Gozzi: “Italia deve pretendere da Ue cambio indirizzo su politiche industriali”

Il presidente di Federacciai interviene sulle pagine di Il Riformista per difendere l'industria dal pregiudizio europeo

Gli anni da cui veniamo, per quanto riguarda le scelte europee sull’industria, sono stati molto difficili. Un’Europa tutta concentrata sulla finanza, sulla disciplina fiscale, sul cambiamento climatico è sembrata non avere alcuna attenzione né passione per l’industria manifatturiera e in particolare per quella di base”. Lo diceva il presidente di Federacciai, Antonio Gozzi, nella relazione all’Assemblea annuale di Federacciai, tenutasi a Milano il 10 maggio scorso, spiegando che si tratta di “un’impostazione per così dire nordica, di Paesi ormai senza industria, in particolare Olanda e Danimarca, che importano tutto, che per questo declinano spesso un mercatismo estremista e che sono ideologicamente votati a politiche di transizione energetica estreme”. Gozzi parlava di “pregiudizio anti industriale”, e ora difende le sue parole dalle critiche in un intervento su Il Riformista: “Le critiche vanno sempre considerate con attenzione e umiltà ma in questo caso ho ragione io: i miei quindici anni di attività industriali in Belgio, vicino a Bruxelles, alla Commissione Europea e alla sua burocrazia guardiana (alla quale purtroppo gli italiani partecipano poco e male) mi hanno dato una sensibilità e un fiuto per ciò che bolle in pentola a Berlaymont che raramente mi fanno sbagliare”.

A sostegno della sua tesi, Gozzi porta un’intervista realizzata da ‘L’Echo’, il giornale economico belga, a Pierre Régibeau, ex braccio destro della VicePresidente e Commissaria europea alla concorrenza la danese Margrethe Vestager. “I contenuti dell’intervista – scrive il presidente di Federacciai -, nella loro radicalità mercatista, ecologista e antindustriale sono emblematici dell’atteggiamento che ho denunciato nella mia relazione, un atteggiamento nel quale un liberismo estremo (mercatista appunto) si intreccia ad un ecologismo acritico e a una visione tutta finanziaria e antindustriale o a-industriale dell’economia”.

Gozzi conclude spiegando che “l’Europa non è più il centro del mondo ma, purtroppo, un continente demograficamente e economicamente in declino. In famiglia, da noi, si dice che l’arroganza è sempre un peccato ma che nel business è un peccato mortale. Purtroppo questo adagio pare essere ignorato a Bruxelles e dintorni dove si decide il futuro dell’Europa. Rileggendo questa intervista, due insegnamenti bisogna trarre. Il primo è che il sistema industriale nel suo complesso non è stato capace di fare sentire sufficientemente la sua voce. E ciò non deve più succedere, tanto più che i prossimi anni saranno decisivi per le sorti della manifattura europea impegnata nella colossale sfida della decarbonizzazione; il secondo è che bisogna mandare a Bruxelles i migliori. L’Italia deve presidiare con forza le Direzioni e deve pretendere un cambio di indirizzo europeo sulle politiche industriali. Questo oggi significa costituire un grande fondo europeo per la transizione industriale e per la decarbonizzazione dell’industria di base”.