento degli squali sono stati finora poco chiari.

Joel Gayford dell’Imperial College London e i suoi colleghi hanno analizzato 39 video aerei di squali balena nella baia di La Paz, in Messico, per valutare se il loro comportamento cambiasse in presenza di un nuotatore che imitava il comportamento degli ecoturisti rispetto agli squali che nuotavano liberamente. Gli autori hanno osservato un aumento dei modelli di comportamento disturbati in presenza di un nuotatore, che porterebbe gli squali a spendere più energia rispetto a quando nuotano in isolamento. Questo cambiamento potrebbe potenzialmente rendere più difficile per gli squali balena la ricerca di cibo e potrebbe anche influire sul successo riproduttivo.
I risultati suggeriscono che gli operatori del turismo ecologico con gli squali “dovrebbero essere incoraggiati a valutare lo stato comportamentale dei singoli” predatori “prima di permettere ai nuotatori di entrare in acqua e che la distanza minima regolamentata tra squali e turisti dovrebbe essere rivista”. Gli autori suggeriscono inoltre di condurre ulteriori studi sull’impatto ecologico dell’ecoturismo con gli squali per valutare adeguatamente le conseguenze del settore sulle diverse specie.

Allarme del Wwf: a rischio metà delle specie di squali nel Mediterraneo

(Photocredit: Wwf Italia)

Oltre la metà delle specie di squali presenti nel Mediterraneo sono a rischio: si tratta della percentuale più alta rispetto al resto degli oceani. A lanciare l’allarme è il Wwf in occasione della Giornata mondiale degli squali che si svolge il 14 luglio. L’organizzazione lancia, quindi, un appello a tutti i Paesi del bacino affinché “mettano in atto le misure vincolanti emanate dalla Commissione Generale della Fao per la pesca nel Mediterraneo e dalla Cites, recentemente adottate e che potrebbero migliorare la gestione della pesca e del commercio di squali e razze “e aiutare il recupero delle 42 specie appartenenti a questo gruppo e ancora minacciate.

Ma quale è il ruolo degli squali nel Mediterraneo? Con le temperature del mare in salita, spiega il Wwf, popolazioni sane di squali e razze svolgono anche un ruolo ‘insospettabile’ e importante nel mitigare l’impatto dei cambiamenti climatici, aumentando con la loro presenza e attività il sequestro del carbonio e supportando la biodiversità marina.

Si stima, spiega Giulia Prato, responsabile Mare del Wwf Italia, “che la cattura degli squali impedisca di ‘stoccare’ negli oceani fino a 5 milioni di tonnellate di carbonio. Popolazioni sane di squali e razze possono quindi contribuire, come accade anche per le grandi balene, al fondamentale ciclo del carbonio ‘blu’ del nostro oceano e contribuire a mitigare l’impatto del cambiamento climatico”.

E se da un lato il Wwf plaude alle recenti misure volte a garantire una pesca più sostenibile di squali e razze nel Mediterraneo e a proibire presto la pesca ricreativa di 39 specie, dall’altro mette in guardia rispetto alla loro efficacia, che potrebbe essere pericolosamente compromessa dalla lenta attuazione a livello nazionale. Alcune specie a rischio critico di estinzione come la Vaccarella, l’Aquila di mare e la Rinottera, infatti, rimangono ancora prive di protezione in Mediterraneo e di misure di gestione. “Ritardare le azioni di gestione – spiega l’organizzazione – mette in costante rischio le specie minacciate di squali e razze e compromette la sostenibilità a lungo termine delle attività di pesca e dell’intero ecosistema marino”.

Il Wwf chiede, quindi, alle istituzioni italiane di sviluppare un Piano d’Azione Nazionale (Npoa) per la salvaguardia e gestione di squali e razze, attraverso l’istituzione di un tavolo interministeriale di coordinamento e in consultazione con gli esperti della comunità scientifica, i pescatori e le organizzazioni della società civile. Un piano di questo tipo, infatti, “permetterebbe di rispondere agli impegni presi in modo armonico, migliorando la raccolta dati a livello nazionale, prevedendo misure di mitigazione e gestione delle catture accidentali sulla base delle migliori conoscenze scientifiche e di protezione degli habitat essenziali e delle specie a rischio”.

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Cento milioni di squali uccisi ogni anno per il commercio delle pinne

Il controverso commercio di pinne di squalo di Hong Kong potrebbe avere i giorni contati se gli ambientalisti riuscissero a ottenere regolamenti più severi durante la conferenza internazionale sulla fauna selvatica, che è in corso a Panama. Hong Kong è uno dei più grandi mercati al mondo per le pinne di squalo, considerate da molte comunità cinesi una prelibatezza. Nonostante anni di attivismo da parte degli animalisti abbiano ridotto il consumo di pinne, la città resta il fulcro per il commercio, legale e illegale, di questo prodotto. Commercio regolamentato sulla base di un trattato internazionale sulle specie in via di estinzione. Alcuni tipi di pinne devono essere accompagnate da permessi di esportazione che dimostrino che gli squali sono stati catturati “in modo sostenibile”.

A Panama lunedì si è aperta la 19esima Conferenza del CITES, la Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione, che si chiuderà il 25 novembre. Sono 183 i Paesi – più l’Unione europea – seduti ai tavoli di discussione e all’ordine del giorno c’è l’estensione della protezione internazionale a due altre grandi famiglie di squali, tra cui la verdesca.
Secondo i ricercatori, queste misure, se finalmente adottate, proteggeranno la maggior parte degli squali e aumenteranno la pressione sulle autorità di Hong Kong, che stanno già combattendo contro l’aumento del contrabbando di pinne.

