Calano i prezzi alla produzione industriale, aumentano i prezzi al dettaglio. Ad aprile, secondo le stime preliminari di Istat, l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività registra un aumento dello 0,5% su base mensile e dell’8,3% su base annua, da +7,6% del mese precedente. Superate le stime degli analisti che ipotizzavano un +0,3% mensile e un +8,2% annuale.
L’accelerazione del carovita – sottolinea l’istituto di statistica – si deve, in prima battuta, all’aumento su base tendenziale dei prezzi dei Beni energetici non regolamentati (da +18,9% a +26,7%) e, in misura minore, a quelli dei Servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (da +6,3% a +6,7%) e dei Servizi vari (da +2,5% a +2,9%). Effetti solo in parte compensati dalla flessione più marcata dei prezzi degli Energetici regolamentati (da -20,3% a -26,4%) e dal rallentamento di quelli degli Alimentari lavorati (da +15,3% a +14,7%), degli Alimentari non lavorati (da +9,1% a +8,4%), dei Servizi relativi all’abitazione (da +3,5% a +3,2%) e dei Servizi relativi ai trasporti (da +6,3% a +6,0%). A livello mensile anche l’aumento congiunturale si deve principalmente all’aumento dei prezzi dei Servizi relativi ai trasporti e degli Energetici non regolamentati (entrambi a +2,4%), degli Alimentari lavorati (+1,1%), dei Servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (+0,9%) e dei Beni non durevoli (+0,6%). Rialzi compensati ancora una volta dal calo dei prezzi degli Energetici regolamentati (-19,3%).
La media dei prezzi industriali del gas ad aprile è però pressoché simile a quella di marzo, quando l’Authority per l’energia decide un ribasso della bolletta del 13,4%, dopo i cali registrati per i consumi dei mesi di gennaio (-34,2%) e febbraio (-13%) e in seguito al -55% deciso per le bollette luce del secondo trimestre. Tutti ribassi riferiti al mercato tutelato. In quello libero invece, da quanto emerge dall’Istat, sono saliti i costi nonostante le quotazioni di energia elettrica e gas siano appunto ai minimi da oltre un anno. E il mercato libero dell’energia comprende la stragrande maggioranza delle famiglie.
Inoltre i prezzi alla produzione industriali, come spiega sempre l’istituto di statistica basandosi sulle rilevazioni di marzo, “continuano a diminuire (-1,5%) su base mensile – grazie soprattutto agli ulteriori ribassi sul mercato interno dei prezzi dei prodotti energetici – e segnano una decisa decelerazione della crescita tendenziale (+3,8% da +9,6% di febbraio). Quest’ultima, con riguardo al mercato interno, si riporta esattamente sul valore di due anni prima, consolidando la fase di rientro del fenomeno inflattivo a monte. La crescita su base annua dei prezzi rallenta ancora per quasi tutti i settori manifatturieri e, per la prima volta dopo oltre due anni, si rileva una flessione tendenziale dei prezzi per coke e prodotti petroliferi raffinati e metalli e prodotti in metallo”.
“Temiamo che sull’andamento dei listini al dettaglio si stiano registrando speculazioni e anomalie, con alcuni beni che su base annua vedono incrementi a due cifre anche in assenza di rialzi delle materie prime, e senza alcuna ripercussione causata dalla guerra in Ucraina o dall’andamento delle bollette”, spiega Furio Truzzi, presidente di Assoutenti.
Secondo l’Ufficio economico Confesercenti “non si deve abbassare la guardia: l’inflazione per ora acquisita è pari al 5,4% mentre quella di fondo, al netto dei soli energetici, resta ferma al 6,4%. Livelli ancora preoccupanti, che prefigurano una nuova rilevante erosione del potere d’acquisto delle famiglie, che già hanno registrato 12 miliardi in meno lo scorso anno ed hanno portato a livelli mai visti (5%) la propensione al risparmio”.
“Siamo preoccupati dell’effetto dell’inflazione sull’andamento delle vendite, soprattutto di beni di largo consumo e ortofrutta. Le nostre imprese – commenta Carlo Alberto Buttarelli, presidente di Federdistribuzione – rimangono sotto pressione perché compresse tra l’aumento dei costi all’acquisto e le difficoltà derivanti dall’attuale livello dei prezzi al consumo. L’attuale debolezza dei volumi di consumo, che stagnano intorno al -5%, è un fattore di rischio per l’intero sistema agroalimentare italiano, rappresentato da numerose filiere di eccellenza, così come per le nostre imprese”.