Thailandia, sistemi rilevamento tsunami per evitare che il peggio si ripeta

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A quasi 1.000 chilometri dalle coste thailandesi devastate dallo tsunami del 2004, gli ingegneri immergono in mare una boa di rilevamento, anello essenziale di un sistema di prevenzione progettato per garantire che un disastro così mortale non si ripeta mai più.
Il 26 dicembre 2004, un terremoto di magnitudo 9,1 sul fondo dell’Oceano Indiano ha scatenato un gigantesco tsunami che ha ucciso circa 230.000 persone in una dozzina di Paesi dell’Asia meridionale e sudorientale. All’epoca, i sistemi di prevenzione erano rudimentali ed era impossibile avvertire in anticipo i milioni di persone che vivevano lungo le coste dell’Oceano Indiano.

Negli anni successivi, diversi governi si sono riuniti per sviluppare un sistema di informazione globale sugli tsunami, basato su una rete di sei boe di rilevamento nel Pacifico istituita dalla National Oceanic and Atmospheric Administration statunitense.
Conosciuto come Deep-Ocean Assessment and Reporting of Tsunami (DART), il sistema conta oggi 74 boe in tutto il mondo.
Ogni boa galleggia in superficie ma è attaccata al fondale marino. Le boe monitorano i segnali provenienti da un sensore sismico sul fondo e le variazioni del livello dell’acqua.

Installate in alcuni degli ambienti di lavoro più difficili della terraferma, queste boe alimentate a batteria devono essere sostituite ogni due anni. Attualmente ne sono operative solo 50, ma la rete è stata progettata per garantire la copertura in ogni caso.
All’inizio di questo mese, l’equipaggio della nave da ricerca M.V Seafdec ha immerso delicatamente una boa di ricambio, un cilindro giallo di circa due metri di diametro, nell’Oceano Indiano, a 965 chilometri dalle coste della Thailandia. Lo stesso team ha tentato di sostituire una boa nel Mare delle Andamane, a 340 chilometri dalla costa. Ma ha fallito e nelle prossime settimane effettuerà una nuova missione.

Il sistema di allarme “è molto utile, può salvare vite umane sulla costa”, afferma Shawn Stoeckley, ingegnere meccanico presso la Science Applications International Corporation (SAIC), una delle più grandi aziende tecnologiche americane.
In Tailandia, secondo i dati ufficiali, lo tsunami ha ucciso più di 5.000 persone e 3.000 risultano disperse. Il Paese dispone ora di due boe DART collegate via satellite a 130 torri di controllo in sei province costiere, tutte dotate di sirene e altoparlanti che trasmettono in cinque lingue. Prima del 2004, potevano passare dai 15 ai 50 minuti prima che venisse diffuso un allarme, dice Laura Kong, direttrice del Centro internazionale di informazione sugli tsunami dell’UNESCO. “Oggi, in genere, possiamo ricevere un allarme in 5-7 minuti”.

Un giorno il sistema dimostrerà la sua validità, insistono gli esperti delle Nazioni Unite. C’è una “probabilità del 100%” che un altro tsunami della stessa portata di quello del 2004 si verifichi in futuro, ha avvertito Bernado Aliaga, capo della sezione dell’Unesco sulla resilienza agli tsunami, in occasione della conferenza per il 20° anniversario della tragedia: “potrebbe accadere domani, tra 50 anni o tra 100 anni”.

A differenza di 20 anni fa, i telefoni cellulari sono ormai onnipresenti e le applicazioni di allarme sono disponibili, ma le torri di controllo sono ancora fondamentali, secondo i residenti locali.
Songsil Nodharith, 51 anni e capo del villaggio di Khuak Khak, nel sud della Thailandia, ha aiutato i residenti a evacuare “senza nemmeno prendere le loro cose” durante un falso allarme notturno l’anno scorso. Chiede alle autorità di garantire una manutenzione adeguata del sistema.

Nello Sri Lanka, dove nel 2004 sono morte 31.000 persone, tre quarti delle 77 torri di allarme per lo tsunami non sono più operative perché le apparecchiature di comunicazione sono diventate obsolete, ha dichiarato all’AFP il responsabile del centro di gestione dei disastri dell’isola, Udaya Herath. Le società di telecomunicazioni hanno invece identificato 70.000 “contatti chiave” nelle aree costiere, come i gestori di alberghi, per ricevere avvisi e ordini di evacuazione in caso di pericolo imminente.

