Lo smart working fa bene alle tasche di imprese e lavoratori, al benessere del personale e, soprattutto, all’ambiente. Almeno secondo quanto emerge dalla ricerca dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano. Nel 2022 in Italia il lavoro da remoto continua a essere utilizzato in modo consistente, sebbene in misura minore rispetto allo scorso anno. Sono circa 3,6 milioni, quasi 500 mila in meno rispetto al 2021, i lavoratori da remoto, con un calo in particolare nella pubblica amministrazione e nelle piccole e medie imprese, mentre si rileva una leggera ma costante crescita nelle grandi imprese che, con 1,84 milioni di lavoratori, contano circa metà degli smart worker complessivi. Per il prossimo anno si prevede un lieve aumento fino a 3,63 milioni, grazie al consolidamento dei modelli di smart working nelle grandi imprese e a un’ipotesi di incremento nel settore pubblico.
L’impatto positivo di questa modalità di lavoro è visibile in diversi ambiti. A cominciare dall’ambiente, grazie alla riduzione di emissioni di CO2 di circa 450 Kg annui per persona. Ma come è possibile? È il risultato di tre componenti su base annua: la riduzione degli spostamenti, che permette il risparmio di 350 Kg di CO2, le emissioni risparmiate nelle sedi delle organizzazioni che hanno introdotto lo smart working (pari a circa 400 Kg di CO2) al netto delle emissioni addizionali dovute al lavoro dalla propria abitazione (in media circa 300 Kg di CO2). Considerando il numero degli smart worker attuali pari a 3.570.000 di lavoratori, l’impatto a livello di sistema Paese calcolate sarebbe pari a 1.500.000 Ton annue di CO2. Una quantità pari a quella assorbita da una superficie boschiva di estensione pari a circa 8 volte quella del comune di Milano.
Allo stesso tempo, lo smart working ha l’effetto di alleggerire le tasche di lavoratori e imprese, grazie ai notevoli risparmi di spesa. Mentre aumentano i costi energetici, un lavoratore che operi due giorni a settimana da remoto risparmia in media circa 1.000 euro all’anno per effetto della diminuzione dei costi di trasporto. Nella stessa ipotesi di due giorni alla settimana di lavoro da remoto l’aumento dei costi dei consumi domestici di luce e gas può incidere però per 400 euro l’anno riducendo il risparmio complessivo a una media di 600 euro l’anno. Più evidente il risparmio per le aziende. Consentire ai dipendenti di svolgere le proprie attività lavorative fuori della sede per 2 giorni a settimana permette di ottimizzare l’utilizzo degli spazi isolando aree inutilizzate e riducendo i consumi, con un risparmio potenziale di circa 500 euro l’anno per ciascuna postazione. Se a questo si associa la decisione di ridurre gli spazi della sede del 30%, il risparmio può aumentare fino a 2.500 euro l’anno a lavoratore.
“In questo momento di grave tensione su costi energetici e inflazione – spiega Fiorella Crespi, direttrice dell’Osservatorio Smart Working – questo risparmio potrebbe essere impiegato per fronteggiare la crisi e sostenere la redditività aziendale e il potere d’acquisto dei lavoratori. Le organizzazioni potrebbero valutare di restituire ai lavoratori una parte del risparmio ottenuto, ma nella nostra rilevazione oggi solo il 13% delle aziende del campione prevede per i lavoratori che lavorano da remoto dei bonus o rimborsi che non siano buoni pasto”.