Tutta l’Europa si scioglie, ma sono i ghiacciai delle Alpi i più malati

Il loro stato ha molto a che fare con il nostro futuro e quello di milioni di altre vite umane

La tragedia della Marmolada è enorme e, oltre al dolore per la perdita delle vite umane, rilancia la riflessione sullo stato dei ghiacciai: di quelli alpini e di quelli in tutto il Pianeta. Uno stato, quello dei ghiacciai, che ha molto a che fare con il nostro futuro e quello di milioni di altre vite umane. Basti un elemento per portare la riflessione al livello necessario: in Europa ogni anno perdiamo una quantità di ghiaccio che – trasformato in acqua – potrebbe servire a coprire il fabbisogno di acqua dolce di New York, la città con il consumo maggiore al mondo, per 23 anni. Sono immense riserve che non sono più a disposizione. E in Europa la situazione peggiore riguarda proprio le Alpi che sono il cuore e il motore (fornendo energia, acqua, materie prime) del benessere che ha caratterizzato per oltre un secolo i territori, anche di pianura, ad esse collegati.

Questi dati fanno parte di quelli registrati e pubblicati nel 2021 dal servizio del programma Copernicus sugli indicatori dei cambiamenti climatici. Nel report si afferma che: “Dal 1997, i ghiacciai monitorati in tutta Europa hanno perso tra 9 e 30 metri di ghiaccio. Per l’Europa nel suo complesso, escludendo la Groenlandia, ciò equivale a un valore medio di circa 18 tonnellate di acqua dolce per metro quadrato di copertura di ghiaccio o, se moltiplicato per l’area totale del ghiacciaio, a circa 821 chilometri cubi o 17 volte il volume d’acqua del lago di Costanza, al confine tra Germania, Svizzera e Austria (grande circa una volta e mezza il lago di Garda, ndr). In altre parole, la perdita media annua di ghiaccio di questi ghiacciai (34 chilometri cubi) coprirebbe il fabbisogno di acqua dolce della città di New York (la città con il più alto consumo a livello mondiale) per circa 23 anni. Tuttavia, esiste una forte variabilità regionale: in particolare tra la Scandinavia settentrionale, con la perdita di massa minore, e le Alpi, con la perdita di massa maggiore”.

La criosfera, ovvero la porzione di superficie terrestre coperta o intrisa di acqua allo stato solido e quindi neve, ghiacciai e permafrost (il terreno congelato) è un elemento fondamentale per le dinamiche climatiche e i servizi ecosistemici forniti all’uomo. La criosfera racchiude, ad esempio, riserve di acqua che servono per tutti gli usi civili, industriale e agricoli che attuiamo quotidianamente. Ha quindi molto a che fare anche con la scarsa disponibilità di acqua che stiamo vivendo in maniera particolare quest’anno ma che – secondo le indicazioni degli studiosi – sono destinate a peggiorare in tempi medi o addirittura brevi.

Il recente rapporto annuale dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), che ogni anno verifica e raccoglie tutti gli studi sull’evoluzione climatica, dice in proposito: “(…) la criosfera è uno degli indicatori più sensibili dei cambiamenti climatici. I componenti della criosfera (ghiacciai, neve, permafrost) si stanno sciogliendo o scongelando dalla fine del XX e dall’inizio del XXI secolo. I cambiamenti diffusi della criosfera stanno interessando gli esseri umani e gli ecosistemi alle latitudini medio-alte e nelle regioni di alta montagna. Questi cambiamenti stanno già impattando sull’irrigazione, l’energia idroelettrica, l’approvvigionamento idrico, i servizi culturali e altri servizi forniti dalla criosfera e sulle popolazioni che dipendono da ghiaccio, neve e permafrost”. Le conseguenze, quindi, colpiscono indistintamente molti settori della nostra vita: quello economico (energie, industria, turismo, agricoltura), quello ecologico (premessa anche di quello economico per i servizi offerti, appunto), quello della salute e della sicurezza, ecc…

Nel rapporto sullo stato dei ghiacciai alpini al termine della ‘Carovana dei ghiacciai’ 2020 di Legambiente si diceva testualmente che fosse particolarmente preoccupante la condizione della Marmolada che, continuando con lo stesso passo, sarebbe potuta scomparire entro 15-20 anni. Nel rapporto si specificava anche che i ghiacciai alpini hanno perso il 50 per cento della loro superficie negli ultimi 100 e il 70 per cento di quel 50 per cento si è sciolto negli ultimi 30 anni.

Il distacco di domenica può avere quindi cause e dinamiche specifiche di vario tipo, che verranno chiarite presto, ma sicuramente si inserisce in un quadro globale di fortissima criticità dei ghiacciai, di quelli alpini in particolare e di quello della Marmolada ancora più nello specifico. Nel report ‘State of the Climate’ (2019) l’esperto di ghiacciai Mauri Pelto ha segnalato che il ritmo di perdita dei ghiacciai è accelerato da -171 millimetri all’anno negli anni ’80, a -460 millimetri all’anno negli anni ’90, a -500 millimetri all’anno negli anni 2000, a -889 millimetri all’anno per gli anni 2000.

Chiudiamo con un altro riferimento all’ultimo rapporto IPCC: la velocità del ritiro dei ghiacciai è significativamente più veloce di quanto dichiarato nel Rapporto speciale del 2019 su oceano e criosfera. Anche con un riscaldamento fermo a 1,5 gradi, i ghiacciai di bassa quota e di piccole dimensioni nel mondo perderanno metà della loro massa in pochi decenni. Una temperature media che superi 1.5 gradi di riscaldamento (a oggi molto probabile) porterebbero una perdita anche del 90 per cento.

È possibile farsi un’idea della situazione in questi giorni e fino al 18 novembre visitando la meravigliosa mostra fotografica Earth’s Memory, al Forte di Bard in Valle d’Aosta. Si tratta di un progetto durato 13 anni nel corso dei quali il fotografo Fabiano Ventura ha girato il mondo per documentare con le immagini la situazione dei ghiacciai nel Pianeta e raffrontarle con identiche inquadrature scattate in passato, per 90 confronti fotografici che non possono lasciarci senza reazioni.