In Thailandia, i falsi allarmi hanno talvolta causato panico, ma questo non ha impedito ai residenti di avere fiducia nel sistema. Il villaggio di pescatori di Ban Nam Khem, nel sud della Thailandia, è stato il più colpito nel 2004. I pescherecci si sono abbattuti sulle case e 800 residenti sono rimasti uccisi. Manasak Yuankaew, 48 anni e ora capo del villaggio, quel giorno perse quattro membri della sua famiglia. “Qui abbiamo voce in capitolo”, ha dichiarato all’AFP. “Scappare 100 volte per niente è meglio che non scappare nel momento cruciale”.

Mega-tsunami di 200 metri ha fatto tremare per 9 giorni sismometri di tutto il mondo

Crediti foto: Søren Rysgaard, Danish Army

Una enorme frana causata dal crollo della cima di una montagna nel remoto fiordo di Dickson, nella Groenlandia nord-orientale, ha a sua volta generato un mega-tsunami alto 200 metri che ha continuato a oscillare nel fiordo per 9 giorni, facendo registrare in tutto il mondo un segnale sismico mai osservato in precedenza. È quanto emerge dallo studio ‘A rockslide-generated tsunami in a Greenland fjord rang the Earth for 9 days’ appena pubblicato sulla rivista scientifica ‘Science’, cui hanno collaborato 68 scienziati provenienti da 40 Istituzioni di 15 Paesi.

Quando abbiamo iniziato questa avventura scientifica eravamo tutti piuttosto perplessi e nessuno di noi aveva la più pallida idea di cosa avesse causato quel segnale sismico così particolare: sapevamo solo che era in qualche modo associato alla frana”, racconta Kristian Svennevig, del Geological Survey of Denmark and Greenland (Geus), primo autore dell’articolo. “Si è trattato della prima frana e del primo tsunami dovuti allo scioglimento dei ghiacci osservati nella Groenlandia orientale, a dimostrazione del fatto che i cambiamenti climatici hanno già un forte impatto anche in quella zona”.

Per l’Italia, hanno preso parte alla ricerca l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), l’Università di Catania e l’Università degli Studi di Padova. “La nostra ricerca è iniziata nel settembre del 2023, quando un misterioso segnale sismico della durata di 9 giorni è stato scoperto nelle registrazioni provenienti da stazioni sismiche installate in tutto il mondo, dall’Artide all’Antartide”, spiega Flavio Cannavò, ricercatore dell’Ingv e co-autore dello studio. “Abbiamo subito notato, però, che il segnale appariva completamente diverso dai segnali sismici che vengono registrati in caso di terremoto: conteneva, infatti, una singola frequenza di vibrazione, simile a un ronzio dal suono monotono”.

La contemporanea notizia di un enorme tsunami verificatosi nel fiordo di Dickson ha spinto ricercatori di numerosi Enti di Ricerca e Università in tutto il mondo a unire le forze per cercare di capire se i due eventi fossero in qualche modo collegati. Il team multidisciplinare ha quindi analizzato dati sismici e infrasonici, misurazioni sul campo, dati della rete locale di sensori oceanografici, immagini dal vivo e da satellite e simulazioni numeriche di onde di tsunami, riuscendo a ricostruire la straordinaria sequenza di avvenimenti a cascata innescata nel settembre dello scorso anno.

È straordinario come, al giorno d’oggi, sia possibile riunire facilmente un team internazionale con capacità eterogenee per risolvere problemi complessi e riuscire a spiegare fenomeni mai documentati in tempi brevi”, spiega Andrea Cannata, ricercatore dell’Università di Catania e co-autore dello studio. “In particolare, è stato scoperto che la frana che ha dato inizio a tutto è stata causata dal crollo all’interno del fiordo di oltre 25 milioni di metri cubi di roccia e ghiaccio, una quantità sufficiente a riempire 10.000 piscine olimpioniche. Il crollo, a sua volta, è stato causato dall’assottigliamento, avvenuto nel corso dei decenni, del ghiaccio alla base della montagna che sovrastava il fiordo, evidente espressione degli effetti dei cambiamenti climatici”.

