Bruxelles si appresta ad aggiornare i target di energia rinnovabile nel mix energetico dell’Unione, ma è ancora divisa sulle cifre. Il Consiglio Ue dell’energia che si è tenuto a inizio settimana a Bruxelles ha infatti finalizzato la posizione negoziale degli Stati membri sulla revisione della direttiva sulle energie rinnovabili (risalente al 2018), proposta dalla Commissione Ue nel quadro del piano ‘REPowerEu’, presentato a maggio scorso per affrancare l’Ue dai combustibili fossili russi. Per dire addio alla dipendenza dall’energia russa, il piano della Commissione Ue è strutturato anche su una proposta per accelerare l’espansione delle rinnovabili, aumentare il target e contrastare la lentezza con cui si approvano le autorizzazioni per i grandi progetti di energia pulita, con un emendamento mirato alla direttiva del 2018 per riconoscere l’energia rinnovabile come “un interesse pubblico prevalente”. Neanche un anno prima, a luglio 2021, Bruxelles aveva proposto nel quadro del suo pacchetto climatico ‘Fit for 55’ una revisione della vecchia normativa per portare l’obiettivo per il 2030 dall’attuale 32,5% di energie rinnovabili nel mix energetico dell’Ue, fino al 40%.
Alla luce della crisi energetica in atto, la Commissione stessa ha riconosciuto il target come già insufficiente per ridurre l’energia prodotta da combustibili fossili (in particolare quelli russi), e ha proposto quindi a maggio di portare l’obiettivo al 45% entro il 2030. Il mandato del Consiglio in tema di rinnovabili ha però mantenuto il 19 dicembre l’obiettivo generale di una quota di energia da fonti pulite pari al 40% del consumo finale lordo dell’Unione nel 2030 senza alzare l’ambizione. A quel punto non si è fatta attendere una dichiarazione congiunta da parte di Austria, Danimarca, Estonia, Germania, Grecia, Lussemburgo, Portogallo e Spagna che hanno chiesto un aumento dell’obiettivo dal 40 al 45% durante i negoziati che inizieranno il prossimo anno con l’Europarlamento sul piano ‘REPowerEU’. L’Eurocamera – quasi sempre l’istituzione più ambiziosa sul clima – ha sposato la linea rivista della Commissione europea ritenendo importante alzare il target per l’energia verde, una necessità accentuata dalla crisi energetica in atto e dalla necessità di ridurre i consumi di gas.
Quanto ai permessi per i progetti, il mandato del Consiglio prevede che entro 18 mesi dall’entrata in vigore della direttiva, gli Stati membri mappino le aree necessarie per i contributi nazionali verso l’obiettivo 2030 per le energie rinnovabili, mentre entro 30 mesi adottino uno o più piani per individuare le ‘aree di destinazione delle energie rinnovabili’, ovvero aree destinate alle energie rinnovabili e che riguarderanno la terraferma, il mare o le acque interne che sono individuate perché “particolarmente adatte a specifiche tecnologie di energia rinnovabile e presentano rischi minori per l’ambiente”. Ad esempio, dovrebbero essere evitate le aree protette. Nei loro piani che designano le aree di riferimento per le energie rinnovabili, gli Stati membri dovrebbero adottare anche misure di mitigazione per contrastare le potenziali conseguenze ambientali negative delle attività di sviluppo dei progetti situati in ciascuna area di riferimento. L’intero piano – puntualizza il Consiglio – sarebbe quindi soggetto a una valutazione di impatto ambientale semplificata, invece di una valutazione effettuata per ogni progetto. Quanto ai processi di rilascio delle autorizzazioni, per le aree di accesso alle rinnovabili, il Consiglio ha deciso che i processi di rilascio delle autorizzazioni non dovrebbero richiedere più di un anno per i progetti di energie rinnovabili e di due anni per i progetti di energie rinnovabili offshore. In attesa di un accordo tra colegislatori e che le modifiche alla direttiva siano applicate, la Commissione europea ha proposto lo scorso 9 novembre un regolamento di emergenza per accelerare i permessi alle rinnovabili, sui cui i ministri hanno dato il via libera al Consiglio energia.