L’Italia è in ritardo sulla decarbonizzazione delle città

Quasi 30 città europee si sono impegnate a trasformare le loro zone a basse emissioni in zone a zero emissioni tra il 2030 e il 2035

L’Italia è in ritardo sulla decarbonizzazione delle città. La tecnologia c’è, le risorse pure. Ma ancora una volta il Belpaese sconta una lentezza (dettata in particolare dalla burocrazia) rispetto agli altri Paesi europei. Anche la recente situazione di incertezza politica non aiuta di certo. Purtroppo però il pianeta non aspetta e gli impegni presi a Bruxelles dovranno essere onorati. Anche perché 9 città italiane sono state selezionate dalla Commissione Ue per la missione ‘100 Climate-Neutral and Smart Cities’, impegnandosi a raggiungere la neutralità climatica (vale a dire, zero emissioni nette) entro il 2030. Sono Bergamo, Bologna, Firenze, Milano, Padova, Parma, Prato, Roma e Torino. C’è da dire che gli enti locali si sono attivati introducendo svariate misure di restrizione del traffico inquinante anche se prevalentemente nei mesi invernali e durante specifiche fasce orarie.

Sono ancora poche le vere zone a basse emissioni sul modello di Area C e Area B a Milano”, denuncia la campagna Clean Cities, nel rapporto lanciato oggi (‘The development trends of low- and zero-emission zones in Europe’). Perché la maggior parte delle zone italiane a basse emissioni (in inglese Lez, low-emission zone) “non sono sottoposte a controlli sistematici, ad esempio tramite varchi elettronici, o almeno regolari da parte della polizia locale. Inoltre mancano una comunicazione efficace rivolta ai cittadini e piani per il rafforzamento nel tempo delle restrizioni”.

LA CLEAN CITIES CAMPAIGN

La Clean Cities Campaign è una coalizione europea di oltre 70 Ong, associazioni ambientaliste e movimenti di base che ha come obiettivo una mobilità urbana a zero emissioni entro il 2030. E nell’ultimo rapporto segnala il gap tra le diverse realtà europee. Oltre 300 città hanno una zona a basse emissioni e si stima che saranno oltre 500 nel 2025. Quasi 30 città europee (tra Paesi Bassi, Regno Unito, Francia e Paesi scandinavi) si sono impegnate a trasformare le loro zone a basse emissioni in zone a zero emissioni tra il 2030 e il 2035, di fatto impedendo alle auto inquinanti di accedere alla propria area urbana. L’Italia è in ritardo anche su questo, perché al momento non c’è un Consiglio comunale che stia pianificando di trasformare la Lez in una zona a zero emissioni, entro il 2030. Eppure un sondaggio del 2021 commissionato dalla stessa Clean Cities Campaign ha dimostrato che l’84% dei cittadini italiani interpellati “vogliono che i loro sindaci facciano di più per proteggerli dall’inquinamento dell’aria”.

COSA SONO LE LEZ

Si potrebbe considerare le Lez come delle Ztl rafforzate in ottica ambientale. Specifiche misure infatti vietano la circolazione a determinate categorie di veicoli inquinanti all’interno di un’area urbana. Ma a differenza della Zona a traffico limitato, la zona a basse emissioni restringe l’accesso prevalentemente sulla base del tipo di veicolo e della sua classe di inquinamento con riferimento alla normativa europea (Euro 0 – Euro 6). La Ztl invece restringe l’accesso a tutte le categorie di veicoli, salvo eccezioni (generalmente applicate a residenti e operatori commerciali). “Nel corso dell’ultimo decennio – spiega il dossier di Clean Cities – le zone a basse emissioni sono diventate uno strumento sempre più diffuso di regolazione del traffico e riduzione degli inquinanti dell’aria, inclusi il biossido di azoto (NO2) derivato dalle emissioni di NOx, e i particolati, Pm10 e Pm2,5”.

CAMPANELLO D’ALLARME

Le zone a basse emissioni hanno anche un impatto positivo sul clima. Ad esempio a Londra le emissioni di gas a effetto serra sono diminuite del 13% nei primi 6 mesi della Ultra Low-emission zone (Ulez) e a Milano sono scese del 22% dopo l’introduzione dell’Area C. Insomma, spiega Claudio Magliulo, responsabile italiano della campagna Clean Cities. “le zone a basse emissioni funzionano, ma è essenziale che i sindaci comunichino efficacemente e per tempo, e che siano presenti misure di supporto alla transizione, quali ad esempio schemi che diano un accesso gratuito ai servizi di trasporto pubblico e di sharing mobility a fronte della rottamazione dei veicoli inquinanti”. Da qui il campanello d’allarme di Clean Cities: “È evidente – spiega Magliulo – che se le città italiane fanno sul serio, non potranno raggiungere la neutralità climatica senza eliminare dalle proprie aree urbane i veicoli inquinanti nell’arco di questo decennio. Si tratta di una sfida complessa, ma tecnologicamente alla nostra portata. Servono lungimiranza, coraggio politico e attenzione al creare una transizione giusta che non lasci indietro nessuno”.

Il dossier della coalizione delle Ong inoltre chiede maggiori sforzi sui piani di mobilità: non basta aumentare le linee di tram e metro o i chilometri di ciclabili, ma “servono anche misure restrittive ben governate che producano non solo una riduzione dell’inquinamento dell’aria e delle emissioni di CO2, ma anche un complessivo restringimento del parco veicolare privato, per il quale l’Italia ha il triste primato in Europa: 67 auto per 100 abitanti”.