Entro l’anno la riforma dei porti: verso un’agenzia nazionale

Per il viceministro Rixi sarà “al centro l'interesse di ogni singolo scalo, nel rispetto delle rispettive vocazioni specialistiche e territoriali"

Entro l’anno sarà presentata la riforma dei porti, infrastrutture fondamentali per l’Italia da dove passa il 39% dell’import-export per un valore di 377 miliardi. Un interscambio via nave che ha mostrato una ripresa solida nel 2022, con un + 38%, 10 punti percentuali in più rispetto alla performance dell’interscambio nel suo complesso, come fa sapere l’ultimo report di Intesa Sanpaolo e Assoporti.
Per anticipare le linee guide della riforma, il viceministro ai Trasporti, Edoardo Rixi, ha sempre sottolineato che sarà messo “al centro l’interesse di ogni singolo scalo, nel rispetto delle rispettive vocazioni specialistiche e territoriali. Inoltre, abbiamo chiesto uno screening per tutti gli interventi che riguardano il Fondo complementare per permettere una immediata riprogrammazione dei fondi in modo che si possano utilizzare tutte le risorse Pnrr dedicate al settore marittimo“. Il testo che arriverà per dicembre, come ha più volte spiegato il ministro Matteo Salvini, sarà inserito in una apposita legge delega. E, tecnicamente, la riforma dovrebbe prendere il buono del cosiddetto modello spagnolo. “Con il suo Puertos del Estado abbinato a una autonomia locale di alcuni porti” è la rotta che il governo intende seguire, ha spiegato Rixi a Shippingitaly.it, sottolineando però come alla base di questo processo di rinnovamento serva “una visione nazionale”, con “lo Stato che deve mantenere il controllo pubblico sugli scali portuali”.

In Italia il ruolo e la funzione rappresentata da Puertos del Estado iberico – ipotizza Shippingitaliy.it – “potrebbe essere assunta da Assoporti (se ne saranno ampliate risorse e competenze) e non sarebbe troppo diversa dalla missione pianificatoria e di coordinamento svolta in ambito aeroportuale da Enac (ente nazionale per l’aviazione civile)”. Attualmente le autorità di sistema portuale sono enti pubblici di personalità giuridica che – come spiega il sito del Mit – hanno, “tra gli scopi istituzionali, la gestione e l’organizzazione di beni e servizi nel rispettivo ambito portuale”. Nel 2016 l’allora ministro Graziano Delrio riordinò le Autorità portuali ridisegnando il sistema di governance. Di fatto i 58 porti di rilievo nazionale sono coordinati da 15 Autorità di sistema portuale, cui viene affidato un ruolo strategico di indirizzo, programmazione e coordinamento del sistema dei porti della propria area, con le Regioni che possono chiedere l’inserimento nelle Autorità di Sistema di ulteriori porti di rilevanza regionale. Per garantire la coerenza con la strategia nazionale si prevede l’istituzione di una Conferenza nazionale di coordinamento delle authority, però manca una vera e propria agenzia capace – come punta la riforma – a decidere una strategia nazionale basata sugli interessi del Paese.

Di fatto ogni ente è indipendente nella gestione e nella fissazione dei canoni. Una mole di dati che paradossalmente non è nelle disponibilità del ministero dei Trasporti, proprio perché ogni authority è autonoma, creando magari contrapposizioni o addirittura arrivando a farsi concorrenza. Nelle intenzioni del governo c’è comunque – come diceva Rixi – la tutela delle “vocazioni specialistiche e territoriali”, in vista anche di una possibile aumento dell’autonomia delle regioni, che potranno avere eventualmente un ruolo maggiore nella governance del porto. “Stato forte, struttura del ministero forte e solida e visione politica che ha in mano il ministero delle infrastrutture e del Trasporti”, chiede Stefano Messina, presidente di Assarmatori. La nascita di una agenzia nazionale permetterebbe anche di integrare le altre infrastrutture necessarie per il transito di merci nelle terraferma, decidendo investimenti mirati ed evitando doppioni costosi.

A proposito di costi. Per i porti è previsto un cospicuo capitolo del Pnrr. La cabina di regia ieri ha varato le modifiche al Piano nazionale di ripresa e resilienza e le proposte per il capitolo aggiuntivo del RePowerEu dedicato alla transizione energetica. La revisione prevede lo spostamento di alcuni progetti, che andranno rifinanziati con fondi differenti da quelli previsti dal Pnrr e una ricalibrazione degli obiettivi, fra questi 400 milioni dovrebbero andare ai porti con l’obiettivo è il potenziamento dell’elettrificazione delle banchine portuali per la riduzione delle emissioni delle navi nella fase di stazionamento in porto (cold ironing). Risorse che si aggiungono ai 9,2 miliardi previsti che andranno andranno a finanziare interventi in 47 porti di 14 regioni diverse e di competenza di 16 differenti Autorità di sistema portuale. Metà dei fondi va ai porti del Mezzogiorno, il 37,7% a quelli del Nord e il restante 15,4% a quelli del Centro Italia. Saranno finanziate opere per la “resilienza delle infrastrutture ai cambiamenti climatici” e per l’efficientamento energetico delle banchine, ma anche misure per il dragaggio e la realizzazione di nuovi moli. Tutti interventi che, secondo la riforma, dovranno essere coordinati per sfruttare le previsioni del trasporto marittimo mondiale, segnalato in crescita in termini di tonnellaggio: +1,6% per il 2023 e +2,8% per il 2024. Oil & Gas sono le commodities che incontreranno le prospettive più favorevoli, spinte dalla necessità di trasporto conseguenti alla guerra in corso. In particolare le stime per l’area del Mediterraneo sono di +3,5% per la movimentazione media annua dei container nei prossimi 5 anni contro il 2,8% del mondo.