Nel 2021 Hong Kong ha sequestrato 27,5 tonnellate di pinne di squalo di specie protette. Nel 2019, questa cifra era di sole 6,5 tonnellate. Gli oceanologi stimano che ogni anno vengano uccisi più di 100 milioni di squali, rendendo sempre più concreto il rischio di estinzione per questi predatori vitali per gli ecosistemi oceanici. Gli squali vengono solitamente gettati in mare dopo l’amputazione delle pinne e poi muoiono lentamente.

Ci sono, però, evidenze che qualcosa sta lentamente cambiando. Nel 2009, il 73% degli abitanti di Hong Kong ha dichiarato di aver mangiato pinne di squalo nell’ultimo anno. Un decennio dopo, questa percentuale è scesa al 33%. Ma sulla “strada del pesce essiccato” della città, dove i negozi espongono le pinne di squalo nelle loro vetrine come preziosi trofei, gli affari continuano. I clienti spendono in media 2.500 dollari di Hong Kong (310 euro) per circa 600 grammi di pinne.

Il vero problema è quello del controllo. Una volta che una pinna di squalo è stata scuoiata e lavorata, l’unico modo affidabile per verificare se si tratti di una specie in via di estinzione è attraverso l’analisi del Dna. Uno studio recente, condotto nel 2020-2021 dall’organizzazione Shark Guardian a Taiwan, ha rilevato che la metà dei commercianti di pinne di squalo vendeva prodotti di specie regolamentate.

La verdesca, che i commercianti di pinne sostengono non sia in pericolo, è la specie le cui pinne finiscono più spesso sui banchi dei pescivendoli. Ciò potrebbe cambiare se la CITES adottasse una proposta sostenuta da più di 40 paesi e volta a proteggere l’intera famiglia dei Carcharhinidae, di cui fanno parte.

Tartarughe

Squali e tartarughe al centro del 19° summit sulle specie a rischio estinzione

Esperti di conservazione e rappresentanti di oltre 180 Paesi si riuniscono da lunedì a Panama per rivedere le regole del commercio di pinne di squalo, rettili, tartarughe e altre specie di fauna selvatica a rischio di estinzione o di rischio per la salute nell’era Covid. Fino al 25 novembre, i ministri prenderanno in considerazione 52 proposte per modificare i livelli di protezione stabiliti dalla Convenzione sul commercio internazionale delle specie di flora e fauna selvatiche minacciate di estinzione (Cites). Questa 19a Conferenza delle Parti (183 Paesi e l’Unione Europea) della Cites deve anche fare il punto sulla lotta contro le frodi e votare nuove risoluzioni, in particolare sui rischi di zoonosi (malattie trasmesse dagli animali all’uomo) legati al traffico, un tema che è diventato importante con la pandemia Covid-19.

La Cites, in vigore dal 1975, stabilisce le regole per il commercio internazionale di oltre 36.000 specie selvatiche, che vanno dal rilascio di permessi (oltre un milione di transazioni autorizzate all’anno) al divieto totale. Il vertice, che si tiene ogni due o tre anni, si svolge quest’anno all’ombra e sotto l’influenza di altre due conferenze delle Nazioni Unite, anch’esse cruciali per il futuro degli esseri viventi sul pianeta: la Cop27 sul cambiamento climatico, attualmente in corso in Egitto, e la Cop15 sulla conservazione della biodiversità, che si terrà a dicembre a Montreal.
Nel 2019 a Ginevra, la Cites ha rafforzato la protezione delle giraffe, ha quasi vietato l’acquisto di elefanti da parte degli zoo, ha mantenuto il divieto di vendere le scorte di avorio dell’Africa meridionale e ha inserito 18 Squali nell’Appendice II, ovvero quelle specie il cui commercio è strettamente limitato.

Quest’anno si prevede che gli Squali requiem, i pesci martello e le razze chitarra siano al centro dell’attenzione, con una notevole proposta di inserimento nell’Appendice II. “Sarebbe un momento storico, se queste tre proposte venissero approvate: passeremmo dal controllo di circa il 25% del commercio di pinne di squalo a più del 90%”, ha dichiarato Ilaria Di Silvestre, responsabile delle campagne europee del Fondo Internazionale per il Benessere Animale (Ifaw).

“Siamo nel bel mezzo di una grave crisi di estinzione degli squali”, spiega Luke Warwick della Wildlife Conservation Society, “il secondo gruppo di vertebrati più a rischio del pianeta. Le pinne possono arrivare a valere fino a 1.000 dollari al chilogrammo nei mercati dell’Asia orientale”, ha detto, “in particolare per la preparazione di zuppe molto apprezzate”. Si tratta di un commercio internazionale in declino ma ancora lucrativo, di cui Hong Kong è il fulcro.

“La Cina non ha mai votato a favore di una specie marina alla Cites, ma la Cina attua le risoluzioni una volta che sono state adottate”, sottolinea  Sue Lieberman, vicepresidente della WCS. “Mi piace dire che questa sarà la Cop dei rettili”, aggiunge l’esperta, che ha partecipato a tutti i summit dal 1989. Tre specie di coccodrilli, tre lucertole, diversi serpenti e 12 tartarughe d’acqua dolce sono state proposte per l’Appendice I (divieto totale) o II (permesso condizionato, con quote talvolta fissate a zero). “Le tartarughe d’acqua dolce di tutto il mondo sono sfruttate in modo insostenibile e illegale per il commercio di animali esotici, per i collezionisti e per il commercio alimentare in Asia”, afferma Lieberman.

Per quanto riguarda le piante, il mogano africano potrebbe essere spostato nell’Appendice II, così come alcune specie di tabebuia. Il Brasile ha suscitato la preoccupazione dei musicisti chiedendo un divieto totale di acquisto del pernambuco, un legno fondamentale per la costruzione degli archi, che è già protetto.