Quattro anni fa un gruppo di scienziati (William J. Ripple, Christopher Wolf, insieme ad altri tre colleghi) individuano trentacinque indicatori dello “stato vitale” del Pianeta Terra. Scelgono parametri come il livello di acidità degli oceani e le giornate di caldo estremo, fino al consumo di petrolio mondiale o il numero di viaggi aerei all’anno. Una sorta di termometro per tenere monitorato il livello della crisi climatica.
Già allora il risultato – firmato da oltre 15mila scienziati – raccontava una chiara crisi climatica supportata dai dati. La notizia, nell’aggiornamento da poco pubblicato, è che 20 indicatori su 35 hanno registrato un livello record.
Emissioni di CO2? Mai state così alte. La massa di ghiaccio della Groenlandia? Mai stata così sottile. Popolazione mondiale? Siamo al record. È stato anche l’anno con la maggiore produzione di carne pro capite, e il livello del mare più alto degli ultimi 20 anni.
“Come scienziati, ci viene chiesto sempre più spesso di dire al pubblico la verità sulle crisi che affrontiamo in termini semplici e diretti” scrivono gli autori, “La verità è che siamo scioccati dalla ferocia degli eventi meteorologici estremi nel 2023. Abbiamo paura del territorio inesplorato in cui siamo ormai entrati”.
E inesplorato lo è davvero. Prima del 2000 le temperature medie globali non avevano mai superato gli 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali. Nel 2023 (e i dati analizzati dalla ricerca si fermano al 12 settembre) già 38 giorni hanno superato l’asticella. Il 7 luglio di quest’anno, poi, l’estensione del ghiaccio marino dell’Antartide ha il record più negativo in assoluto da quanto esistono i dati satellitari: 2,67 milioni di chilometri quadrati al di sotto della media tra il 1991 e oggi. Anche i dati positivi nascondono notizie poco incoraggianti: si è ridotto il tasso di disboscamento del 9,7% a livello globale, e abbiamo perso meno foresta amazzonica rispetto all’anno scorso – ma cresce la minaccia di insetti, deperimento, incendi.
Numeri che si riflettono sulla vita delle persone: la ricerca stima che entro fine secolo un terzo (ma se va male fino alla metà) della popolazione mondiale potrebbero trovarsi confinati oltre la regione vivibile, affrontando un caldo intenso, una disponibilità di cibo limitata e tassi di mortalità elevati a causa degli effetti del cambiamento climatico.