Le analisi dei dati multidisciplinari hanno confermato che il mega-tsunami derivato dalla frana è stato uno dei più alti mai registrati nella storia recente, raggiungendo i 200 metri di onda all’interno del fiordo. A circa 70 chilometri di distanza le onde di tsunami hanno raggiunto i 4 metri di altezza, danneggiando una base di ricerca sull’isola di Ella Ø”, aggiunge Piero Poli, ricercatore dell’Università degli Studi di Padova e co-autore dello studio. “Il movimento di una tale massa di acqua è stato in grado di generare vibrazioni attraverso la Terra, con le onde sismiche che, irradiandosi dall’Artide all’Antartide, hanno generato un anomalo segnale sismico globale. Questo evento sottolinea l’importanza di creare speciali sistemi di monitoraggio dei dati sismologici a scala globale, che permettano la rapida identificazione e caratterizzazione di nuovi e sempre più frequenti segnali associati a processi superficiali, come frane e rapidi movimenti di ghiaccio o fluidi, associati al cambiamento climatico”.

Le simulazioni effettuate dal team di ricercatori hanno mostrato che, all’interno del fiordo, l’acqua si è mossa oscillando avanti e indietro ogni 90 secondi, esattamente lo stesso periodo di oscillazione fatto registrare dalle onde sismiche. Tale corrispondenza indica come la forza della massa d’acqua in movimento sia stata in grado di generare energia sismica propagatasi nella crosta terrestre. Prima di perdere forza, il movimento oscillatorio è durato 9 giorni. Mai prima d’ora era stata registrata un’onda sismica di così lunga durata, che viaggiasse a livello globale e che contenesse una sola frequenza di vibrazione.

È sorprendente che quello che era iniziato come un controllo di routine di un sensore gravitazionale belga si sia trasformato in una collaborazione globale e multidisciplinare, con scambi virtuali online 24 ore su 24, 7 giorni su 7, che hanno coperto molti fusi orari. In totale, sono stati scambiati più di 8.000 messaggi. Riassumendo la loro lunghezza, si tratta di oltre 1 milione di caratteri digitati: quanto un romanzo poliziesco di 900 pagine”, chiosa Thomas Lecocq, del Royal Observatory of Belgium (ROB) e co-autore della ricerca.

Come è noto, lo scioglimento dei ghiacci polari, che abbiamo individuato come causa ‘latente’ dell’incredibile sequenza di eventi registrati nel fiordo di Dickson lo scorso anno, è dovuto al cambiamento climatico. La rapida accelerazione di questo fenomeno negli ultimi anni ci impone una sempre maggiore attenzione verso la caratterizzazione e il monitoraggio anche di quelle regioni considerate ‘stabili’ fino a qualche anno fa, nonché verso lo sviluppo di sistemi in grado di fornire un’allerta precoce in caso di frane e tsunami”, conclude Flavio Cannavò.

Il Giappone conta le vittime dopo il sisma di magnitudo 7.6: oltre 50 morti

In Giappone è corsa contro il tempo per trovare i sopravvissuti dopo il terremoto che lunedì ha devastato la penisola di Noto, nel centro del Paese, causando oltre 50 morti secondo l’ultimo bilancio provvisorio. Le autorità della prefettura di Ishikawa, che comprende la penisola di Noto, hanno dichiarato che almeno 50 persone sono morte, 14 sono rimaste gravemente ferite e “molte” sono leggermente ferite. “È stata una scossa fortissima“, ha dichiarato all’AFP Tsugumasa Mihara, 73 anni, mentre faceva la fila con centinaia di altri residenti di Shika, una piccola città sulla penisola di Noto, per ritirare le taniche di acqua potabile dal municipio. “Che modo terribile di iniziare l’anno“, ha aggiunto.

