Limitare il riscaldamento globale favorisce la biodiversità delle montagne

Limitare il fenomeno del riscaldamento globale – a 1,5 °C e 2 °C rispetto ai livelli preindustriali – così come stabilito con l’accordo di Parigi del 2015 – potrebbe favorire anche la salvaguardia dei mammiferi delle aree montane. È quanto emerge da un nuovo studio, condotto da Chiara Dragonetti e Valeria Y. Mendez e coordinato da Moreno Di Marco del Dipartimento di Biologia e biotecnologie Charles Darwin della Sapienza. In particolare, i ricercatori hanno analizzato la situazione dei carnivori e degli ungulati di montagna nel 2050, proiettando al futuro le loro nicchie climatiche, cioè l’insieme delle condizioni climatiche che permettono la sopravvivenza di una determinata specie.
I risultati dello studio, pubblicati sulla rivista Conversation Biology, dimostrano che il rischio per la sopravvivenza dei carnivori e degli ungulati di montagna globalmente non è elevata, e che nessuna specie ha una probabilità di riduzione della propria nicchia climatica superiore al 50%. Il raggiungimento degli impegni dell’accordo di Parigi diminuirebbe però sostanzialmente l’instabilità climatica per le specie montane. Infatti, limitare il riscaldamento globale al di sotto di 1,5 °C comporterebbe una diminuzione della probabilità di contrazione di nicchia del 4% rispetto a uno scenario ad alte emissioni.

“A livello globale i mammiferi di montagna potrebbero essere in media meno in pericolo rispetto ad altri mammiferi – spiega Chiara Dragonetti, prima autrice dello studio – ma ci sono importanti eccezioni da tenere in considerazione, come per tutte le specie altamente endemiche, che non potranno trovare climi adatti altrove”. Le montagne hanno fornito un rifugio a numerose specie durante i cambiamenti climatici del passato e potrebbero offrirlo anche in futuro, soprattutto a quelle specie che vivono immediatamente ai margini delle catene montuose. Ma le specie endemiche già a rischio di richiedono comunque imminenti misure di conservazione.

“Per proteggere la biodiversità montana saranno quindi necessari – aggiunge Dragonetti – sia una forte politica di mitigazione del clima, sia rapidi interventi di conservazione che abbiano come target le specie già vulnerabili. Inoltre, azioni mirate per un uso più sostenibile del suolo dovrebbero far parte delle politiche internazionali per preservare le montagne tropicali, soprattutto in Africa, Sud-est asiatico e Sud America. Queste sono infatti le zone del mondo con la più alta biodiversità montana, ma anche quelle che affrontano le sfide più grandi in termini di sviluppo e crescita della popolazione”.
“Gli obiettivi climatici definiti dall’accordo di Parigi – conclude Moreno Di Marco, coordinatore del laboratorio Biodiversity & Global Change della Sapienza – derivano da negoziazioni politiche che non sempre trovano riscontro scientifico per quanto riguarda i sistemi biologici. Con questo lavoro dimostriamo che non raggiungere l’accordo di Parigi comporta rischi seri per la biodiversità e per i delicati equilibri ecosistemici degli ambienti montani”.

stormi

Le coreografie spettacolari degli storni spiegate dalla matematica

Ogni anno, in alcuni periodi, gli stormi di storni incantano i cieli, disegnando coreografie spettacolari. In un recente articolo pubblicato su Nature Communications, i ricercatori del gruppo Cobbs (Collective behaviour in biological systems, nato dalla collaborazione Cnr e Università ‘Sapienza’ di Roma) propongono un nuovo modello matematico che spiega la regolazione del loro volo.

Gli uccelli sincronizzano il loro movimento con lo scopo di mantenere il gruppo coeso e reagire collettivamente agli attacchi dei predatori e agli stimoli esterni“, spiega Stefania Melillo, dell’Istituto dei sistemi complessi del Cnr (Cnr-Isc) di Roma e componente del gruppo di ricerca ‘Cobbs’.

Un fenomeno collettivo generato da un meccanismo imitativo: “Ogni uccello adatta la propria direzione di volo e la propria velocità a quella di una decina di uccelli nel suo vicinato. In questo modo, quando un uccello cambia il proprio moto, i suoi vicini lo imitano e, con una sorta di passaparola, il cambiamento si propaga in tutto il gruppo”, dice. La necessità fondamentale per il verificarsi di questo spettacolare fenomeno (in gergo chiamato ‘flocking’) è che gli individui rimangano all’interno del gruppo, muovendosi in maniera coordinata, tra frenate e accelerate, dovendo sottostare a una serie di vincoli meccanici e fisiologici richiesti da una dinamica complessa come quella del volo. Quello che ancora non è ben chiaro è come gli uccelli regolino la loro velocità all’interno del gruppo.

Immaginiamo di sperimentare su noi stessi un meccanismo simile al volo degli storni quando siamo nel traffico o in autostrada e regoliamo la nostra andatura in base alle autovetture davanti a noi. Quando una vettura frena, quelle nelle sue immediate vicinanze la imitano. Il cambio di velocità si propaga poi a tutta la fila di macchine, che collettivamente rallentano”, afferma Antonio Culla, del gruppo Cobbs, dottorando in fisica all’università ‘Sapienza’ di Roma e tra gli autori dell’articolo scientifico. “Ma c’è un altro elemento da tenere in considerazione. La velocità di un’autovettura è limitata dal motore: un’utilitaria non può raggiungere la velocità di una macchina sportiva. Allo stesso modo, a causa della sua struttura fisiologica, uno storno non può volare veloce quanto un falco”.

Ma come si modellizza questo controllo delle velocità? “Gli storni hanno un valore preferenziale della velocità di volo (circa 43 Km/h), chiamato velocità di riferimento, dovuto alla loro struttura fisiologica. Quando si trovano in volo all’interno di un gruppo di loro simili, è estremamente facile muoversi ad una velocità di poco diversa da quella di riferimento, mentre è incredibilmente difficile muoversi molto più veloci o molto più lenti”, prosegue Culla. “Nel modello teorico che proponiamo, il singolo elemento dello stormo regola la sua velocità individuale all’interno della dinamica del gruppo, purché resti su valori ragionevoli, come una sorta di limitatore su una autovettura, che permette all’autista di deviare dal valore di riferimento, ma non di oltrepassare un limite fissato”.

L’eccezionale database di stormi di storni costruito dal gruppo Cobbs negli ultimi 15 anni, unico nel suo genere poiché comprende le traiettorie tridimensionali di 45 stormi di varie dimensioni (da 10 a 3000 uccelli), ha permesso di provare l’efficacia dello studio. “Il nuovo modello permette agli elementi all’interno dello stormo di coordinare i loro movimenti e di essere molto correlati tra di loro, pur mantenendo una velocità vicina a quella di riferimento, proprio come negli stormi osservati sul campo”. Lo studio del gruppo di ricerca ‘Cobbs’, per descrivere il movimento collettivo, apre nuove strade verso la comprensione dei sistemi biologici ma anche nell’ambito della robotica e dell’ingegneria.