Spazio agli investimenti per la transizione verde e digitale, con la possibilità di non conteggiare ai fini del calcolo del deficit lo sforzo pubblico di spesa. Una flessibilità a cui fa da contraltare un percorso di risanamento dei conti serrato, preciso e non semplice per Paesi come l’Italia dall’elevato debito pubblico. L’Aula del Parlamento europeo vara la riforma del Patto di stabilità, confermando l’accordo inter-istituzionale raggiunto a febbraio. Un esito atteso, che non registra sorprese.
Le soglie di riferimento classiche non cambiano. Restano i tetti del 3% nel rapporto deficit/Prodotto interno lordo e del 60% nel rapporto debito/Pil perché incardinate nei trattati sul funzionamento dell’Ue. Cambia però il modo di considerarle. Al fine di garantire consolidamento di bilancio i Paesi con un rapporto debito/Pil superiore al 90% dovranno ridurre ogni anno questo rapporto dell’1%, mentre per i Paesi con un deficit/Pil tra il 60% e il 90% dovranno tagliarlo di uno 0,5% l’anno. L’Italia dovrà dunque ridurre di un punto percentuale l’anno il proprio debito, al pari di Belgio, Francia, Grecia, Portogallo, Spagna. Non solo. Come tutti l’Italia dovrà ridurre anche il deficit, perché passa l’altra cosiddetta salvaguardia, che prevede di creare margini di spesa preventivi. L’accordo prevede che anche chi non sfora il tetto del 3% deficit/Pil debba comunque ridurlo, per creare uno spazio dell’1,5% così da essere pronti in caso di shock, senza dover mettere sotto pressione i conti.
Il periodo di consolidamento viene fissato in quattro anni, con piani che ogni Stato membro dovrà presentare entro il 20 settembre 2024 . Questa traiettoria di rientro potrà essere però estesa fino a un massimo di sette anni, previa richiesta da parte gli Stati membri. La concessione di più tempo per ridurre il debito è condizionata a un piano di riforme e investimenti atti a migliorare potenziale di crescita e capacità di resistenza agli shock. Riforme e investimenti, nello specifico devono affrontano le priorità comuni dell’Ue, vale a dire transizione verde e digitale, sicurezza energetica, rafforzamento della competitività “e, ove necessario, lo sviluppo di capacità di difesa”. I governi, nel presentare i loro piani, dovranno spiegare come saranno effettuati gli investimenti nei settori prioritari dell’Ue delle transizioni climatiche e digitali, della sicurezza energetica e della difesa.
“Aver raggiunto questo compromesso è molto positivo”, sottolinea Paolo Gentiloni, commissario per l’Economia. “C’è uno spazio di investimenti molto maggiore per le priorità dell’Unione europea”, vale a dire la doppia transizione. Insomma, “le nuove regole migliorano quelle attuali”.
Non sono di questo avviso però gli europarlamentari italiani. Nessuna delegazione vota a favore del nuovo Patto. Il Pd si astiene, “immagino più per ragioni di politica interna”, commenta Gentiloni. Gli esponenti dei partiti di maggioranza si astengono, salvo respingere la mozione che chiedeva di respingere l’accordo inter-istituzionale e affossare di fatto il nuovo patto. Democratici e 5 Stelle chiedono la testa del ministro dell’Economia. Con la loro astensione di FdI, Lega e FI “sfiduciano di fatto il ministro Giorgetti che lo aveva negoziato in Europa”, incalza Mario Furore (M5S), mentre il capo delegazione dei dem, Brando Benifei, invita lo stesso Giorgetti a “trarre le conclusioni del caso”.