Il terremoto principale, che si è verificato alle 16.10 locali di lunedì ed è stato solo una delle oltre 150 forti scosse avvertite fino a martedì mattina, è stato registrato con una magnitudo di 7.5 dall’Istituto geofisico statunitense (USGS) e di 7.6 dall’Agenzia meteorologica giapponese (JMA). Il sisma, che è stato avvertito fino a Tokyo, a 320 km in linea d’aria da Noto, ha causato anche immensi danni materiali e uno tsunami lunedì sulle coste del Mar del Giappone, che alla fine è rimasto contenuto, con onde misurate fino a 1,2 metri. Il livello di rischio tsunami, che inizialmente aveva fatto scattare una rara allerta massima da parte della JMA, è stato successivamente declassato e poi definitivamente revocato alle 10:00 (01:00 GMT) di martedì dalla stessa agenzia.

L’entità della distruzione è apparsa chiara al sorgere del sole di martedì: ovunque, vecchie case ed edifici erano crollati, le strade erano spaccate, le barche da pesca si erano rovesciate o incagliate e gli incendi bruciavano ancora tra le rovine fumanti. I terremoti hanno fatto “molte vittime” e causato ingenti danni materiali, ha dichiarato martedì il primo ministro giapponese Fumio Kishida. “Dobbiamo correre contro il tempo” per salvare vite umane, ha aggiunto. In particolare, un vasto incendio ha distrutto parte del centro di Wajima, un piccolo porto storico nel nord della penisola di Noto, rinomato per l’artigianato della lacca. Anche un edificio commerciale di sei piani è crollato a causa del terremoto. “Resistete! Resistete!“, gridano i vigili del fuoco mentre strisciano tra le macerie usando una sega elettrica.

I vigili del fuoco sono stati sopraffatti, ha dichiarato martedì all’AFP un funzionario dei servizi di emergenza di Wajima. “Stiamo affrontando diversi incendi” e il numero di chiamate di emergenza e di segnalazioni di danni continua ad aumentare, ha detto. Martedì più di 32.000 case sono rimaste senza elettricità e molte città della prefettura di Ishikawa non avevano più accesso all’acqua potabile. Più di 60.000 residenti avevano ricevuto istruzioni di evacuazione lunedì, secondo l’agenzia nazionale per la gestione degli incendi e dei disastri. Un migliaio di soldati delle Forze di autodifesa giapponesi (SDF), oltre a più di 2.000 vigili del fuoco e circa 630 agenti di polizia sono arrivati nelle aree colpite come rinforzo, ha dichiarato martedì Kishida. Lunedì, il Primo Ministro ha anche annunciato che beni di prima necessità come acqua potabile, cibo, coperte, benzina e olio combustibile sarebbero stati inviati per via aerea o navale.

A causa del disastro, i tradizionali auguri pubblici di Capodanno dell’imperatore giapponese Naruhito e della sua famiglia, previsti per martedì a Tokyo, sono stati cancellati. Diverse autostrade danneggiate sono state chiuse al traffico e la circolazione dei treni ad alta velocità (shinkansen) tra Tokyo e Ishikawa, sospesa da lunedì, dovrebbe riprendere martedì pomeriggio.

Indirettamente, il sisma ha causato un’altra tragedia all’aeroporto di Tokyo-Haneda, con la morte di cinque persone nel tardo pomeriggio a causa di una collisione a terra tra un aereo della guardia costiera giapponese, che portava aiuti, e un altro di linea della Japan Airlines. “Il comandante (dell’aereo della guardia costiera, ndr) è riuscito a scappare” ma le altre cinque persone a bordo “sono morte”, ha dichiarato il ministro dei Trasporti Tetsuo Saito. Tutti i 379 passeggeri e membri dell’equipaggio dell’aereo JAL516 della Japan Airlines hanno potuto essere evacuati “sani e salvi”, ha aggiunto il ministro.

Situato sull’Anello di Fuoco del Pacifico, il Giappone è uno dei Paesi più a rischio di terremoti al mondo. Di conseguenza, l’arcipelago applica standard edilizi estremamente severi, tanto che gli edifici moderni resistono generalmente a terremoti potenti, ma le vecchie case molto meno. Il Giappone è tormentato dal ricordo del terribile terremoto di magnitudo 9.0 seguito da un gigantesco tsunami nel marzo 2011 sulla costa nord-orientale del Paese, un disastro che ha causato circa 20.000 morti o dispersi. Questo disastro ha portato la mente anche all’incidente nucleare di Fukushima, il peggiore dopo quello di Chernobyl nel 1986. Lunedì, l’autorità giapponese per la sicurezza nucleare (NRA) ha dichiarato che “non sono state rilevate anomalie” nelle centrali nucleari del Paese.

Maltempo, maremoto a Stromboli: onda anomala da 1,5 m

Maltempo, piogge. Poi un terremoto e infine anche un’onda anomala di un metro e mezzo. Il fine settimana è stato difficile per il Sud Italia, in particolare per la Sicilia e per le isole Eolie. Domenica mattina, infatti, intorno alle 8.12, Un terremoto di magnitudo 4.6 è stato registrato dalla Rete Sismica Nazionale con epicentro al largo delle Isole Eolie, a sudovest dell’isola di Vulcano, e ad una profondità ipocentrale di 3 km. Dopo circa un’ora dall’evento sono state localizzate altre 3 scosse, di magnitudo 2.0,  1.7 e 1.8.

Poi, a Stromboli, alle 6.20 si è registrato un distacco dalla sciara del fuoco del vulcano che ha generato un’onda di maremoto di 1,5 metri. Sull’isola sono entrate in azione le sirene per allertare la popolazione. Dalle verifiche effettuate, non sono stati segnalati danni a persone o cose. Secondo l’Ingv, lo tsunami è stato generato dall’impatto sulla superficie del mare di un flusso piroclastico piuttosto intenso, analogo a quello avvenuto all’inizio di ottobre ma più forte. In questo caso, diversamente dal 9 ottobre, la soglia di attivazione è stata superata, i dati sono stati trasmessi al sistema di allerta del Dipartimento di Protezione Civile che subito dopo l’identificazione del maremoto ha diramato l’allerta, facendo suonare le sirene. Infatti, i sensori di pressione ubicati al di sotto delle due mede elastiche che fanno da sentinelle alla Sciara del Fuoco hanno rilevato un’anomalia del livello del mare di circa 1,5 metri (nel caso del 9 ottobre si erano registrati soltanto +/- 5 cm). In particolare, il segnale mostra una prima onda positiva di circa 50 cm e un successivo abbassamento di circa 1 metro. Seguono altre onde successive, di ampiezza confrontabile e poi decrescente. Anche il mareografo di Ginostra, appartenente alla Rete Mareografica Nazionale dell’Ispra, ha rilevato un’anomalia di poco inferiore.  Fortunatamente, queste onde non hanno causato danni nelle zone costiere dell’isola di Stromboli né in quelle delle altre isole Eolie.

Nella serata di domenica il Dipartimento della Protezione Civile ha disposto il passaggio di allerta per il vulcano Stromboli dal livello giallo ad arancione e l’attivazione della fase operativa di preallarme. La decisione, è stata adottata alla luce delle valutazioni emerse durante la riunione con i Centri di Competenza e il Dipartimento della Protezione Civile della Regione Siciliana, convocata in seguito alle attività del vulcano. L’innalzamento dell’allerta determina il potenziamento del sistema di monitoraggio del vulcano e del raccordo informativo tra la comunità scientifica e le altre componenti e strutture operative del Servizio nazionale della protezione civile. Il Dipartimento della Protezione Civile condivide tali informazioni con la struttura di protezione civile della Regione Siciliana che, soprattutto in relazione a scenari di impatto locale, allerta le strutture territoriali di protezione civile e adotta eventuali misure in risposta alle situazioni emergenziali. Il Sindaco del Comune di Lipari, che ha preso parte alla riunione, sarà costantemente informato sull’evoluzione della situazione in modo da poter garantire una costante e corretta informazione alla popolazione e l’adozione di tutte le misure di prevenzione necessarie. Indipendentemente dalle fenomenologie vulcaniche di livello locale, che possono avere frequenti variazioni, persiste una situazione di potenziate disequilibrio del vulcano. La popolazione presente sull’isola, pertanto, è invitata a tenersi informata e ad attenersi scrupolosamente alle indicazioni fornite dalle autorità locali di protezione civile.

Photo credit: Twitter INGV